Garibaldi il corsaro

Il prologo del romanzo storico di Pietro Picciau

 

Caprera, Sardegna, 22 settembre 1873 

 

«Peppino, hai visite», annunciò senza entusiasmo Francesca Armosino affacciandosi nello studio in penombra del generale. «Un inglese, giovane. Agghindato come un damerino. Dice di aver fatto naufragio.» 
«Per Dio! Dove?»
«A Punta Galera. Stanotte.»
«Fatelo accomodare, e dategli dell’acqua fresca! Sarà molto provato.»
«Aspetta nella sala da pranzo.»
«Accompagnalo qui. Voglio parlarci subito!»
Francesca Armosino sistemò il carrozzino di fronte alla finestra che dava sul piazzale alberato della Casa bianca, come tutti chiamavano l’abitazione fatta costruire dal generale in ricordo delle fazendas sudamericane, e uscì.
Pochi istanti dopo entrò nella stanza un giovane con il viso sbarbato e abbronzato, lo sguardo vivace. Era alto, asciutto.
«Generale», si fece avanti per nulla impacciato, «sappia che per me è un grande onore essere ricevuto da…»
«Non resti lì impalato! Si sieda.»
Colto di sorpresa dai modi spicci dell’uomo sdraiato sul carrozzino munito di scrittoio, dove stavano dei fogli e una penna con il pennino gocciolante d’inchiostro, il giovane accennò un sorriso di circostanza e occupò la sedia accanto alla finestra.
«Ha quindi avuto una nottata movimentata!», lo interrogò il generale.
«Un incubo! Sapevo di non essere granché come marinaio. Ebbene, ne ho avuta conferma… Ma quel che conta è poterlo raccontare!»
«Giusto, ragazzo. Salvare la pelle, prima di tutto.»
«Lasciate che mi presenti. Il mio nome è Nicholas Richardson, nipote del duca William J. Richardson.»
«Devo aver conosciuto un Richardson da qualche parte, anni fa… Forse in Inghilterra.»
«Tenderei a escluderlo, generale.»
«Per quale ragione?»
«Alla mia famiglia non sono mai piaciute le rivoluzioni. E neppure chi le combatte. I miei avi per tradizione sono…»
«E lei? Lei da che parte sta? Con i preti e i despoti o con chi vive in catene?»
«Generale, lasci che le spieghi. Appena ho capito di aver fatto naufragio qui a Caprera mi sono subito messo alla ricerca della sua casa. Sono corso da voi perché, se posso permettermi una confidenza, lei per me è una leggenda. Con altrettanta onestà debbo dirvi che non saprei se mio padre nutra della simpatia per voi.»
«Apprezzo la sua sincerità, figliolo. Non si può piacere a tutti. Dico bene?»
«Ma a Charing Cross e poi a Eton, dove studiavo, c’ero anch’io a rendervi omaggio. Ne ho un ricordo vivissimo. Eravamo in tanti, in quelle giornate, ad applaudirla e a cercare di avvicinarla.»
«Sì, c’era tanta gente… Che giorni, quelli…»
«Memorabili, generale. Indimenticabili.»
«Lei era molto giovane, allora.»
«Un ragazzo con molti sogni. Poi si diventa grandi e… Sa che lei è stato a lungo l’eroe dei miei giochi?»
«Mi lusinga…»
«Generale, la sua visita in Inghilterra nell’aprile del 1864 ha rischiato di fare di me un ribelle.»
«Sono stato quindi un buon maestro… Lo è poi diventato?»
«No. Almeno nel senso comune del termine. Confesso però che per venire a vedere il famoso eroe Giuseppe Garibaldi fui costretto a forzare più di una regola…»
«Immagino…»
Il generale si accorse che il suo ospite parlava un buon italiano e vestiva con ricercata eleganza. Indossava una giacca corta e larga sopra una camicia di lino bianca con il collo montante e un panciotto dello stesso colore. Gli stivaletti neri alla caviglia erano lucidi e abbinati al pantalone beige a vita alta, lungo fino al polpaccio, con doppia abbottonatura sul davanti.
«Il suo battello si è quindi sfracellato sugli scogli», domandò con curiosità Garibaldi.
«Un cutter di amici, credo oramai irrecuperabile. Ho salvato poche cose che ho portato con me.»
«Potrà essere mio ospite fino a quando sarà in grado di riprendere il suo viaggio.»
«Le sarò riconoscente.»
«Ma cosa dice, buon Dio! Siamo ancora capaci di ricevere come si deve degli amici. Tanto più se si trovano in difficoltà.»
«Ero diretto in Sicilia, per affari. Navigavo al coperto. E non avevo certo intenzione di fermarmi in nessuna di queste isole. Sa che non ricordavo che lei fosse ancora a Caprera?»
«Vivo, intende dire?»
Nicholas Richardson arrossì.
«Non intendevo questo, generale…»
«I reumatismi fanno più male delle pallottole austriache e francesi.
Come può lei stesso osservare mi costringono a stare spesso su questo arnese, ma per il resto sono in buona salute.»
Garibaldi tolse il suo ospite dall’imbarazzo.
«Vede quelle lettere accatastate su quel ripiano, alla sua sinistra? Sono soltanto le ultime arrivate. Ne ricevo a sacchi, insieme ai giornali. Ogni settimana il postale che arriva a La Maddalena ne consegna centinaia.»
«Risponde a tutti?»
«Ci provo. Prima se ne occupava il mio caro amico Giovanni Basso, nizzardo come me, vecchio compagno d’armi e prezioso segretario. Ora ci arrangiamo.»
«Ha sempre tanti ammiratori.»
«Sì, scrivono da ogni parte d’Europa e anche dalle Americhe. Mi chiedono di tutto, m’interrogano su tutto. Credono che possa risolvere i loro guai.»
«Che genere di guai?»
«Di ogni tipo: personali, familiari, politici. Gli italiani chiedono più di ogni altra cosa giustizia. A tutti cerco di dare una speranza.»
L’inglese accavallò la gamba sinistra sopra il ginocchio destro e cambiò discorso.
«Le manca l’odore della battaglia?»
Il generale si concesse un lungo respiro, allungò le gambe sul carrozzino e, piegata la testa di lato, posò lo sguardo sul pino che sei anni prima aveva messo a dimora al centro della piazzola su cui si affacciava la Casa bianca.
«Ho piantato l’albero che vede laggiù, quand’è nata mia figlia Clelia. Quattro mesi fa è venuto al mondo il piccolo Manlio, un regalo benedetto dal cielo. Chi ama la vita è per la pace, come ho detto in Parlamento. Ma il fatto è che sto diventando vecchio, mio giovane amico. Troppo in fretta, per avere ancora certi pensieri.»
«Questo la rende infelice?»
«Come può esserlo un uomo che vede gli anni volare, o un agricoltore che aspetta con trepidazione la pioggia che placherà la sete dei suoi campi.»
C’era malinconia nella voce del generale.
Nicholas Richardson si accorse soltanto adesso che l’Eroe dei due mondi, come i giornali chiamavano l’uomo che aveva davanti, non aveva gli occhi cerulei ma castano scuro. Eppure i pittori lo ritraevano longilineo e con la barba, i capelli lunghi e biondi, gli occhi cele- sti. Anche la sua mole, ora che la osservava con attenzione, non era come l’aveva immaginata. Se l’eroe dei suoi giochi era magro e scattante, con la spada e il cappello da pirata, l’uomo che aveva davanti era robusto e pallido, con il volto scavato nonostante la folta barba rossiccia e i radi capelli bianchi. Il generale, con indosso una camicia rossa e pantaloni grigi, gli sembrava triste e stanco.
Rimase però sorpreso quando il vecchio eroe, alzati gli occhi, gli disse con forza: «Ma se intende sapere se mi senta pronto a combattere ancora per dare la libertà anche a un solo uomo reso schiavo dalla tirannide, ebbene, mio caro amico, ecco il mio cuore disposto alla battaglia, ed ecco la mia mano lesta e decisa a impugnare la sciabola!»
Seguì qualche attimo di silenzio. 
Il generale pareva essersi placato, mentre nella camera sembrava risuonare l’eco delle sue ultime parole. Il giovane inglese lo guardava con ammirazione, rapito dalla voce ferma ma dolce e armoniosa appena udita.
Un trascinatore. Questo, pensò Nicholas Richardson, era ancora Garibaldi.
Nella stanza accanto si sentivano i passi di Francesca Armosino, compagna del generale e madre di Clelia e Manlio. Nel piazzale, tra le pietre e le galline che razzolavano indisturbate sotto il sole, la piccola Clelia canticchiava. 

