“Hotel DF” su Il Detonatore
IL RITORNO DI GUILLERMO FADANELLI IN ITALIA (di Matteo Fais)
“Il mondo è più stupido che tondo” (Guillermo Fadanelli, Hotel DF, Arkadia).
La sorte italiana di certi scrittori è un po’ come quella di certi cantanti, specie quando sono di lingua spagnola e provengono dal Sud America: non sfondare il confine, non riuscire ad aprirsi un varco, per quanto famosi possano essere nella propria terra. È il caso, per esempio di Guillermo Fadanelli, messicano, che da noi arrivò sulla scialuppa della Tropea Edizioni, miseramente naufragata frattanto, e con due bei testi quali Fango e L’Altra faccia di Rock Hudson, in ciò dimostrando che nel Belpaese non basta avere talento, bisogna pure conquistarsi i favori dei nostri connazionali – e nessuno ha mai capito la ricetta per riuscirci. Questa volta, a prendersi la briga di provarci, sperando per loro in miglior fortuna, è la cagliaritana Arkadia che ha appena fatto arrivare sugli scaffali Hotel DF, un testo di poco più di 200 pagine fitte come una sparatoria in un vicolo cieco e dense come una pietanza straniera di quelle che, poi, fanno lavorare alacremente stomaco e intestini. La trama, è presto detto, ruota intorno ad un Hotel, in quel di Città del Messico e racchiude al suo interno tante storie minime di persone dei più disparati tipi, dal giornalista o artista mancato, che dir si voglia, al venditore di torrone, passando per criminali e puttane. Nelle parole dell’autore “Anche gli uomini grigi meritano di raccontare la propria storia e se nelle loro vite non ci trovate nulla di attraente o eccitante, forse è perché sono buoni, e la bontà non vale niente ai giorni nostri. Possiamo interrogarci sulle ragioni della loro opacità: perché questi uomini non attirano l’attenzione se occupano uno spazio che nessun altro potrebbe occupare senza infrangere le leggi della fisica?”. Naturalmente, il grande protagonista, entro la cui carcassa si svolge tutta la vicenda, misteriosa come i processi di un organismo, è la metropoli, Città del Messico, “un paradiso romantico, un campo di cadaveri felici”, in cui “il verbo più usato dopo ‘rubare’ è ‘dimenticare’”.
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La strategia narrativa è quella dell’intreccio di destini a cui, per esempio a livello cinematografico, ci aveva ben abituato con la sua maestria Alejandro González Iñárritu, l’autore di capolavori come Amores perros (2000) e 21 grammi (2003). Fadanelli aggiunge a tutto ciò la sua profondità da guascone, quella di chi non ha bisogno di prendere la vita sul serio per dire il dramma dell’esistenza umana (“Che piacere ascoltare dei vecchi che inveiscono contro qualsiasi cosa, le loro lamentele sono legittime. Perché li costringono a partire di cattivo umore verso l’aldilà? L’inferno è pieno di uomini amareggiati, non di uomini cattivi”). I suoi personaggi, autoctoni o cosmopoliticamente vari, sono infatti tutti dannati che danzano tra le fiamme con passo leggero (“Si considera un uomo morto a cui restano ancora troppi anni da vivere”), umani, senza mai scadere nella maschera tragica (“Come ogni uomo che respira, porta in tasca qualche speranza”). La migliore descrizione di tale variegata galleria ce la fornisce proprio lui: “Quante facce importanti su un marciapiede pieno di miserabili!”. La prosa è bella soda come gambe di donna scattanti, abituate a salire scale sui tacchi. C’è sempre un punto in ogni pagina che emerge alla vista, che ti si pianta nell’occhio come uno spillo, che chiama alla necessità di ricorrere all’evidenziatore (“Ascolta ragazzo, alla tua età devi concentrarti sul non venire, ma se ti sposi, dopo cinque anni dovrai concentrarti sul fartelo drizzare per cinque minuti. Non dirmi che non ti ho avvertito”). Un romanzo si diceva di variegata umanità, di donne e di uomini, entrambi interessanti. A proposito delle prime, non si può certo dire che l’autore non sappia far venire a galla la sensualità di ognuna (“Gloria Manson e il suo sorriso apparentemente ingenuo avrebbero indotto qualsiasi uomo, primate o mammifero, a pensare a un letto”). Sia lodato il cielo, a ogni modo, non si tratta di un libro costruito intorno a un femminismo spicciolo dei buoni sentimenti oggi tanto in voga. Ogni personaggio, a prescindere dal genere di appartenenza, e dall’orientamento sessuale, non si fa mancare la sua dose di miseria quando serve (“opporre una certa resistenza è il primo dovere di una donna arrapata”).
Hotel DF è assolutamente da leggere, bisogna soggiornare nelle sue stanze a buon mercato, seguire il fitto andirivieni delle camere, sbirciare attraverso i buchi delle serrature. Speriamo che questa volta il pubblico italiano si faccia tentare da questo viaggio transoceanico. Poco ma sicuro, se vi avventurerete, non vi verrà nostalgia di casa.
Matteo Fais
Il link alla recensione su Il Detonatore: https://bitly.ws/3dtgb