“Il buio delle tre” su SoloLibri
Il buio delle tre di Vladimir Di Prima
Arkadia, 2023 – Pinuccio Badalà, figlio di una Sicilia diversa da quella immortalata negli stereotipi turistici e di una famiglia dai complicati destini, coltiva un’ambizione letteraria che si scontra con il mondo difficile, a volte grottesco, dell’editoria italiana.
Già dall’incipit Il buio delle tre (Arkadia, 2023), il nuovo romanzo dell’eclettico artista etneo Vladimir Di Prima, rivela una voce originale, personalissima, dal sapore agrodolce tipico della contraddittoria realtà siciliana (come in modo splendido ha detto, in modo definitivo, Tomasi di Lampedusa in un celebre passo de Il Gattopardo sui contrasti che caratterizzano l’isola).
Così, tra il fiabesco e l’irriverente, suona l’incipit de Il buio delle tre:
“Erano già passati trentasei giorni, e due lune, e cinque
domeniche. Erano nati gatti, palazzoni e pazzi, e qualcuno
era morto, e altri aspettavano ancora il Cristo risorto”.
Nella scena iniziale vediamo i due cugini Salvatore e Michele Badalà accingersi a prendere un treno per Roma. dove devono incontrare (nientemeno) “un pezzo grosso della CGIL prima che partisse per le vacanze”. Lascio ai lettori la scoperta del momento (significativo per l’intero Paese) in cui i due provincialissimi e siculissimi cugini stanno per partire da un’afosa città padana alla volta della capitale.
I destini dei due cugini divergono a causa di una telefonata che li separa non, com’era nei programmi, per pochi minuti, ma per sempre.
Il protagonista del romanzo è Pinuccio Badalà, figlio dello sfortunatissimo Michele e della tenera Santina. Pinuccio cresce alle pendici dell’Etna e coltiva una precoce e ferrea ambizione letteraria che così riassume, nel tentativo di arginare le sagge considerazioni che la madre mette avanti per convincerlo che scrivere non è un mestiere:
“Leggo e scrivo, ti piace? È la stessa cosa dei panettieri: impastano e infornano”.
Ecco, Pinuccio nella sua versione giovanile è tutto in queste poche parole per niente alate, parole terra terra, idonee a essere comprensibili, se non condivisibili, per una donna semplice e selvatica come la madre. La visione che Pinuccio ha del mondo è provinciale, ingenua, ha il colore dei suoi sogni di gloria destinati a scontrarsi con una realtà indecifrabile e confusa – l’editoria in Italia – che ha la consistenza frustrante del muro di gomma e che, proprio come un muro di gomma, resiste ai suoi tentativi, anche i più ingegnosi, di attraversamento.
La vera protagonista del romanzo, vien da pensare man mano che si procede da un capitolo all’altro, è forse proprio la scrittura, una sorta di personaggio privo di fisionomia e di voce propria ma in grado di parlare per bocca di questo o quel personaggio e talora attraverso le parole del narratore onnisciente; questi fornisce una riflessione sulla scrittura e sugli scrittori che risulta illuminante per comprendere le vicende di Pinuccio Badalà:
“Scrittori non ci si improvvisa. È un mestiere che parte
da lontano, da quelle recondite pulsioni di emarginazione,
di scarto, di rivalsa verso un prossimo ingrato e irriconoscente
e, naturalmente, da una spiccata tendenza narcisistica.
Quando Pinuccio decise di volerlo diventare non
sapeva ancora di possedere un eccezionale talento. Non
sapeva neppure cosa fosse uno scrittore. Gli sembrava che
mettere una frase dopo l’altra fosse già abbastanza e che in
fondo serviva solo una bella storia”.
Pinuccio ha due passioni – le donne e la scrittura – e in entrambe la fortuna non gli è amica.
