“Il babbo di Pinocchio” su HuffPost
In luogo proprio e in luogo d’altri
Raccontare un luogo può essere fatto in molti modi, mossi dal desiderio di esaurirli senza consumarli e questo è il senso della letteratura che li ama davvero senza approfittare della loro disponibilità assoluta
Fare del proprio luogo il luogo d’altri e dei luoghi d’altri il proprio è un po’ la via della letteratura di luogo – non parliamo di guide turistiche, quindi, anche se possono assolvere perfettamente alla funzione di viatico – o da altri detta “di viaggio” (espressione a cui preferisco la precedente perché… (il perché lo scoprirete da questa piccola rassegna di due titoli appena usciti, diversi ma contigui). Inizio dal libro di Mauro Francesco Minervino, Al monte analogo. Monte Cocuzzo. La montagna-arca (oligo) che parte da un esergo di George Gissing del 1889 e da una mappa fotografica (mappe e foto, letteralmente che l’autore chiama “prefazione visiva”) che offre da subito il campo del viaggio. Un viaggio spesso non è un andare in senso stretto ma uno stare che può essere compiuto anche da fermo. Gli scrittori di luogo lo sanno e spesso, come fa Minervino, più che passare, stanno, più che variare i luoghi, perecchianamente tentano di esaurirli. Per ogni scrittore – ed è questa la bellezza variabile del “genere” (se di genere possiamo parlare visto che è piuttosto un modo che insiste anche in libri e in autori non strettamente di luogo) – l’esaurimento del posto raccontato avviene per via di metafora ed è bello scoprire questo monte calabrese come Olimpo “che nutre ancora oggi sguardi, fantasie, illusioni” o Sainte-Victoire cezanniana (anche i pittori hanno spesso cercato di esaurire dei paesaggi) pur non avendo competenze per dipingerlo. E, anche questo, è un indizio: chi scrive veramente di luoghi usa tecniche non sue e con efficacia, pur non padroneggiandole, pur non desiderando farlo.
L’altro libro di cui volevo parlare intreccia una vita – quella dello scrittore Collodi – e un luogo. L’operazione è quindi antipodica rispetto a quella precedente. È come entrare nella cabina di regia del capolavoro Pinocchio attraverso l’autore e i suoi luoghi. Paolo Ciampi in Il babbo di Pinocchio (Arkadia editore), proseguendo in una felice linea di biografie su personaggi storici nei luoghi, ha dedicato un viaggio surreale a partire dalla prima lapide – “In questa casa nacque nel 1826 Carlo Lorenzini detto il Collodi, padre di Pinocchio” – trovata su “una via stretta, stirata per il lungo. Su un lato la mole cupa dell’ex convento di Sant’Orsola, in seguito manifattura dei tabacchi”. Dove? Ma sì a Firenze (il paese di Acchiappacitrulli?). Per la precisione Via Taddea, 21n. Insomma, se i luoghi per gli autori hanno un destino, non possono che averlo anche quelli in cui hanno vissuto (e quindi visto). In una medianica passeggiata, Ciampi ci accompagna nei luoghi fiorentini del Collodi tra i vari Caffè Michelangelo, I “palazzi severi” della “città sdegnosa, appartata” dei suoi tempi facendocela apprezzare ma senza perdere di vista il presente dell’autore. Raccontare un luogo, ci dicono questi due libri, può essere fatto in molti modi, mossi dal desiderio di esaurirli senza consumarli e questo è il senso della letteratura che li ama davvero senza approfittare della loro disponibilità assoluta.
Roberto Carvelli
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