“Forse un altro” su Il Foglio
Come sopravvivere alle occasioni più imbarazzanti dei pranzi di Natale in famiglia. Grazie ai libri
Dibattiti con i parenti (proprio malgrado), delucidazioni sull’amore e sui figli, tombolate e indigestioni. Ecco una mappa alle migliori vie di fuga letterarie
Anche quest’anno, dei regali di Natale ci interessa poco. Non ne consigliamo, non ne facciamo, aspettiamo solo di ricevere qualcosa, in perfetto spirito natalizio contemporaneo: tutto ci è dovuto. E allora, direte voi, a cosa serve questa lista? A spiegarvi come sopravvivere – grazie ai libri – alle occasioni più imbarazzanti che i pranzi e le cene in famiglia vi prospetteranno.
Buone letture e buona sopravvivenza.
Quando qualcuno vi chiederà: “La laurea? Il lavoro? Ma ti pagano? E di lavoro vero che fai?” scappate e prendete in mano: Strega comanda colore di Chiara Tagliaferri (Mondadori)
Voleva, a conti fatti, fuggire. Le cose belle che accadono a uno di noi, in famiglia, spesso sono vissute dagli altri come un affronto personale.
Il romanzo di Tagliaferri non è semplicemente una storia di famiglia – o forse sarebbe più corretto dire: “una storia di persone che si sono trovate a vivere insieme loro malgrado” –, di un’epoca e di un luogo (anzi due, estremamente diversi fra loro: Piacenza col suo “mal bianco”, la nebbia, e Roma, con tutte le possibilità che offre, caos compreso), ma è soprattutto un romanzo sulla rabbia, sul perdono e sul senso dell’amore, che è diverso dall’amore e basta, fine a sé stesso. Se la protagonista di questa storia, nonché voce narrante, è una giovane nipote di una nonna tremenda, che odia e che vorrebbe vedere morta, è anche vero che tutto ciò che viene descritto non ha soltanto a che fare con la vendetta ma anche con la tenerezza, con quell’idea di maturità che fa capo al filo conduttore del testo: la crescita, la consapevolezza, la formazione. Un ottimo suggerimento per dare sfogo alle proprie tentazioni omicide e resistervi: Chiara Tagliaferri non delude, anzi, vi farà gioire.
Arriverà il momento in cui qualcuno, incautamente, vi chiederà delucidazioni sull’amore: ce l’hai, non ce l’hai, di che razza è, maschio o femmina, ma si può sapere cosa combini guarda che stai per compiere quarant’anni, eh? Ecco, allora voi fate un bel respiro, sorridete e spostatevi in salotto; poi iniziate a leggere: Gli uomini che fanno piangere di Lucrezia Lerro (La Nave di Teseo)
Ricordo ancora l’ultima volta che lo vidi. Da alcuni giorni mi era esplosa l’orticaria, era la scusa buona per tenerlo lontano dal mio corpo.
Offerto al lettore a mo’ di diario, questo racconto lungo di Lerro si dipana in una Milano molto dinamica, ricca di stimoli e di vivacità, in cui Ornella svolge la professione di pittrice. Pittrice che, a un certo punto, su consiglio dello psicoanalista, inizia a prendere lezioni di francese, ed è qui che s’imbatte in un destino che fa parte di una vicenda più ampia, originariamente riservata a terzi: l’insegnante di francese le confessa il sentimento non corrisposto per il cardiologo Amedeo Finori, che da quel momento in avanti Ornella s’impegna a conquistare.
Quel che parte come una sfida personale si trasforma a poco a poco in qualcosa di più, fino a quando Ornella non si rende conto che dall’altra parte c’è sì un uomo di successo, sposato e con tre figli, ma anche un narcisista egocentrico che la tiene costantemente avvinta ai suoi cambi d’umore.
Lucrezia Lerro si rivela ottima narratrice di una realtà tossica e dolorosa, ma soprattutto prova a farci strada in un mondo di relazioni pericolose dicendoci cosa accade, come ci si difende, come se ne viene fuori. La speranza, nonostante tutto, resta il minimo comun denominatore di una vicenda che sa insegnare pur mantenendo intatta la bellezza della poesia, già racchiusa nella parola.
