“Giovani ci siamo amati senza saperlo” su Avvenire
Fra le calli amore e gelosia di vite giovani
Una vicenda d’amore permeata di sconvolgimenti e di nostalgia, che si sdipana tra le calli di Venezia nei primi anni Novanta del secolo scorso: è il demone narrativo del nuovo romanzo di
Emanuele Pettener, Giovani ci siamo amati senza saperlo (Arkadia, pagine 120, euro 14). Il titolo prende l’abbrivo da una poesia di W.B. Yeats, Dopo un lungo silenzio, dove il vate irlandese
cantava nel distico conclusivo (qui tradotto da Eugenio Montale): «La decrepitudine del corpo è saggia: giovani / ci siamo amati senza saperne nulla». Pettener, veneziano che insegna lingua e letteratura italiana alla Florida Atlantic University di Boca Raton, crea quattro protagonisti che vivono una dirompente e tragica passione amorosa nella Venezia deromanticizzata di trent’anni fa,
ancora sanguinante dello scempio urbano seguito all’invasione per il concerto dei Pink Floyd, e costantemente ferita dall’eccesso di turisti senza volto e dall’ombra lunga delle raffinerie di Marghera. Emanuele (Ema nel romanzo) è una matricola universitaria, che cerca un altro studente per condividere l’appartamento: troverà Rodrigo, uno svizzero educato ed erudito, che dietro l’atteggiamento imbranato e quasi caricaturale nasconde un incendio interiore pronto a detonare. Qui si inserisce l’incontro con il femminino: Barbara dapprima, poi Sabrina (detta Feli), due ragazze molto diverse tra loro ma ognuna con un misterioso gioco di seduzione da offrire. La vicenda d’amore magnetizza l’energia dell’io narrante e con essa la suspense: affondi e fughe, timidezze ed imprevisti, eros e rimorsi svaniscono e si ricompongono. Come già nel suo precedente romanzo, Floridiana, anch’esso pubblicato da Arkadia, Pettener descrive con un impetuoso afflato, lirico e psicologico a un tempo, il tormento amoroso e la conseguente gelosia, che di dimenano tra la difficile speranza e la pulsione vitale: «Cercavo di cancellare ogni tentazione di guardarla negli occhi, farle un nuovo complimento, cedere a quel mostro potente e magnifico che sentivo ruggire… ma quando i nostri sguardi s’incontravano, non potendo più farne a meno, ecco di nuovo e ogni volta inevitabilmente, quella danza sensualissima, elettrica, gravida di desiderio». Nel romanzo, l’autore inserisce molteplici elementi colti: dalla commedia in commedia
(«sapevamo che nel copione c’era»), a numerose citazioni; dallo humour, che sempre permea le venature del racconto – anche nell’inquietante finale – alle acute riflessioni di tema psicologico, con
cui a vent’anni Ema cerca di fissare alcuni punti fermi della vita («Il dolore è sempre egoista. E il dolore è sempre distratto»; «il desiderio è un ottimista inguaribile»). Fino alle pennellate che, in più punti, schiudono l’imperitura dolcezza screziata della città: «Filtrata dall’aura luminescente di fanali e lampioni, come ritagliata in un’ambra gialla immersa nel buio notturno, Venezia sembrava fatta d’argento e di cristallo».
Enrico Grandesso
Il link alla recensione su Avvenire: https://bit.ly/3JjDOhE