“Gli ingranaggi dei ricordi” su SoloLibri
Gli ingranaggi dei ricordi di Marisa Salabelle
Arkadia Editore, 2020 – In una bella storia di intrecci familiari, ricordi e incursioni tra passato e presente, a cavallo di settant’anni, rivivono le vicende di due gruppi parentali sardi, in parte vere in parte immaginarie
“Questa è una storia di intrecci familiari di flashback, di incursioni tra passato e presente, dove delineo le vicende di due gruppi parentali i Serra-Zedda e i Dubois”.
Non si sbaglia affidando all’interpretazione autentica dell’autrice, Marisa Salabelle, il senso del romanzo Gli ingranaggi dei ricordi, pubblicato per la casa editrice cagliaritana Arkadia (collana Eclipse, 182 pagine, 15 euro), a settembre dell’anno scorso. Nata a Cagliari, laureata in storia a Firenze, Marisa Salabelle vive a Pistoia dal 1965 e ha insegnato nelle scuole dal 1978 al 2016, avviando nel 2015 la carriera narrativa con il primo di due gialli (il secondo è apparso nel 2019), finalisti in concorsi di genere. Questa produzione si stacca invece dal poliziesco e affronta la storia, alternando due piani temporali, il 1943-44 e il 2015-16, con l’aggiunta di robusti argomenti di fantasia: “d’invenzione”, direbbe la prof.ssa Salabelle citando Manzoni. Si tratta quindi di vicende vere, raccontate con una certa libertà.
“Ho voluto dividere il racconto in capitoli e mescolare un po’ le carte”
spiega, sempre nella nota che anticipa il romanzo.
I capitoli pari descrivono quello che capita agli Zedda e Serra, i congiunti di Generosa, che appare portando con sé tutto il carico di ansie patite nella seconda guerra mondiale. Vive in un’isola assediata dal mare e dal cielo dagli angloamericani, nella primavera 1943 e in una Cagliari che l’aviazione nemica non lascia in pace. Nella città isolata, affamata e continuamente bombardata, non è un bel momento per attendere un figlio e poi crescerlo. Infatti Generosa riparerà in campagna, per allontanarsi dei pericoli e dalle distruzioni. I capitoli dispari narrano invece le traverse dei Dubois, in particolare di Felice, un diciottenne che sempre nel 1943 e sempre a Cagliari accompagna il babbo commerciante all’imbarco sul raro e temerario traghetto, che sfida la minaccia dei sommergibili in agguato sulle rotte per il continente. Col ragazzo ci sono le sorelle Bella, 16 anni e Demy 15, la “zoppina”. È lei in effetti a essere la prima ad affacciarsi nel romanzo, da ottantasettenne, con la sua corrispondenza con Carla, figlia di Felice (che non c’è più, anche se la sorella minore non ricorda che sia morto: che volete, dimentica sempre tutto, sarà anche per la salute vacillante…). La nipote vive in Toscana ma raggiunge spesso la zia in Sardegna, per accudirla. Oltre settant’anni prima, il fratello capo famiglia di fatto e le due sorelle girano l’isola dando vita a una serie di avventure e incontri. Anche per loro il capoluogo è pericoloso e poi, all’interno, la pur modesta economia agricola consente di trovare più facilmente il necessario per nutrirsi. Il bimbo che Generosa aspetta non è il primo, si aggiunge a Maria, 16 anni, Augusto di 10, Giorgio di 8 e Nando, di 5. Il marito Ruggero è sessualmente iperattivo. Nella Cagliari ferita e destabilizzata dal conflitto era anche instancabile nel soccorso ai feriti, prima di essere trasferito nell’ospedale militare di Roma. Si dice che nella capitale si sta di certo più sicuri che altrove, sotto lo scudo del Vaticano che tiene lontani i bombardieri, ma Generosa è in pensiero per la sua famiglia, i Serra. La sorella Gisella insegna lì e il fratello minore, Silvio, è un ribelle, una testa matta, di sentimenti antifascisti, che non regalano certo tranquillità in questi anni difficili. Attraverso Silvio, entra in scena un altro protagonista, laureando in storia a Bologna nel 2015, con tesi sulla figura di un partigiano dei Gap romani, fratello della bisnonna Generosa. Zio Silvio è una gloria di famiglia: giovane sardo amico di Luigi Pintor, attivo nella Resistenza a Roma, si diceva forse coinvolto nell’attentato di via Rasella, poi arrestato dai Tedeschi e morto in circostanze misteriose. Potrebbe anche essere finito tra i trucidati delle Fosse Ardeatine, nella rappresaglia dopo l’esplosione davanti a Palazzo Tittoni. Nel romanzo si accenna a corpi non ancora identificati, ma si aggiunge anche che l’elenco dei 335 martiri è definito, sebbene non tutti i resti sia stata attribuita un’identità e un Silvio Serra non figura tra gli uccisi. È un nome che ricorre spesso nelle memorie dei protagonisti della Resistenza, di sfuggita, senza particolari certezze. Accennano anche alla sorella Gisella, attiva come lui nel movimento partigiano. Il dizionario della Resistenza Einaudi lo definisce “un eroe sconosciuto”, ricorda Marisa Salabelle, attratta dal mistero di questo corregionale. Per parlarne, ha letto e consultato tante fonti, ha visto filmati, fatto appello a ricordi e testimonianze. Le sono serviti a cercare di farlo vivere, agire, conversare con gli altri, nel romanzo. Ha lasciato anche correre l’immaginazione e tutto questo rende il racconto non scontato, vivace per l’alternarsi dei segmenti narrativi bifamiliari e intenso nelle vicende storiche affrontate. Riconosciamo all’autrice di avere anche alleggerito momenti decisamente seri e cruenti con un tono leggero della narrazione, ma non dissacrante. Nella figura del generoso Felice rivive invece il padre di Marisa, protagonista nei ricordi della zia Demy, quella con una gamba “matta”, più piccola dell’altra per colpa della polio, che fino agli anni Sessanta non perdonava, prima della comparsa del vaccino Sabin.
Felice Laudadio
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