I gioielli dell’oreficeria sarda
La Nuova Sardegna
18.06.2010
I volumi della collana «Antichi mestieri e saperi della Sardegna», che la Nuova sta distribuendo in queste settimane, debbono per la loro stessa natura e impostazione spingersi all’indietro nel tempo per documentare modi di vita e di produzione dei quali ci restano oggi, in più di un caso, poche e deboli manifestazioni. Uno di quelli che riescono meglio a risalire alle epoche passate è il decimo, dedicato a «Oro, argento e gioielli», in vendita da domani con il giornale (144 pagine, euro 7,90). Gli autori che hanno scritto i singoli capitoli hanno potuto fare luce sulle epoche più lontane perché gli scavi archeologici hanno restituito in più di un caso gli oggetti preziosi con i quali le donne e gli uomini completavano il loro abbigliamento. La migliore documentazione, che è venuta dalla città prima fenicio-punica poi romana di Tharros, si trova quasi per intero al British Museum di Londra. Dall’analisi delle fogge e delle tipologie dei singoli gioielli, e dei materiali impiegati, emerge che l’attività degli orafi si legava per un verso all’estrazione dell’argento, già praticata nelle miniere isolane, per l’altro all’importazione di altri metalli e pietre preziose, in particolare l’oro, e di moduli costruttivi. Risale a questo periodo l’introduzione di due tecniche di lavorazione, la filigrana e la granulazione, che resteranno alla base della produzione dei monili in Sardegna, sino ai nostri giorni. All’interno di questa produzione, vasta e differenziata, si sono venuti definendo nel tempo alcuni gioielli che sono tipici e originali della produzione locale. In primo luogo il bottone a forma di mammella largamente usato nei costumi tradizionali. Una delle due calotte che lo compongono porta al culmine un piccolo granato che fa pensare a un capezzolo. Il richiamo al seno femminile, simbolo di fecondità, è di origine antichissima, potrebbe collegarsi al culto della dea fenicia Tanit. Altri gioielli tipici dell’isola sono la fede nuziale lavorata a «pibiones», piccole sfere d’oro e d’argento, e lo «spuligadentes», in parte amuleto in parte strumento per la pulizia dei denti, mentre l’anello di fidanzamento, «maninfide», è di derivazione classica. I nomi degli autori sono riportati come di solito nell’indice, e ritornano poi alla fine del volume accompagnati da notizie biografiche: Salvatore Angius, esperto in diamanti e gemme; Carla Cabras, studiosa dell’attività mineraria a Iglesias; Barbara Fois, professore associato di Storia medioevale nell’Università di Cagliari; Rossana Martorelli, professore associato di Archeologia cristiana e medioevale nell’Università di Cagliari; Marco Milanese, ordinario di Archeologia urbana e medioevale nell’Università di Sassari; Riccardo Mostallino Murgia, editore e studioso di storia; Raniero Nardi, studioso e docente di materie agrarie e forestali; Roberto Poletti, studioso di storia ed esperto di restauro; Lucia Siddi, storico dell’Arte e docente di Restauro. Il volume è illustrato da foto a colori che presentano i volti intensi e aggraziati delle giovani donne impegnate nelle manifestazioni folcloristiche in uso in tutte le parti dell’isola. Le immagini provengono dagli archivi dell’editrice Arkadia e dei fotografi Gian Carlo Deidda, Gianflorest Pani e Gianfranco Calzarano. – Salvatore Tola