“Gli ultimi sognano a colori” su La Nuova Sardegna
La Nuova Sardegna
15 dicembre 2016
Il mondo a colori di chi combatte con gli ultimi. Esce la biografia di padre Salvatore Morittu. Ai tossicodipendenti chiedo lavoro e cultura
«Il mio cammino con i tossicodipendenti si fonda su due pilastri: il primo è l’amore, il decondo il progetto. Perché l’amore da solo non basta, prima o poi si trasformerebbe in odio. Così come un progetto da solo non può andare avanti senza essere supportato dall’amore», Padre Salvatore Morittu, oltrepassato lo striscione dei settant’anni, decide di raccontarsi in un libro scritto insieme a Giampaolo Cassitta; un’opera che svela i suoi angoli più nascosti e aiuta a capire meglio le sfumature di una delle figure più importanti in Sardegna nella lotta alla tossicodipendenza, pioniere delle comunità di lavoro che ha fondato agli inizi degli Anni Ottanta. Non ha mai avuto paura di prendere posizioni precise anche all’interno della Chiesa, scegliendo di rimanere frate e abbandonando la strada del sacerdozio. E non ha paura di raccontarsi «perché ho avuto una vita bella, più di quanto potessi immaginare. A settant’anni ho sentito il bisogno di condividere quanto mi è stato donato, compreso lo stupore di vedere come è stato il mio percorso di vita».
Perché stupore? «Geneticamente e culturalmente ero destinato ad altro. Sono figlio di una famiglia di pastori di Bonorva, ultimo di quattro figli. Non eravamo ricchi ma nemmeno poveri, alla fine della Seconda guerra mondiale la mia famiglia possedeva terreni e bestiame, non potevamo certo lamentarci. Però di fronte a casa, a cinquanta metri, c’era un convento. Io sono diventato frate, una delle mie sorelle suora. La mia storia è fatta di incontri che hanno segnato una serie di deviazioni da quello che sembrava il cammino naturale e quasi scontato di un ragazzo nato per essere pastore».
Il primo di questi incontri? «Alle scuole elementari, con una maestra che convinse la mia famiglia a farmi continuare gli studi. Per le scuole medie andai dai frati, che poi mi mandarono a San Pietro di Silki per il ginnasio. Per il liceo fui inviato di monte Laverna, in Toscana, luogo austero e severo. Nel 1968 andai a studiare teologia a Firenze, in piena contestazione, anche interna, e fu un’esperienza molto formativa. Aderii a una corrente di pensiero che voleva coniugare Marx col Vangelo, si chiamava “Cristiani per il socialismo”. E in quegli anni maturai la decisione di restare frate, dopo altri studi a Gerusalemme e una lunga notte a Palmira. Tornai alla Statale di Roma, feci una tesi sui manicomi proprio nel periodo nel quale si discuteva la legge Basaglia».
L’incontro con il mondo delle tossicodipendenze in quali circostanze è avvenuto?
«Tramite un superiore che a Cagliari mi fece conoscere gli scritti di padre Eligio Gelmini, il padre spirituale di Gianni Rivera. La notte stessa diedi la disponibilità ad avviare un progetto: avevo capito che quello sarebbe stato il modo giusto per utilizzare tutto il patrimonio di conoscenze che avevo accumulato negli anni precedenti. La prima comunità nacque a Cagliari, svuotando per metà un convento. Di lì mi spostai a Siligo, nel 1982».
Sono passati più di trent’anni: cosa le ha portato questa esperienza? «Intanto, come ho già detto, la possibilità di far confluire tutto assieme quello che ho imparato nella prima parte della mia vita. E poi sentirmi autenticamente padre. Padre nella durezza dell’impegno, nel fatto di essere sempre coerente perché se chiedi qualcosa non puoi più sbagliare».
E lei che cosa chiede a un ragazzo che arriva nella sua comunità? «Tre cose. Prima di tutto la conoscenza di se stesso. Poi il lavoro. Non retribuito ma vero, come veri sono gli animali e la terra di cui si occuperà. E poi la cultura. Noi leggiamo tanto, guardiamo poca televisione. L’obiettivo finale è portare la persona a essere un “militante disadattato”, che combatte per le idee che si è creatoed è consapevole di far parte di una minoranza».
Ha avuto anche sconfitte e delusioni, in questi anni. «Succede quando lavori con i cervelli. E le persone possono essere fragili. Non solo gli ospiti, anche gli operatori. L’importante è far fruttare queste sconfitte».
Perché non collabora con la sanità pubblica? «Per due motivi. Il primo è che mi imporrebbero solo persone inviate dal Serd, il secondo è che deciderebbero anche la durata del soggiorno. Non sono ipocrita, quei soldi mi farebbero comodo e ssaprei anche come utilizzarli. Vorrei che cambiasse la legge, anche se è difficile: la tossicodipendenza è un argomento scivoloso, difficilmente le forze pubbliche troveranno un’intesa comune».
(Roberto Sanna)
L’OPERA
Un’amicizia che si trasforma in un libro
Duecentonovanta pagine, edito da Arkadia, Gli ultimi sognano a colori nasce dall’amicizia tra Giampaolo Cassitta, attualmente dirigente della giustizia minorile, e padre Salvatore Morittu. È alla fine di una giornata trascorsa nel carcere di Alghero, diversi anni dopo il primo incontro, che Cassitta scopre un nuovo padre Morittu: «Buon affabulatore, bravissimo nel raccontare e ricordare molti passaggi della sua lunga esperienza e testimonianza di vita», racconta nella postfazione. Ed è da Cassitta che parte l’impulso nel 2013: «Siamo partiti con un piccolo zaino senza una bussola, a cercare queste storie tra le strade che Salvatore ha finora percorso» scrive ancora, aggiungendo poi una tappa suggestiva:: un viaggio a Gerusalemme. «Ho capito, in quel viaggio, cosa significa essere ultimi e stare dalla loro parte. Quel camminare sulla terra aspra e sola mi è servito per comprendere tutti i gesti e le parole che Salvatore Morittu ha disegnato nel corso del suo cammino».
Il libro può essere acquistato in tutte le librerie oppure direttamente nella comunità Mondo X diretta da padre Morittu,