Convinto di possedere un eccezionale talento, si ingegna nei primi velleitari tentativi di pubblicare un libro. Armato di una forte volontà di raggiungere il risultato, finisce per sviluppare una vera ossessione, ostinandosi a provare nuove strade (più o meno tortuose, a volte davvero fantasiose) e amareggiandosi sempre di più per gli insuccessi. Incontra sul suo cammino millantatori e personaggi stravaganti, a ciascuno dei quali è assegnato il ruolo di mentore e guida verso il mondo fatato e irraggiungibile dell’editoria, sempre meno fatato e sempre più irraggiungibile man mano che cresce la disillusione e aumenta il disgusto per meccanismi che si ripetono sempre uguali. Pinuccio tuttavia non demorde. Non cede alle mode del momento, scrive come sa scrivere, costruisce le storie come ama costruirle e non come vorrebbe il mercato. Mentre il Paese e il pianeta attraversano momenti cruciali, che puntualmente l’autore richiama, la carriera di scrittore del protagonista si muove su un binario parallelo a quella di seduttore: il nostro antieroe sembra, in entrambi i campi, destinato a sostare in una terra di nessuno percorrendo sentieri che non arrivano mai alla meta. I tentativi di pubblicare lo vedono peregrinare da un editore all’altro, da un’illusione di pubblicazione all’altra, da un’attesa di valutazione del suo più recente manoscritto all’altra. Le sue avventure erotiche hanno vita breve. Pinuccio si invaghisce di una ragazza, poi di un’altra e di un’altra ancora; uno sguardo, un colorito latteo, una chioma lucente fanno divampare la passione che però d’improvviso si spegne in uno dei suoi facili disgusti. Resta sempre in cerca di un editore e di un amore: a volte architetta elaborati piani di conquista, a volte rimane travolto da un’illusoria opportunità che il caso benigno sembra apparecchiargli. Pinuccio è un personagio delizioso, un ingenuo stralunato, talvolta di un candore disarmante, che si ritiene furbissimo; i suoi sogni amorosi e artistici traggono nutrimento da visioni illusorie della realtà, a partire da se stesso. Non riesce a diventare antipatico, suscita anzi una divertita compassione e richiama alla mente persone reali che abbiamo conosciuto e guardato con la medesima divertita compassione. Ci dispiace vederlo subire l’ennesima delusione, vorremmo che si svegliasse dai suoi vaneggiamenti e crescesse, rinunciando ai sogni. Vorremmo, insomma, che si rassegnasse (parafrasando Luisa Spaziani) alla sua sfumatura di fatale grigio: ed è questa, in fondo, la maturità.
Ma non è il fatale grigio la tinta che Pinuccio cerca per sé e per le sue opere. Non perde per strada l’irruenza giovanile che lo porta a volte a scontri epici con chi gli riesce antipatico. Non si arrende agli insuccessi, sicché arriva dopo un bel po’ di anni (undici) al terzo romanzo senza che la fede nel proprio talento sia stata scalfita dal dubbio:
“Pinuccio, insomma, non si sentiva più un talentuoso dilettante
con il sogno di vincere il Nobel, ma uno scrittore
vero, superbo, invincibile e naturalmente già nobile, uno
che aveva appena finito l’ennesimo capolavoro di una carriera
lunghissima”.
Delusione dopo delusione, Pinuccio si ritrova quarantenne. Santina è morta e a governare la casa dell’inetto sognatore bada Irina, un’infelice, materna rumena. Il piccolo mondo di provincia in cui la storia è ambientata è molto mutato. Tutti sono invecchiati, l’America è servita nei centri commerciali che spuntano nella zona pedemontana di Catania. Pinuccio, nella vita come nella scrittura, non si ritrova nella contemporaneità, la rifiuta, la contesta. Si ostina a vivere e a scrivere a modo suo e ha per le mani l’ultimo capolavoro che non riesce a pubblicare. Trascorre molto tempo in compagnia di Orazio Magazù, stravagante e ipocondriaco ma sinceramente affezionato all’aspirante scrittore, al quale offre il paziente ascolto delle sue recriminazioni e qualche parola di compassionevole incoraggiamento. Ed è con lui che Pinuccio si trova durante il doppio gran finale a sorpresa che non è il caso di anticipare e che chiude senza chiudere le dolenti, a volte divertenti e sempre intricate vicende di un ragazzo di provincia, dei suoi sogni di gloria e della sua battaglia (vana? Ai lettori e ai posteri l’ardua sentenza) per conquistarsi uno spazio degno nel panorama letterario italiano.
Rosalia Messina
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