” I rifugi della memoria” su Adolgiso
I rifugi della memoria
18 gennaio 1974: un corpo attraversa la finestra dall’interno verso l’esterno di una sede della Brigada Político-Social, la polizia segreta franchista, atterrando tre piani più sotto. Succede a Valladolid, città dov’è nato quel corpo. Appartiene al 22enne José Luis Cancho, attivista del clandestino Partido del Trabajo de España e membro della Joven Guardia Roja. Suicidio? Così doveva sembrare secondo quattro agenti della Brigada che lo avevano torturato per oltre 20 ore e, credendolo morto, decisero di buttarlo giù. Quelli erano anni in cui i militanti di sinistra pare avessero una spiccata tendenza a tuffarsi dalle finestre, voli descritti, come potete ascoltare qui da un noto cronista: Dario Fo. Era già accaduto, infatti, allo studente Enrique Ruano, e, un mese prima di lui, al ferroviere italiano Giuseppe Pinelli anch’egli indomito volatore, ma sprovvisto delle capacità di restare sospeso in aria di cui era invece fornito il frate Giuseppe da Copertino. Ci sono stati anche altri voli ma fermiamoci, con i piedi per terra, a quello di Cancho che, uscito malconcio ma vivo dal brusco atterraggio trascorrerà una settimana di coma, sei mesi paralizzato a letto e due anni di galera. Tempo dopo scriverà un libro, tanto breve quanto intenso, ora in italiano pubblicato dalla casa editrice Arkadia. Titolo: I rifugi della memoria. Nel libro viene riferito quanto è accaduto allo scrivente, ma senza indugiare troppo sulle sofferenze patite, non si tratta di un memoriale, né di un’autobiografia e meno ancora di forma romanzata di quant’è accaduto, piuttosto dell’autoritratto interiore di una creatura che attraversa età ed esperienze sprofondando nell’indifferenza e, come afferma nel libro, di “scrivere come un morto”. Del resto, ci era mancato poco. Dopo quell’avventura terribile del defenestramento e delle dolorose sofferenze fisiche e morali, quell’uomo senza rinnegare le sue idee politiche lascia il partito: “Me ne andai civilmente. Presentai le mie dimissioni per iscritto. Semplicemente mi limitai a sparire”. Andrà in giro per molti paesi sudamericani, non mancheranno altre peripezie sulle quali il lettore ne è informato con brevi, talvolta brevissimi, tratti. E qui è d’obbligo una riflessione stilistica su quelle pagine in cui una vita tridimensionale è riferita su di una superficie piana e quasi impalpabile. Tale leggerezza è dovuta, secondo lo stesso Cancho, a due suoi modelli: Édouard Levé fotografo (autore di “Autoportrait”) e Joe Brainard scrittore (autore di “Mi ricordo”, forma di scrittura sulla quale Perec produrrà “Je me souviens”). Non voglio certo saperne più di Cancho, ma a me le sue pagine hanno fatto pensare di più al cinema underground americano fatto di brevissime sequenze, sfarfallìo di fotogrammi singoli, improvvise solarizzazioni delle immagini. Scrive Andrés Barba nella prefazione: “Le memorie di Cancho (…) sono ciò che Simone Weil chiamerebbe «profilo spirituale», e Broch una «autobiografia psichica»” – così conclude la sua presentazione – “Spero che questo piccolo gioiello riceva l’accoglienza che merita”. Lo spero anch’io. Dalla presentazione editoriale «José Luis Cancho aveva 22 anni quando quattro poliziotti della Brigata Politica-Sociale lo scaraventarono da una finestra del commissariato di Valladolid. Era la mattina del 18 gennaio 1974. «Mi hanno buttato giù perché credevano di avermi ammazzato. Il fatto strano è che non solo non mi avevano ammazzato, ma non mi hanno ammazzato nemmeno buttandomi giù», racconterà in un’intervista. Passò sei mesi a letto, un anno con le stampelle e due in prigione. Da questa esperienza estrema parte la narrazione, compressa in poche e sorprendenti pagine, scritte in modo succinto, delicato, diretto e coraggioso. Una vicenda autobiografica dove l’autore fa i conti con il suo passato e il suo presente, senza costruire né un eroe, né tantomeno un antieroe. Uno sguardo che ripercorre la sua prima gioventù, la prigione e la sua ombra lunga, la lotta politica, l’insegnamento, i viaggi, le letture, la solitudine, le amicizie e che trova rifugio nell’infanzia, luogo al quale torniamo sempre, e nella scrittura, dove tutto sembra acquisire un significato».
José Luis Cancho
I rifugi della memoria
Traduzione di Marino Magliani
Prefazione di Andrés Barba
Pagine 78,
Euro 13.00
Edizioni Arkadia
Il link alla recensione su Adolgiso: https://bit.ly/3412u9K