Educare, istruire, includere
PREFAZIONE
È molto rischioso oggi cercare di parlare di Inclusione (con la i maiuscola per enfatizzarne l’importanza) senza correre il rischio di far pensare a un lavoro dedicato alla disabilità, o indirizzato esclusivamente a una platea selezionata di operatori, dediti a trovare soluzioni per normalizzare la vita di soggetti sfortunati. Ebbene, se cercate qualcosa del genere, non andate avanti con la lettura. Non si tratta di questo.
Non avete tra le mani né un trattato scientifico, né la ricetta per risolvere tutte le difficoltà che incontrate ogni giorno nel lavoro scolastico, ma una semplice, quanto importante, guida per essere indirizzati verso la conoscenza di alcuni aspetti della vita scolastica che non sempre vengono adeguatamente considerati. Potete sfruttare questa occasione per lasciarvi guidare nell’osservare l’inclusione da un’altra angolatura. I quattro autori vi presteranno i loro occhi, ma soprattutto la lente della loro esperienza sul campo, il frutto del lavoro di studio che ogni giorno si arricchisce dalla ricerca di pratiche e dalla costruzione di processi inclusivi.
La lettura vi condurrà verso il significato più aperto che possiamo dare al termine “inclusione”. Troppo spesso lo si utilizza come sinonimo di integrazione, o come una aggettivazione qualitativa dei processi di integrazione, mentre qui viene sottolineata proprio la specificità del processo e la sua complementarietà rispetto ad altre azioni. Bruno Furcas mette al servizio del lettore la sua grande esperienzadi educatore, fondata sulla matrice di insegnante che ogni giorno affianca altri insegnanti, e chiarisce con argomentazioni efficaci l’importanza di intendere in modo inclusivo l’azione didattica indirizzata a tutti gli alunni, e non solo verso coloro ai quali è stata attribuita un’etichetta. Le etichette, come le classificazioni, le tassonomie, sono generalmente funzionali alla definizione di un problema più generale, per consentirne uno studio più attento e una trattazione particolareggiata, proprio considerando alcuni aspetti nel loro insieme. Ma è un errore comune dimenticare l’unicità e considerare queste parti in modo a sé stante, non più per i soli fini didattici, ma proprio come nuove unità. Accade con i cosiddetti “alunni bes”, terribile espressione che trasforma il bisogno in alunno e viceversa, evocando le stesse orribili emozioni richiamate dal medico che indirizza la sua attenzione alla malattia, dimenticandosi del paziente. Il malato è portatore di un male, così come l’alunno è portatore di un bisogno, ma non è lui stesso il bisogno. Le etichette sono quelle che nella scuola fanno dimenticare gli alunni in quanto persone e dirigono l’attenzione del docente sulla “diagnosi”, creando dentro le nostre classi altrettanti sottogruppi di riferimento, impossibili da gestire in modo ottimale.
I suggerimenti che troverete in questo testo sono di straordinaria importanza proprio per riflettere sulla creazione di un modello di lavoro universale, che ha come destinatari le persone-alunni e, di conseguenza, costituisce un ambiente di apprendimento inclusivo, attento agli aspetti emotivi e relazionali che devono essere accuratamente considerati per traguardare questo risultato.
Il linguaggio semplice e diretto, quello che giunge “dal basso”, è capace di far comprendere appieno che siamo di fronte a pratiche consolidate e non solo davanti a delle teorie cattedratiche, e che su queste ultime si basa, contestualizzandole nelle nostre realtà. L’insegnante (ma non solo lui!) troverà in questo lavoro una guida esperta per indirizzare e caratterizzare il proprio lavoro. Una spinta per confrontarsi e autovalutarsi, per individuare e posizionare quei paletti necessari a coltivare uno stile inclusivo, a costruire le competenze professionali che vanno oltre e arricchiscono quelle disciplinari. Le soft skills che la scuola cerca di formare nei ragazzi, nei migliori dei casi, per orientarli nelle loro scelte future, ma che altrettanto poco spesso sono considerate un valore professionale del docente. Nessuna sinfonia può essere considerata nella sua bellezza fino a che non ci saranno dei musicisti capaci di interpretarla, e tanto più la loro interpretazione sarà tecnicamente esemplare ed emotivamente coinvolgente, altrettanto la musica acquisterà valore e bellezza. Allo stesso modo nessun progetto didattico può essere considerato efficace fino a quando non ci saranno docenti non solo esperti della loro disciplina, ma soprattutto dotati di empatia, competenti nella relazione e nella comunicazione, appassionati ed emotivamente coinvolti nel rapporto di insegnamento-apprendimento. Il testo traccia con convinzione il profilo del docente inclusivo, mettendo l’accento proprio sulla crescita professionale in materia di “insegnamento” attraverso l’esperienza in campo educativo che trasuda, per esempio, dagli scritti di Bruno.
