“I barbari alle porte” su Sololibri.net
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16 settembre 2016
È del tutto arbitrario rappresentare i Romani come modelli di civiltà esemplare nel mondo antico e i Barbari come selvaggi allo stato semiferino. I primi vantavano un’organizzazione militare più moderna ma non erano meno sanguinari. I secondi non resteranno solo dei “selvaggi”. Sono le tesi cheAndrea Santoro, docente di lettere nella scuola media, sviluppa nel libro “I barbari alle porte. L’epoca delle invasioni che sovvertì l’impero”, un saggio per Arkadia Editore (Cagliari, aprile 2016, collana Historica paperbacks, pp. 118, euro 11,00).
La storiografia romana indulgeva nel vantare le ordinate armate imperiali come esempi di una superiorità. Tuttora risentiamo di questa rappresentazione, non certo ingiustificata ma comunque fuorviante. Nelle immagini iniziali del film Il gladiatore, il generale Massimo Decimo Meridio passa in rassegna i suoi legionari, sereno e sicuro di sé. Dall’oscurità avanzano orde nemiche che lanciano grida inarticolate contro i Romani, ben equipaggiati dietro le palizzate e tranquilli in attesa dello scontro. Emerge una sensazione di forza e organizzazione rispetto ai Germani, interpretati come una turba minacciosa, urlante, scomposta, che viene sorpresa dal sopraggiungere della cavalleria e soccombe alla marcia cadenzata e implacabile della fanteria. Le frecce germaniche vanno a vuoto, quelle romane colgono nel segno.
Gran parte di questa esibizione di forza controllata appare in effetti esagerata. Anche i Romani esercitavano una violenza bruta, fa notareAndrea Santoro.
Nella colonna di Marco Aurelio, che in un bassorilievo a spirale celebra le vittorie contro Germani e Sarmati tra il 172 e il 175, i barbari sono raffigurati a terra, a quattro zampe. Le loro donne afferrate per i capelli, fatte schiave. I prigionieri vengono uccisi e un soldato romano mostra all’imperatore una testa mozzata. La rigorosa disciplina nell’esecuzione delle tecniche di combattimento in formazione chiusa, appresa nel corso di un costante addestramento maniacale, non fa di un combattente un asceta della guerra. I legionari erano disumani quanto i Barbari, che pure non si impegnavano in schieramenti sofisticati e movimenti coordinati.
La contrapposizione tra nobiltà d’armi e ferocia brutale è inappropriata ed è nata sui libri, non sul campo. un risultato conseguito dagli storici, da una sorta di “propaganda”, del tutto unilaterale, visto che i barbari non trascuravano la scrittura. I britanni, ad esempio, venivano raffigurati come nettamente inferiori: brittunculi li chiamava l’anonimo estensore di una tavoletta ritrovata tra gli scavi del forte romano di Vindolanda, nei pressi del Vallo di Adriano. Ancora nel IV secolo, nonostante ci si rendesse conto dell’efficacia bellica acquisita dai Germani, ci si ostinava a “ferinizzarli”, pur riconoscendoli più robusti e alti, feroci e impetuosi, fiduciosi dei loro corpi giganteschi. A partire dal 300 proprio i Germani seppero trasformarsi, crescendo in tribù e uomini, in una società sempre più centralizzata, con l’affermazione di dinastie stabili e di élite di guerrieri che saranno i primi nuclei della classe nobiliare che darà vita all’aristocrazia medioevale.
Il ritardo dei Barbari nel conseguire una migliore “organizzazione” è stato dovuto alla loro frammentazione, alle divisioni alimentate dalle radici tribali della società extra romana. Fin dall’età dell’imperatore Tiberio, a Roma si era convinti che la possibilità di vittoria nei confronti delle tribù barbare si potesse conseguire solo spingendole a combattersi l’una contro l’altra.
Se i popoli barbari erano per i Romani il termine di paragone per misurare l’inciviltà rispetto al progresso, restavano al tempo stesso un elemento di cui l’impero non poteva fare a meno. La linea di giudizio di Santoro, studioso tra l’altro di cavalleria medioevale, è che l’impatto dei Barbari sui Romani provocò certamente uno scontro tra due campi rigidamente ostili, ma i secoli tardo antichi costituirono allo stesso tempo la fucina del medioevo. Un complesso meccanismo di incastri fatto di continuità e cambiamenti nei diversi settori della società, dette vita alle altrettanto complesse contaminazioni, che portarono popoli geograficamente lontanissimi ad amalgamarsi e a porre le basi dell’epoca medioevale, vera e propria fusione fra la tradizione latina e gli usi e costumi dei popoli germanici e delle steppe,
“il tutto plasmato dalla grande forza del Cristianesimo”.
“I barbari alle porte. L’epoca delle invasioni che sovvertì l’impero” nasce con l’intento di far comprendere come le invasioni barbariche, il plurisecolare fenomeno di migrazioni di popoli verso Roma, abbia costituito un importante tassello della contaminazione delle società del tempo, dando vita alla fioritura di un’epoca che solo dopo quasi un millennio “sarebbe riuscita a riallacciarsi al seculum aureum dell’antichità”.
(Felice Laudadio)