Giovanni Maria Angioy e la Nazione Mancata

Un estratto del saggio di Andrea Pubusa

 

INTRODUZIONE
LACONI E LUSSU: IL MOVIMENTO ANTIFEUDALE
E LA “NAZIONE MANCATA”

 

Neppure l’eco della polemica fra Laconi e Lussu sulla Storia della Sardegna è più nella mente dei politici odierni – incapaci di attingere a quelle fonti –, ma non è sopita fra gli studiosi di cose sarde. Lussu, leader sardista e poi socialista, scrittore (Armungia 1890-Roma 1975), costituente e deputato al Parlamento, senatore della repubblica, aveva scritto su “Il Ponte” un articolo su “L’avvenire di Sardegna”; Laconi, anche egli deputato e costituente, uno dei leader di nuova generazione del Partito comunista italiano, gli aveva risposto con un articolo su “Rinascita sarda”. Balzano all’occhio, anche a una lettura sommaria, l’alta sensibilità e il livello culturale dei protagonisti, notissimi all’epoca e tutt’oggi non dimenticati, e ancor più colpisce il lettore la passione civile e storica.
Nel settembre del 1951, Piero Calamandrei – giurista, antifascista, fondatore del Partito d’Azione –, dedica alla Sardegna un numero speciale monografico della rivista “Il Ponte”. Sessanta saggi, in gran parte di autori sardi, affrontavano diversi aspetti della storia dell’isola. “Il Ponte” dedicò numeri monografici anche ad altre regioni. Un’iniziativa eccezionale e di alto livello, cui mancano – come dirà poi Lussu – alcuni altri interventi di valore assoluto per la defezione degli autori.
Nel gennaio del 1952 Renzo Laconi su “Rinascita Sarda” recensisce la rivista e, dopo gli scontati apprezzamenti, mette in luce l’organicità della raccolta e lo sforzo di «fornire al lettore un itinerario preciso» per la graduale «comprensione dei problemi peculiari della Regione, dopo averlo fornito di una documentazione storica e di un criterio d’indagine». In realtà, con eleganza e leggerezza, Laconi vuole giungere alla sua obiezione di fondo, ossia a contestare il brusco passaggio, nella narrazione, dalla preistoria e dalla storia antica alla «cronaca contemporanea», ignorando quasi del tutto «alcuni dei momenti più interessanti e più vivi della storia sarda». «Quattro o 10 cinque ponderosi saggi», lamenta Laconi sulle vicende della Sardegna nuragica, punica, romana ma «nulla o quasi si dice di quella civiltà dei Giudicati che diede una struttura tanto durevole all’organizzazione sociale del mondo indigeno e costituì la premessa dell’autonomia amministrativa conservata dalla Sardegna fino al 1847 sotto tutte le occupazioni straniere e forestiere». Di più e peggio, nessuna «degna trattazione della rivoluzione contadina che prese il nome dall’Angioy, ma vi è quasi del tutto ignorato quell’Ottocento sardo che vide una serie di fatti rivoluzionari come l’abolizione del feudalesimo, il “generoso errore” dell’unificazione, il primo sorgere di una cultura “sardista”, l’intervento del capitale industriale e la nascita del movimento socialista». Poi l’affondo critico a Lussu. La lacuna nella trattazione non pare casuale e, comunque, obiettivamente avalla «in pieno la tesi della disunione dei sardi e quindi dell’immobilità storica della Sardegna, su cui ripiega amaramente anche l’appassionato sardismo di Emilio Lussu che ha dettato una bella introduzione al volume».
Se teniamo conto dell’autorevolezza di Lussu, del mito del Capitano dei Rossomori, non si può negare che il giovane Laconi abbia avuto un certo coraggio o, se si preferisce, sconsideratezza, nel definire quello di Lussu un «sardismo acritico» e nel ricordare come «l’ideologia nazionale e la nazione sorgono da un processo storico che non può essere retrodatato e la pretesa disunione dei sardi come degli italiani corrisponde in realtà a forme di aggregazione diverse da quelle che noi cerchiamo».
Che Laconi sia stato irriverente fino alla lesa maestà lo si comprende leggendo la lettera privata che gli indirizza Lussu il 27 gennaio 1952. Senza mezzi termini, gli manifesta la sua sorpresa per lo scritto e gli contesta «l’“opportunità” estremamente discutibile, di scrivere quanto hai scritto in un foglio che non è una rivista di cultura, ma un giornale letto dalle masse». Lesa maestà, ma insieme l’esigenza in un momento duro della lotta politica nel paese di non mostrare diversità di punti di vista in seno alle figure di riferimento delle masse, quali Lussu e Laconi erano indiscutibilmente. Lussu gli rimprovera anche una certa supponenza intellettuale e astrattezza dottorale, a cui imputa alcuni gravi errori di Laconi.
11 Lussu non replica solo in privato, lo fa anche in pubblico con una lettera aperta a Velio Spano, direttore di “Rinascita Sarda” nel numero del febbraio 1952. «Da oltre un secolo noi sardi», scrive l’allora deputato socialista e fondatore del PSd’Az «indaghiamo con tanta passione il nostro passato, sino alla preistoria, e v’è amorevole la speranza di trovarvi un compenso allo squallore e al silenzio dei secoli più vicini, compresi i moderni. Non credo che i documenti recenti ritrovati negli Archivi di Barcellona e di Madrid ci rivelino sorprese. I Giudicati e gli Stamenti, che peraltro non sono nemmeno usciti dalle nostre viscere, cioè oltre dieci secoli di storia più vicina, sono là a dimostrarci la povertà fissa del nostro passato». Tuttavia la fissità – ammette – è spezzata dall’esperienza di Angioy e dal movimento antifeudale «che si riallaccia alla Rivoluzione francese». Ma dura un battito di ciglio. «Sembra rompere l’incantesimo ma cade nel vuoto». Lussu non arretra e motiva puntigliosamente. Perché «tanta decadenza e immobilità? Io l’attribuisco a fattori molteplici che hanno reso possibile la permanente, schiacciante sopraffazione della classe colonizzatrice. Altri popoli, e non solo la Sardegna, hanno conosciuto questa nostra stessa immobilità. Per cui niente lotta politica – niente lotta di classe – fino alla nostra prima organizzazione degli operai e dei contadini: data che segna l’inizio della nostra vera storia, della ripresa della nostra iniziativa, della nostra rinascita». Per Lussu la Sardegna entra nella Storia con il movimento socialista, attraverso la finalmente acquisita soggettività delle masse.


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