Hotel DF
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Lo straniero
Anche gli uomini grigi meritano di raccontare la propria storia e se nelle loro vite non ci trovate nulla di attraente o eccitante, forse è perché sono buoni, e la bontà non vale niente ai giorni nostri. Possiamo interrogarci sulle ragioni della loro opacità: perché questi uomini non attirano l’attenzione se occupano uno spazio che nessun altro potrebbe occupare senza infrangere le leggi della fisica? Cercare una risposta non serve in questo caso e loro resteranno impassibili, senza dare alcun segnale di volerci raccontare la propria storia. Le cose stanno così, raccontarci le minuzie delle loro vicende personali li porterebbe sulla sponda opposta, ma loro non appartengono al mondo delle creature disposte a raccontarci le proprie avventure. La loro nozione di fantasia è angusta e il loro egoismo svanisce dopo pochi secondi. È un sollievo, d’accordo, ma nonostante la modestia apparirà presto o tardi uno straniero che si approprierà delle briciole, dei ricordi. Uno straniero o un pettegolo? È un ruolo scomodo: diventare uno straniero, lo scomodo forestiero, che scriverà centinaia di pagine sulla vita di Frank, l’artista Henestrosa, un lavoro inutile e indecente, perché i ruoli non vanno sprecati con tanta leggerezza, a meno che un impulso selvaggio non spinga gli asini nel crepaccio. Nel ruolo dello straniero, che si eccita nel raccontare le peregrinazioni degli altri, è fondamentale marcare bene i limiti. Gli esseri grigi non hanno troppi spigoli e pochi fili da tirare, son fatti così, è bene capirlo fin da subito: Henestrosa non è un uomo memorabile e tutto ciò che gli succede non accade esattamente a lui. Com’è possibile? Dovremo chiederlo alla prima persona che passa per strada. L’unico aspetto positivo di tale mediocrità è che permette ai guardoni di fissare gli occhi sul cortile di una vita sprecata, dà un certo sollievo vedere uomini modesti adagiarsi su una sedia a rotelle, quando sognavano di diventare campioni olimpionici.
L’artista Frank Henestrosa alloggia in un hotel di calle Isabel la Católica, nel centro di Città del Messico. I motivi che spingono questo imbecille a spendere i suoi soldi per dormire in una stanza che non conosce sono la noia e la malinconia, che nascono dalla consapevolezza dell’essere assente, un uomo che non c’è. Come si può facilmente dedurre, l’essere assente non è altro che lo stesso Henestrosa, non i suoi defunti genitori, né gli amici che hanno rinunciato a esserlo per non venir contagiati dalla stessa abulia rettiliana. La cosa interessante, di questa aberrazione, è che l’idea di pernottare in quell’hotel non aumenterà la sua felicità, né lo metterà sulla retta via, l’essere assente non sa quali siano le rette vie. I bifolchi hanno fiuto particolare per trovare una pianta velenosa in mezzo al deserto, farla passare dall’esofago senza masticare. E in quale albergo alloggerà il nostro Henestrosa? In un nido d’insetti che si credono più furbi di una volpe. Quando nel guardaroba si ha solo un cappotto di cachemire, si può star certi che i ladri lo porteranno via molto presto e il cappotto di Henestrosa non lo salverà dal fetore d’olio inzaccherato e legno vetusto che emana dalle pareti del modesto hotel in stile coloniale, intitolato a un’ex regina. La storia non ha bisogno di essere raccontata e quasi nessun orecchio sarà felice di ascoltarla. Per questo è urgente iniziare.