“I giorni pari” su Cultura al Femminile
Intervista a Maria Caterina Prezioso autrice de I giorni pari
Maria Caterina Prezioso è nata a Roma nel 1961. Operatrice culturale, scrittrice e drammaturga è autrice di poesia, di teatro e di narrativa, ma è soprattutto una donna sensibile e caparbia. Il suo ultimo libro I giorni pari, edito da Arkadia, racconta di donne, belle e vere, ruvide e cattive. Un viaggio nei sentimenti, attraverso gli eventi di una guerra che si combatte dentro e fuori. Una scrittrice raffinata, con la passione per il suo lavoro che inevitabilmente trasmette attraverso la sua penna, trascinando il lettore in un vortice di emozioni. Cultura al femminile l’ha incontrata.
Benvenuta Maria Caterina! Dopo aver letto e recensito il tuo bellissimo libro mi piacerebbe conoscerti meglio. Ci parli un po’ di te?
Innanzitutto Gianna grazie di questo spazio che insieme ad Emma Fenu mi avete concesso. Cultura al Femminile è una bella realtà nel panorama delle riviste. Domanda non semplice, non è facile parlare di se stessi… ci provo in maniera indiretta, attraversando a ritroso il tempo, dieci anni in dieci, partendo dal 1974, quando di anni ne avevo tredici. Il 4 agosto del 1974 ero sul treno Italicus, Roma-Brennero; nel 1984 mi sono laureata in scienze politiche con una tesi in diritto costituzionale; nel 1994 ho incontrato la danza ed il suo sorriso e ho scoperto la scrittura teatrale; nel 2004 ho finalmente capito che 1984 il famoso romanzo di George Orwell, scritto nel 1948, il titolo è stato ottenuto invertendo le ultime due cifre; il 2014 ha aperto a un tempo nel quale ho visto chiudersi porte, e se pur non si sono aperti portoni, ho imparato a riconoscere quella che per me è “la magia della cura”, saper prendersi cura uno dell’altro; nel 2024 Arkadia Editore pubblica “I giorni pari” e finalmente, Sara della mia immaginazione e Silvana del mio ricordo, escono allo scoperto e ritrovano il sorriso e la voce.
Come e quando hai scoperto la passione per la scrittura?
Più che passione è un modo di stare al mondo, di vedere le cose. Ho iniziato scrivendo poesie, ma avevo bisogno di altro, desideravo che un racconto orale diventasse scrittura. Sono per natura curiosa e mi piace molto “mettermi in ascolto”. Da lì il passo è stato breve. Raccontare di noi, di voi. E poi la scrittura mi offre una risorsa formidabile quella di poter cambiare il finale. Per me la scrittura è gioco.
Quando inizi la stesura di un libro hai già in mente tutta la storia o la elabori durante il percorso?
La narrazione è magia. Sicuramente hai una trama in mente, ma poi durante il gioco della scrittura si affacciano altre storie che vogliono essere raccontate. E questo è bellissimo. Bussano alla porta e tu devi essere in grado di saperle accogliere. Trovare un posto anche per loro.
Quanto tempo prima di scrivere la prima riga di un libro inizi le tue ricerche?
Assolutamente dopo. Inizio sempre a scrivere, lavorando sul ricordo, i racconti che ho ascoltato, quello che ho osservato, solo in seguito ho bisogno di un contesto narrativo che sia riscontrabile. La storia che mi interessa raccontare è attraversata dalla Storia con la S maiuscola, ma il respiro della narrazione è di per sé unico e a suo modo irripetibile.
Cosa ti ha spinto ne ‘I giorni pari’ a raccontare un periodo doloroso della nostra storia attraverso la vita delle due protagoniste?
Volevo scrivere di Sara e Silvana e di quegli anni così forti e impietosi. Però volevo scrivere anche un romanzo di “personaggi” e raccontare anche di quei ragazzi e ragazze che hanno vissuto, amato e sperato, di fatti semplici ma oltremodo grandi, a volte episodi marginali che non si trovano nei libri di storia, ma che hanno fatto la Storia. Personaggi vissuti realmente e altri immaginati che dialogano tra loro, che hanno pari dignità di esistere.
Ti senti più Sara o più Silvana? Mi riferisco al loro carattere e al loro percorso interiore.
Sara ha tutta la mia immaginazione e Silvana mi ha lasciato in dono la sua caparbietà, il suo perseverare nonostante tutto. Mi piace pensare di essere riuscita a dare loro voce.