La domanda più scomoda, indelicata, assolutamente fuori luogo che di sicuro qualcuno vi farà a un certo punto è: “A quando un figlio?”. Bene, siete autorizzati a lasciare la tavola senza dire neanche una parola, ma vi consiglio di portarvi dietro: Piccole cose da nulla di Claire Keegan (Einaudi)
Ognuno ha a disposizione giorni e possibilità che non torneranno mai più. E non era forse meraviglioso starsene fermi in un punto e lasciare che il presente per una volta ci ricordasse il passato, per quanto doloro, invece di scrutare continuamente il meccanismo dei giorni e i guai a venire, che forse non sarebbero nemmeno arrivati?
Sono giorni che Bill Furlong, nella cittadina di New Ross, Irlanda 1985 e il Natale alle porte, se ne va in giro col suo furgone a consegnare legna, torba e carbone per far sì che nessuno degli abitanti di fattorie e villaggi rimanga al freddo. Qualcosa, però, in mezzo a questo suo peregrinare sempre identico, lo costringerà a fare i conti con una realtà che non avrebbe mai voluto scoprire: nel cortile silenzioso di un convento, Bill tocca con mano la disperazione a cui tantissime ragazze sono condannate, ed è da lì, da quell’attimo che dura più di quanto avrebbe voluto, che iniziano ad accavallarsi pensieri, ricordi e forse anche sensi di colpa. Per cosa? Per niente e per tutto, per tante “piccole cose da nulla”.
Per chi non sapesse cosa siano (state) le Magdalene Laundries irlandesi, e soprattutto le persone che vi soggiornavano, il racconto lungo di Keegan offre un ottimo spunto di conoscenza e di riflessione, cui seguono tanti piccoli attimi di coscienza che si cristallizzano in una sola considerazione finale: cos’è l’essere umano, e quanto contano il passato, la memoria, ciò che abbiamo vissuto e che non tornerà più, nella nostra vita presente e futura? Quanto le condizionano? E quanto siamo disposti a fare per gli altri?
Una chicca imperdibile.
Quando pensate che il peggio sia passato, arriverà qualcuno che vi proporrà di giocare a tombola o a Monopoli, e che vi obbligherà a ridere ogni volta che urlerà “cinquina!” dopo i primi due numeri. Bene, tenetevi un libro aperto sulle gambe mentre onorate il supplizio: Il giunco di Pia Rimini (Reader for blind)
Tra le scrittrici ingiustamente dimenticate del Novecento italiano c’è di sicuro Pia Rimini, per la quale, al di là della trama di questo romanzo, occorre dire una cosa: se potete, recuperate anche i racconti, sempre pubblicati da Rfb, contenuti in “L’amore muto”, poiché tutto ciò che Rimini ha scritto deve essere letto e conservato con estrema cura, non solo e non tanto perché attinge a piene mani da una storia personale pazzesca e molto triste, ma perché la qualità della sua scrittura – limpida, schietta, feroce e scevra da qualsiasi forma di artifizio – vale ogni centesimo.
Credi di avermi vinta, dominata, perché un impeto di sensualità e una curiosità mi hanno piegata fra le tue braccia? Io ti guardo con occhi che vedono. Che ti ho dato io, di me? Un silenzio complice della tua illusione.
Pia Rimini, scrittrice che parla e non si pente mai, offre punti di vista sempre originali su grandi temi comuni: in questo caso – ove ancora una volta l’ispirazione autobiografica è forte – l’autrice sottolinea la volontà della donna di non sottostare alla sopraffazione maschile. La protagonista Maria, infatti, abbandona la casa natale affrontando grandi sacrifici per un sentimento destinato a rimanere non corrisposto. Tornano quindi i temi non solo dell’amore ma anche della maternità, della relazione extraconiugale e dell’attaccamento alla famiglia.
Se vi chiedono “Cosa fai a Capodanno?” voi mostrate un solo titolo, senza rispondere: L’anno capovolto di Simone Innocenti (Atlantide)
I dubbi sono come ombrelloni messi di seguito sulla spiaggia. E quando se ne accorge è già di fronte al mare, quello in prima fila è il suo: non c’è da retrocedere dinnanzi alle onde, ci manca pure. C’è invece da cavalcarle perché là, in mezzo, i dubbi sembrano quello che sono.
Capodanno. Un gruppo di amici si ritrova a casa di Giulio e Francesca, ricco e disonesto commercialista lui, affascinante gallerista lei. La villa è sontuosa, lo sfarzo non manca, gli amici neppure, i demoni men che meno, ognuno con i propri. C’è chi ha il vizio del gioco, chi un cancro allo stadio terminale, chi tradisce di nascosto e chi invece lo fa con il consenso del partner (ricordate: il tradimento, in questo romanzo, ha un ruolo eccellente e fortunato), ma tutto questo per reggere in piedi quale gioco? Quello del tempo, o meglio, della concezione che ognuno ha del tempo e della quotidianità. Tema, questo, che viene “segnato”, o per meglio dire sottolineato, dalla presenza di un oggetto specifico, la clessidra, grande protagonista della storia assieme ovviamente ai proprietari della villa.
