“I giorni pari” su Mangialibri
I giorni pari
8 dicembre 1940. Nel primo pomeriggio salgono su un treno che li conduce a Fondi. Hanno con sé una sola valigia, piccola, per non dare nell’occhio. Nessuno fa loro caso. D’altra parte, sono una tipica famiglia italiana, come tante. Giunti a Fondi, resta da percorrere un ultimo pezzo di strada, a piedi. Sperlonga, il paese che Gino, sua moglie Miriam e la giovane Sara raggiungono, è attaccato a uno sperone e pare deserto. L’uomo che li ha accompagnati lungo il percorso e che ha appena depositato la valigia davanti alla porta di una casa spiega che a quell’ora sono tutti alla messa della sera. L’uscio si apre e ne esce una signora, che con fare frettoloso fa entrare Sara e sua madre, mentre il padre si attarda a parlare con l’accompagnatore. L’anziana signora mostra alla giovane la stanza che l’ospiterà. Sì, perché le leggi razziali, sempre più rigide, stanno rendendo sempre più difficile la vita a chi, come Sara e i suoi genitori, è di religione ebraica. Ecco la ragione per cui Gino e Miriam hanno deciso di separarsi e di affidare la figlia alla famiglia di Sperlonga presso la quale sono appena giunti. Sara verrà presentata come una lontana cugina, arrivata da Roma per respirare aria di mare e cercare di porre rimedio a uno stato di salute cagionevole. Gino e Miriam sono certi che la situazione migliorerà presto e che in tempi rapidi potranno ricongiungersi alla figlia. Anzi, non è escluso che, risolto ogni problema legato alle leggi razziali, l’intera famiglia possa trasferirsi a Sperlonga: in questo modo Gino potrebbe aprire lì una nuova farmacia, identica a quella ereditata dal padre e gestita per molto tempo a Roma, prima di essere costretto a cederla, almeno sulla carta, all’amico Vittorio che, in quanto non ebreo, può continuare a lavorare senza alcuna limitazione. 12 dicembre 1940. Silvana – terza figlia, non desiderata, di Caterina e Domenico – non sta bene. Sputa sangue, tossisce forte e i suoi polmoni bruciano mentre, allo stesso tempo, cercano aria. La giovane ha la tubercolosi e, per cercare di aiutarla, deve essere ricoverata in Sanatorio, al Forlanini. Lì, ci sarà chi si prenderà cura di lei. Inoltre suo padre non la abbandonerà, ma andrà a trovarla tutte le volte che gli sarà possibile… Sara e Silvana sono due ragazze che vivono gli anni della loro giovinezza nell’Italia angustiata dalla ferocia della guerra. Sono gli anni in cui si assiste prima all’avvento del fascismo e poi alla sua caduta rovinosa, in cui la seconda guerra mondiale porta devastazione e morte, in cui la rinascita dopo il conflitto è complessa e dura. La prima è una giovane ebrea scampata alla Shoà che trova riparo in un borgo laziale, presso una famiglia che ha accettato di occuparsene, dietro compenso. La seconda, invece, è di salute cagionevole, ha la tubercolosi e deve essere ricoverata in Sanatorio, dove può trovare le cure necessarie per sopravvivere. Due storie diverse, accomunate tuttavia dalle stesse difficoltà, quelle legate a un periodo storico difficile, a condizioni economiche non floride, a situazioni familiari complesse. Due giovani che diventano donne attraverso un percorso irto di difficoltà e ostacoli; uno spaccato di vita immerso in una pagina della Storia della quale non si parla mai a sufficienza. Quel che emerge è il ritratto di un’epoca complessa, all’interno della quale si muovono personaggi che, al netto di alcune criticità – qualche ripetizione di troppo, il ricorso a cliché e frasi fatte che rallentano in alcuni tratti il ritmo della lettura – Maria Caterina Prezioso è riuscita a rendere con sufficiente verosimiglianza. Sara e Silvana sono fragili e forti allo stesso tempo; sono giovani ma imparano, a loro spese, ad affrontare le avversità della vita e a ritagliare il loro posto nel mondo; suscitano la simpatia del lettore che si ritrova a fare il tifo per loro e a desiderare per entrambe un futuro di luce.
Connie Bandini
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