Le tue precedenti pubblicazioni spaziano tra storie di vita e periodi storico-politico di rilevante importanza dell’Italia del secolo scorso. Hai un pubblico ideale e quale messaggio vuoi trasmettere attraverso la tua scrittura?
Pubblico ideale? Per me è una gioia scoprire quanti diversamente si avvicinano ai miei romanzi. Caratteri diversi, mondi diversi. Per quanto possibile cerco sempre di instaurare un rapporto con il lettore/lettrice e mi piace quando attraverso un mio scritto, chi legge non solo si possa innamorare della narrazione, ma la fa sua e apre la strada al suo vissuto. I giorni pari vorrei tanto lo leggessero anche i giovani, arrivare a loro attraverso tutti i personaggi, oltre Sara e Silvana, che sono loro coetanei. Utilizzare la memoria di un tempo passato per dialogare con il presente e dare una chiave di lettura per il futuro.
Di cosa non scriveresti mai?
Un giallo, anzi meglio un noir, non saprei da dove cominciare. A me interessa, come dire, “risvegliare” la fantasia e non ingabbiarla in meccanismi collaudati di analisi psicologiche.
Cosa pensi dell’attuale editoria italiana?
Sono felice di aver incontrato sulla mia strada Arkadia Editore, è una realtà interessante capace di lavorare ad alto livello, ma mantenendo un rapporto “affettivo” con i propri autori. Che non sempre significa tutto “rose e fiori”, ma significa condividere, discutere, fare un lavoro di squadra per dare la possibilità alla scrittura di farsi piena, una scrittura di respiro. Le grandi casi editrici non lo fanno, forse non ne hanno il tempo o forse sono solo troppo attente al rientro economico e soprattutto puntano su nomi che assicurano visibilità e quasi mai su voci nuove. Così accade che quelle poche voci diverse che ci possono essere, diventano per loro dei fenomeni da sfruttare per una stagione. E’ sciocco stremare un cavallino di razza. La scrittura ha bisogno di crescere, di farsi conoscere poco a poco. Dall’altra, le piccole case editrici non trovano spazi adeguati perché l’attenzione è tutta per le grandi e quindi faticano non poco a rimanere sul mercato, nonostante siano loro le prime a fare un lavoro di ricerca interessante. Le piccole, medie case editrici rischiano, le grandi si adeguano a quello che vuole il mercato oppure cercano di influenzarlo. Un poco come succede in economia.
C’è una domanda che avresti voluto ti facessi?
La scrittura è come una partitura di musica. C’è sempre tempo per un’altra domanda. Grazie per quella domanda che non mi hai fatto ed è rimasta sospesa, come una pausa tra un suono e l’altro.
Grazie Maria Caterina per la tua disponibilità, al tuo prossimo libro e alla nostra domanda sospesa…
La scrittrice ha pubblicato poesia: Nelle rughe del muro (Ibiskos 1991); drammaturgia: La risposta di Leonardo (coautrice con Giuliana Majocchi, Il Segnale 1996) testo di teatro-danza che ha ottenuto il patrocinio del Comune di Vinci, La stanza – la festa dei Tuareg (Titivillus 2004); narrativa: il Colpo (peQuod 2008), Cronache binarie (EDE 2011), Blu Cavolfiore (Golena edizioni 2013), La ballata dei giorni della pioggia (Kogoi edizioni 2016), Pina & Max (coautrice con Giuliana Majocchi – Edizioni Leucotea 2018) una favola ecologica. Ha collaborato con le pagine culturali di «Avvenimenti», realizzando tra l’altro un ciclo di interviste ad autori della drammaturgia italiana del novecento. Collaboratrice della rivista di teatro «Primafila». Ideatrice della rubrica «Leggere il Teatro» per Ex Libris (dalla critica dello spettacolo alla lettura del testo teatrale). Ha tenuto corsi di scrittura creativa. Ha seguito l’organizzazione e l’ufficio stampa di spettacoli di teatro e di teatro danza. Alcuni sue novelle sono stati pubblicate su varie riviste («Storie», «Omero», «In-Edito», «TutteStorie», «EllinSelae» e «Satisfiction»). Il premio di Poesia e Narrativa «Negativo del Silenzio» vinto con il racconto Le caviglie del Treno I edizione (Centro Giovani «il buco» del Comune di San Nicola la Strada – Città per la pace).
Gianna Ferro
L’intervista su Cultura al Femminile