Gli altri sono più felici

Un estratto del romanzo di Laura Freixas

 

 

UNO

 

Sono venuta soprattutto per vederti, è chiaro, e per parlare dei Soley. Mi hanno proprio cambiato la vita. … Neanch’io, non credere. Tre o quattro volte in questi trent’anni. Eppure sono stati determinanti.
In casa non li chiamavamo «i Soley», ma «i cugini catalani». Beh, era mia madre che li chiamava così; mio padre diceva «i catalani» e basta. Con un tono… come quando il signor Soley diceva «minyona», domestica in catalano: come se si togliesse dalla bocca qualcosa di ripugnante… Diceva «i catalani» con ironia, come se suonasse un campanello, di quelli che si usavano nell’antichità per avvisare dell’arrivo di un lebbroso. Era una specie di messaggio morse. Un messaggio che io non capivo, ma che ovviamente mia madre sì. Appena mio padre diceva «i catalani» con quel tono lì, immediatamente mia madre saltava su e cominciava a parlare dei «pezzenti», e diceva: «Vuoi che tua figlia continui a passare tutte le estati circondata da pezzenti?» Mia madre proveniva da un paesino de La Mancia e fino agli anni ’70 ci ho passato sempre le vacanze estive. Mio padre non rispondeva, abbassava il capo e continuava a mangiare. Mio padre, adesso che ci penso, non discuteva mai con mia madre, si limitava a lasciare che quelle frasi, che sembravano piene di maiuscole – «Tua Figlia… Tutte le Estati della Sua Vita…» –, morissero da sé, si spegnessero per assenza di pubblico. Povera mamma, dopo che aveva fatto di tutto perché i Soley, finalmente, m’invitassero a passare l’estate con loro.
A prima vista pareva tutto dovuto a un colpo di fortuna, a una serie di circostanze. Tutto cominciò con le domestiche, Epi e Circon, te le ricordi? Erano sorelle, lo sapevi? E provenivano dal paesino di mia madre. Due anni prima di quella famosa estate, i Soley avevano bisogno di una domestica per donna Lucia e così chiesero a mia madre se conoscesse una ragazza da raccomandare giù in paese. Che grande opportunità per mia madre poter arrivare in paese e far correre la voce che i suoi cugini catalani avevano bisogno di una ragazza! Ricordo ancora benissimo il giorno in cui andammo a casa della zia Zambomba a chiedere se una delle sue figlie fosse disponibile.
… Non ne ho la minima idea. In paese tutti avevamo un nomignolo, per alcuni se ne capiva il perché: lo zio Ojillos – occhietti –, lo zio Barbero – barbiere –, ma quello della zia Zambomba, veramente non saprei, non so neanche perché la sua famiglia venisse chiamata i Pepín – i cetrioli – e quella di mia madre i Perejiles – i prezzemoli –. Epi e Circon no, non sono soprannomi, sono diminutivi; io non mi ero mai chiesta da che nomi provenissero e comunque te lo racconterò più avanti, perché fu clamoroso come venni a saperlo, anzi no, come lo scoprimmo tutti quell’estate a casa dei Soley.
Così nel ’69 eravamo andati a casa della zia Zambomba a chiederle della ragazza e, mentre mia madre parlava e descriveva donna Lucia – «una signora anziana, vedova, che non dovrebbe dare molto da fare, e tua figlia avrà una stanza tutta per lei» –, mia zia mormorava a voce bassissima: «Dai… Dai!», impressionata, arrossendo, come se si vergognasse di pensare a tanto lusso, mentre a Epi luccicavano gli occhi. In casa della zia Zambomba non c’era il bagno, chiaramente, ma solo un cesso di quelli con un’asse di legno su una fossa. Poi due anni dopo i Soley ebbero bisogno di una domestica per loro, perché quella che avevano se ne 9 andava per sposarsi e mia madre, come sempre, ricorse alla zia Zambomba. La zia l’accolse a braccia aperte, diceva che Epi era molto contenta in Catalogna e che non l’avevano più vista da quando era partita, ma che inviava denaro a casa e che l’altra sorella, Circon, non vedeva l’ora di andarsene anche lei. Mia madre le assicurò che i Soley l’avrebbero trattata «come una figlia»… Circon doveva avere diciotto anni ed Epi venti, o giù di lì. Quindi mia madre approfittò del viaggio di Circon perché andassi a La Tramontana anch’io; era entusiasta di aver potuto offrire un doppio favore: uno ai Soley trovando loro le domestiche, e l’altro alla zia Zambomba riuscendo a sistemare le due figlie in una buona famiglia.
Ma perché mia madre se l’era presa così a cuore e perché aveva tanto bisogno di far dei favori? Se lei mi sentisse porre questa domanda mi direbbe: come sei malpensante, come sei contorta figlia mia, cerchi sempre il pelo nell’uovo; e ancora: non credi forse che esistano persone che fanno favori per il piacere di farli, che non chiedono niente in cambio? Ma io, che la conosco, so che non fa niente per niente, anche se ci ho messo degli anni a scoprire i suoi obiettivi. Però non voglio dire che si trattasse sempre dello stesso intento. No, si trattava piuttosto di una politica generale. Mia madre si teneva sempre aggiornata per sapere se qualcuno aveva bisogno di qualcosa, se aveva bisticciato e con chi, e di chi si malignava… Contrariamente a mio padre, che non lo si riusciva mai a distogliere dai suoi bilanci e dalle sue cambiali; l’altro terreno, quello sul quale mia madre si muoveva con grande disinvoltura, a lui parevano quasi sabbie mobili, paludi, piatti di melassa sui quali sarebbe rimasto appiccicato se solo si fosse avvicinato. Mia madre invece ci sguazzava molto bene in quel tipo di situazioni, come ti stavo raccontando, e il suo modo d’intrallazzare era di fare dei favori: «Io ho sistemato tua figlia, io mi sono presa cura di tuo padre quando ha avuto quell’ultima malattia, mio marito si è tanto raccomandato col suo capo affinché ti desse quell’impiego…»


Arkadia Editore

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