Il cavaliere senza onore
1717
Per essere fine marzo le temperature erano clementi. Il sole si annunciava lento dai monti del Gennargentu e una luce debole strappava dal buio Sa Serra de Amadorgiu nei salti di Loquely, nel territorio di Sorradile nell’Incontrada di Barigadu ’e susu. Il bosco si destava con i suoni soliti: i canti degli uccelli, il gracchiare delle cornacchie, il grufolare dei cinghiali che correvano a raggiungere i rifugi dove poi avrebbero trascorso il giorno. In lontananza il rumore dei sonagli appesi ai colli delle greggi.
La brina mattutina dei mesi passati si era tramutata in rugiada e i cespugli brillavano ai primi raggi. Lontane nuvole con cirri rosa sottolineavano l’orizzonte verso est. In un accenno di radura sorgevano tre protuberanze che un occhio disattento avrebbe potuto scambiare per rocce. Due, in realtà, lo erano, ma il chiaroscuro rivelava che la terza era uno sciambergo, il cappello a larghe tese che la moda partita dalle Fiandre aveva imposto in tutto l’Impero spagnolo. Sotto quel copricapo c’era un uomo sdraiato sul terreno e seminascosto da un macchione di lentischio.
Lo strano personaggio, per proteggersi dall’umidità, giaceva sopra un sacco di orbace che impediva ai suoi vestiti di bella foggia di bagnarsi e rovinarsi. Aveva preferito quegli abiti per questioni di opportunità. Se si fosse vestito come i sardi si sarebbe potuto risalire al suo paese d’origine. Davanti a lui erano poggiati un archibugio carico e una pistola, nascosti sotto una frasca. I raggi del sole, rifrangendosi, avrebbero potuto rivelare a uno sguardo attento il luccicore delle canne. Poco distanti due cavalli legati al tronco di un albero: uno sellato, l’altro con una capezza di fortuna ricavata da una fune di crine. Il proprietario dello sciambergo attendeva. Paziente. Senza innervosirsi. Aveva preparato l’imboscata per giorni. Ed era sicuro sul suo esito.