I nostri autori hanno voluto regalare al lettore l’avventura di esplorare i processi di una scuola che cammina verso la dimensione inclusiva, tenendo sempre ben presente i vincoli intorno ai quali è indispensabile organizzarsi. Le norme che negli ultimi quarant’anni hanno modificato sensibilmente il nostro sistema scolastico sono richiamate sistematicamente nella loro importante veste di vincoli, non intesi in termini di obblighi da rispettare, ma proprio come guide, come opportunità per costruire percorsi e realizzare contesti inclusivi. I contributi di Fabio Cocco e Ivan Gambella descrivono molto bene questo aspetto. La norma cardine, quella madre di tutte le disposizioni, che è la nostra Costituzione, non può essere ignorata in un lavoro dove il contesto viene costruito sulle fondamenta di valori condivisi, che legano la vita di ogni soggetto alla scuola attiva, in una prospettiva di cittadinanza che la scuola inclusiva non può ignorare. Così come non può ignorare il complesso di norme che nell’ultimo ventennio hanno rovesciato la visione della scuola, chiedendo di progettare in modo autonomo i percorsi didattici, adeguandoli e contestualizzandoli ai bisogni individuati. Una svolta epocale alla quale non ci si è completamente abituati. Non è ancora avvenuto appieno il ricambio generazionale nel personale scolastico, ma soprattutto non è ancora troppo sviluppata la cultura della responsabilità delle scelte che la scuola dell’autonomia delinea senza mezzi termini. La capacità di scelta delle scuole e dei docenti in relazione alle metodologie, per esempio, alla definizione dei tempi, all’organizzazione delle risorse, alla progettazione, realizzazione e valutazione dei percorsi, in un’ottica di corresponsabilità educativa, sposta completamente la responsabilità dei risultati sulla scuola stessa, che diviene dunque artefice di se stessa. Posso decidere, e quindi sono responsabile delle mie scelte e delle conseguenze che queste comportano. Lo sa bene Fabio Cocco e lo descrive chiaramente, presentando l’esperienza scolastica della“gestione del tempo scuola”, una variabile determinante per realizzare un contesto inclusivo, e che adeguatamente governata, oltre i luoghi comuni, permette di predisporre spazi di lavoro accessibili, con risposte organizzative e didattiche adatte a tutti gli alunni e rispettose di tutti i bisogni.
Ultimo, but not least, non poteva mancare l’attenzione più pedagogica alla dimensione sociale della scuola inclusiva. Una grandezza che pervade tutti i contributi (si sente spesso il respiro di grandi pedagogisti come Danilo Dolci e Don Milani), e che trova in quello di Gianni Stocchino un’esaltazione del concetto di gruppo e della proposta del lavoro cooperativo. Il Cooperative Learning non è certamente una novità, ma Gianni fornisce una chiave di lettura del lavoro proprio nella direzione di sviluppo sociale, dei risultati sul piano delle relazioni, laddove l’esito non è la prestazione, ma il processo che l’ha generata. In questa proposta, è possibile apprezzare a fondo l’anima sportiva che risiede nello scrittore, che conosce bene i meccanismi che trasformano il gruppo in una squadra, compattandolo intorno ai valori condivisi, nella ricerca di un risultato comune. E l’autore comprende altrettanto bene come sia necessario, nella squadra, capitalizzare ogni differenza che ciascuno dei componenti porta con sé, per trasformarla in valore e ricchezza a vantaggio del risultato di tutto il gruppo. Il concetto della diversità intesa come valore, come particolare ricchezza che caratterizza svariati aspetti di un contesto, è alla base di un sistema inclusivo. La progettazione universale già da tempo ha definito nelle sue Linee Guida le strategie che considerano “a monte” la presenza di ogni bisogno educativo e formativo, in modo che ogni pianificazione consideri già dal primo momento ideativo le “diversità” che andranno a interfacciarsi con l’opera, senza essere costretti in un secondo momento a dover individuare gli adattamenti necessari ad accoglierle. La scuola oggi integra questi grandi esempi nella progettazione universale per l’apprendimento, l’udl (Universal Design for Learning), che fonda il suo modello di intervento nel concetto di “equità”, ovvero nel rispetto delle diversità, nella garanzia di pari opportunità di apprendimento, grazie alla rimozione di ogni possibile ostacolo che possa impedire lo sviluppo integrale della personalità, e all’inserimento dei facilitatori che, appunto, possono agevolare i percorsi per tutti.
Una prospettiva che attraversa trasversalmente il testo in tutti i contributi degli autori, senza mai citarla espressamente, ma richiamandola nei concetti e nelle prospettive di lavoro.
«Necessario per qualcuno utile per tutti!» è il motto che anima la progettazione di un modello scolastico inclusivo, e rappresenta l’attenzione che ogni docente deve porre nella ricerca di soluzioni didattiche e metodologiche che possano consentire il massimo coinvolgimento dei destinatari. Un coinvolgimento “Universale”. Esattamente l’obiettivo che si pongono gli amici, autori di questo libro, che ambisce a occupare un posto importante nella biblioteca di supporto per tutti gli insegnanti. Nessuno escluso.
Un manuale che siamo convinti sarà necessario per qualcuno, e utile per tutti.
Giuseppe Scarpa