«Luna, romito, aereo, tranquillo astro d’argento / Come una vela candida navighi il firmamento / E in tua carriera antica segui la terra in ciel…» 

«La sua voce è miele per il mio cuore», sussurrò Garibaldi indicando con l’indice la sua piccola. «Lei e ora Manlio mi donano il piacere della vita, fanno ancora di me l’eterno sognatore nato a Nizza quando ancora Cavour non aveva deciso di barattarla con la Francia.»
«Posso farle una domanda personale?», chiese l’inglese. «Certamente, figliolo.»
«Sapeva fin da piccolo che sarebbe diventato un eroe?»
Garibaldi socchiuse gli occhi e si abbandonò a un sorriso.
«Mio caro amico, cos’è un eroe? Io non so che cosa sia, e non so dare una risposta a questa domanda. Posso solo dire che fin da ragazzo ho ascoltato la voce del cuore e seguito gli eventi che si sono presentati sul mio cammino. Ho sempre cercato di fare il bene, mio e di tutti gli uomini miei simili, ho odiato e combattuto i tiranni e le menzogne dei preti, sono stato e sono repubblicano perché questo è il sistema degli onesti, non imposto dai violenti e prepotenti. Anch’io ho commesso errori, ma involontariamente, per troppa generosità. Sappia che sarò sempre amante della pace, del diritto e della giustizia!»
«Perché allora, per mare e per terra, ha combattuto tante guerre?»
«È il modo degli uomini di lottare contro le ingiustizie. Ricordo quel che diceva un generale, tempo fa: “¡La guerra es la verdadera vida del hombre!”.»
«E lei ha creduto a quel generale?»
Garibaldi allentò il colletto della camicia, guardò il suo giovane ospite e gli occhi gli sorrisero.
«Troverà la risposta in quel che ho fatto.» 


Arkadia Editore

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