“Garibaldi la spada dei Mille” su SoloLibri
Garibaldi la spada dei Mille di Pietro Picciau
Arkadia, 2021 – Secondo volume del trittico che lo scrittore sardo sta dedicando al generale. Segue “Garibaldi il corsaro”, del 2019 e precede l’ultimo dei tre romanzi basati sul racconto biografico dello stesso anziano condottiero.
Finalmente luce sui periodi della vita di Giuseppe Garibaldi non trattati nelle biografie e nelle ricerche di storia. Uno è il rientro in patria, nel 1848, dell’eroe della libertà nel Sudamerica, alla testa della Legione italiana di Montevideo. Si avvia a bordo del brigantino atlantico Speranza il seconda volume del trittico che lo scrittore sardo Pietro Picciau sta dedicando al generale. Garibaldi la spada dei Mille è uscito in autunno (2021, 376 pagine) per i tipi della casa editrice cagliaritana Arkadia. Segue Garibaldi il corsaro, del 2019, e precede l’ultimo dei tre romanzi basati sul racconto biografico dello stesso anziano condottiero a un giovane ospite inglese. Nel 1873, il cutter di Nicholas è naufragato sugli scogli di Caprera, l’isola dove Garibaldi si è ritirato con l’ultima moglie Francesca Armosino e i figli più piccoli Clelia e Manlio, in quella che ha costruito come una estancia argentina. Dopo aver combattuto per l’autonomia di Stati e province in America Latina, alla notizia delle insurrezioni a Palermo ha deciso con i giovani della colonia tricolore di raggiungere l’Italia lontana e divisa, dove attizzare il fuoco della rivoluzione per l’unità nazionale. Sessantatré uomini per sessantotto giorni di navigazione, nell’aprile-giugno 1848. Nella sua Nizza, Garibaldi si riunisce alla madre Rosa e all’amata Anita, che aveva fatto trasferire in precedenza, con i piccoli Menotti e Ricciotti. Le fama delle imprese libertarie sudamericane lo ha preceduto, viene acclamato da tutti. Nel Lombardo-Veneto si combatte, i milanesi sono insorti a marzo e hanno cacciato gli austriaci. Il re del Piemonte Carlo Alberto ha issato il tricolore e mosso guerra all’Austria. L’intera Europa è in fermento, i giovani borghesi si battono per la libertà e la costituzione, a Parigi è stata dichiarata la Repubblica, perfino a Vienna Metternich è stato costretto dai moti ad allontanarsi. Il Granduca di Toscana, il papa e Ferdinando di Borbone hanno dapprima appoggiato il Regno sardo, poi hanno ritirato le truppe dal settentrione. Non li convince l’alleanza antiaustriaca con il Savoia, che di certo vorrà annettere la Lombardia a vantaggio suo, pensa Peppino. Ciononostante, con la Legione si mette al servizio di Carlo Alberto, interprete della volontà unitaria del popolo italiano. Animato dalle più patriottiche buone intenzioni, Garibaldi incontra il re, che lo tratta freddamente. Gli rammenta che i suoi uomini devono sottostare alla disciplina militare. A Torino non riceve ordini dai ministri. A Milano viene genericamente autorizzato a far parte dell’esercito lombardo, ma non ottiene armi e uniformi, solo i resti raccogliticci di magazzini austriaci. È chiaro che non li vogliono “tra i piedi”. In città c’è Giuseppe Mazzini: due grandi repubblicani nello stesso luogo e momento, ma uno, uomo d’azione generoso e impulsivo, considera l’altro un visionario, portato a dividere più che unire dall’osservanza fanatica delle idee antimonarchiche. E l’ideologo, legato rigorosamente al credo repubblicano, reputa l’intraprendente capo militare un inguaribile ingenuo, troppo disposto a mettere da parte i principi pur di agire. Mai impegnata in combattimenti, la Legione è sorpresa nei pressi di Varese dalla ritirata sabauda e dall’armistizio di Salasco. Gli austriaci mettono alle costole dei garibaldini le colonne del generale D’Aspre, per liquidare quella che considerano una pericolosa banda armata. Garibaldi sposta continuamente i suoi, falcidiati dalle diserzioni. Sono scoperti dal nemico nei pressi di Luino, ma il generale ricorre alla tattica preferita: l’assalto alla baionetta. Quattrocento volontari italiani contro milleduecento coscritti tirolesi, disorientati dall’ardimento di quei pochi giovani, senza due fucili uguali. D’Aspre incassa l’insuccesso alla Beccaccia, ma continua a premere e accerchiare: non c’è scelta, la Legione passa il confine col Canton Ticino e si scioglie. Debilitato dalla malaria, contratta in Italia mentre lo aveva risparmiato nei territori sudamericani insalubri, Garibaldi rientra in Liguria e viene ancora una volta acclamato a Genova, dove si distingue un giovane poeta, Goffredo Mameli, che pare abbia scritto parole patriottiche che infiammano sulle note del maestro Novaro. I progetti sono tanti, assalire la Lombardia, darsi alla guerriglia. Si parte per Venezia, dove la Repubblica di Manin resiste agli Asburgo, ma sulla strada arriva la notizia della rivoluzione a Roma. Il popolo si è sollevato contro lo Stato della Chiesa, il ministro reazionario Pellegrino Rossi è stato ucciso, Pio IX è fuggito a Gaeta. Per i volontari si rinnova il problema di tutte le imprese garibaldine: centinaia di uomini da sfamare a ogni tappa della marcia, un peso grave anche per i municipi ben disposti. Lo stesso avverrà dopo la gloriosa ma breve stagione della Repubblica romana. La colonna al seguito di Garibaldi si assottiglia sempre più, ma resta gravoso approvvigionarla nelle soste tra Roma e San Marino. Nei primi di agosto del 1849 si consuma l’ultima speranza di raggiungere via mare Venezia. Il bragozzo dove sono Garibaldi e Anita riesce a sottrarsi alla cattura e a raggiunge la laguna di Comacchio, ma nella pineta di Ravenna la povera Anita è vinta dalle febbri alle Mandriole. L’odio papalino compie l’ulteriore infamia di diffamare Garibaldi d’averla soffocata.
Felice Laudadio
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