Regalatevi un momento di straordinaria narrazione e leggete Innocenti, che per stile, amor di scrittura e originalità della storia, è quanto di più si avvicina al concetto di letteratura contemporanea.
Se notate che la serata “gioco” (mai voluta né desiderata da voi, ma impostavi con neanche troppo garbo) si protrae più del dovuto, sganciate la bomba e iniziate a leggere ad alta voce, così da mettere paura a tutti: La casa disabitata di Charlotte Riddell (ABEditore)
Se mai una residenza, adatta sotto ogni aspetto a una famiglia di posizione, ha infestato lo studio di un avvocato, la Casa Disabitata, di cui ho una storia da raccontare, ha in tutto e per tutto dannato quello della Craven & Son, al numero 200 di Buckingham Street, a Strand.
Chi conosce ABEditore sa che questa casa editrice pubblica solo roba buona, forte, di grande qualità e soprattutto degna del termine “orrore”. Non fa eccezione questo romanzo di Charlotte Riddell, scrittrice inglese scomparsa nel 1906, che ha partorito una storia apparentemente “classica”, in cui i fantasmi popolano il luogo prescelto proprio come da copione “vittoriano”, ma che nella seconda parte si rivela ben più di un semplice romanzo gotico: diventa un giallo, qualcosa attorno cui si avvinghia lo spettro non del passato ma della verità, o realtà che dir si voglia.
In breve: la giovane Miss Helena eredita la proprietà di River Hall e decide così di affittarla, peccato che tutti gli inquilini, dopo pochissimo tempo dall’inizio della permanenza, scappino a gambe levate, nonostante la casa sia in ottime condizioni. Spettri, si dice, presenze sovrannaturali, si dice. O comunque strani fenomeni, come luci che si accendono da sole e rumori improvvisi. Esasperata, Miss Helena decide di assumere un avvocato per risolvere la questione, e così Petterson, l’impiegato del procuratore, in cambio di denaro va a stare nella casa per verificare da sé le dicerie su River Hall. E chi cerca, trova.
Splendido.
Avete superato tanti scogli in questi giorni di Natale passati in famiglia, ma ne resta ancora uno: il cibo avanzato, che viene riproposto per tutta la durata delle vacanze. Se volete superare bene l’indigestione (tanto sarete obbligati a finire tutto, mettetevi l’anima in pace), iniziate a leggere: Forse un altro di Michele Zatta (Arkadia Editore)
Immagina di svegliarti di soprassalto in una vettura di seconda mano guidata a folle velocità da uno sconosciuto lungo una rapida mulattiera. Non conosci il guidatore, non sai perché sei lì, ignori verso dove sei diretto. L’unica certezza è che il viaggio rischia di risultare molto breve e assai doloroso.
Inizia così questo romanzo che, come tutti i migliori romanzi, non contiene una cosa soltanto, ma tutte quelle che può permettersi di tenere in equilibrio.
Il protagonista c’è, ed è Mike Raft, ma chi è e cosa fa è quasi difficile dirlo, e non perché non si capisca (nel primo capitolo si butta da una finestra al quarto piano) ma perché tutto ciò che lo circonda – la Vita e la Morte, la Verità e la Giustizia, il Destino e l’Altrove – sono talmente “grandi” da sormontare tutto il resto, perfino la storia stessa. Provo a spiegarlo meglio, per quanto possibile.
Da fuoriclasse quale si presenta, Zatta ci racconta una storia nell’aldilà, trasformando sentimenti, ideale e concetti in figure antropomorfe (la Signora Amore, ad esempio, litiga con la Signorina Sesso), che, come detto prima, prendono in mano l’andamento della vicenda facendo quasi dimenticare al lettore che si tratta di un romanzo in carta e inchiostro, tanto vi sembrerà di essere morti anche voi, insieme a Mark (ragazzo molto sfortunato in amore), e di dover decidere assieme a lui se tornare o no sulla terra per dare infine un senso alla Signora Vita.
Date un senso anche voi a queste vacanze di Natale, leggete Zatta e recuperate la lucidità necessaria per affrontare il resto dell’esistenza (ossia, l’anno nuovo).
Giulia Ciarapica
Il link alla segnalazione su Il Foglio: https://bit.ly/3XeViPU