“Da luoghi lontani” su Una banda di cefali
Da luoghi lontani
I ricordi stavano traslocando in te un poco alla volta. Ogni giorno ti facevi più desiderosa di tuffarti nel passato, di rendere vivo l’invisibile, sentirlo addosso come la paura e la meraviglia di discendere da una generazione di persone determinate, idealiste. A sedici anni mostravi di avere più interesse per la tua storia di tanti tuoi amici. Dici di essere venuta al mondo per riparare a un torto della vita, per darmi il calore di una figlia e le premure di una madre che non ho mai conosciuto. Così ci prendiamo cura l’una dell’altra. Una delle possibilità da sempre offerte da un libro è quella di farci raggiungere, attraverso il pensiero e l’immaginazione, luoghi lontani. Questa dev’essere sicuramente tra le prime sensazioni avvertite contestualmente alla scoperta della lettura intesa come piacere e conoscenza, infatti un’equazione di questo tipo potrà apparire come il risultato di un pensiero abbastanza fanciullesco, e però bisognerà ammettere che la suggestione è forte e resiste poi insieme a consapevolezze nuove e più mature e, qualche volta, meno “poetiche”. Torniamo ancora alla metafora del libro/viaggio, ma più in generale intendiamo riferirci a quella sensazione di percepirci in un luogo “altro”, man mano che precipitiamo lo sguardo sulle righe e strofiniamo delicatamente le dita sulla carta (e qui si perdoni l’ossessione da irriducibile del cartaceo, ma se il teletrasporto è un’esperienza fisica devo avere una “base” da cui partire!). E così, grazie alle parole che qualcun altro ha ricercato e messo insieme per costruire – o ricostruire – con cura un luogo diverso da quello che abitiamo, come per incantamento, ecco che giunge anche per noi l’altrove. Mi è capitato talvolta di provare un certo smarrimento, quasi una vertigine, accompagnata in qualche caso da un senso di nausea, per il sentirmi d’un tratto in un punto troppo distante o troppo alto, non conosciuto e forse non conoscibile, in un “altrove” appunto non localizzabile (e non c’entra nulla la mania della tracciabilità a tutti i costi dei nostri giorni!). Mi ritrovavo in queste riflessioni nel momento in cui leggevo un libro che mi ha fatto perdere infinite volte, fino a farmi perdere il desiderio di riavermi in un luogo noto. Che poi, se ci pensiamo, che senso avrebbe ambire a ritrovarsi se la magia consiste proprio nel dimenticarsi? Eppure questa tensione allo smarrimento era intessuta di memoria! Ecco, lo sapevo: mi sto perdendo ancora! Cammina e pensa alle vite passate. Istanti di cui ha ricordi stampati nella memoria, ma che lui, il lui presente e vivo, con questo carico sulle spalle, non ha vissuto. Momenti che qualche altro lui ha vissuto per suo conto, altri lui che non esistono più, tutti svaniti. Una compagna, un bambino, una casa, un lavoro. Niente gli appartiene. Il presente è una sala d’aspetto stretta e sghemba, in penombra, pervasa da un odore acre di tappezzeria e di fumo, con un’unica porta chiusa e nessuno ad attendere dall’altra parte. Parliamo di una particolarissima silloge di racconti pubblicata lo scorso aprile dalla casa editrice Arkadia, nella collana – nemmeno a dirlo! – “Senza rotta”, e intrecciata sapientemente dalle mani e dalla forte immaginazione di Giovanni Agnoloni, Carlo Cuppini e Sandra Salvato. Tre scrittori provenienti da esperienze varie e diverse tra loro, che sono riusciti a incrociarsi e a trovarsi in una dimensione che, per quanto caratterizzata da un’atmosfera rarefatta, mostra una mirabile coesione dovuta a una magica unità di intenti. Gli autori, fiorentini di nascita o di adozione, ci offrono un vero e proprio concept book, i cui racconti, pur nella diversità contenutistica, concettuale e stilistica, mostrano di inanellarsi con una straordinaria e sorprendente semplicità, come se fossero stati destinati a quell’incontro esattamente come gli autori raccontano di essersi trovati in una comunanza di idee spontanea e inattesa. Senza logiche restrittive, ma in maniera molto naturale e, si potrebbe dire, quasi “poetica”, questi racconti si sistemano tra loro con accorgimenti studiati ma mai forzati e, percorrendo sentieri misteriosi, ci conducono lungo rotte impenetrabili eppure esperibili, forse non replicabili. Sono racconti e tracciati che possiamo immaginare di inseguire più volte con la sensazione di trovarci ogni volta in luoghi diversi, appunto, lontani. La lontananza può essere intesa come minimo comune denominatore di questi piccoli inconclusi viaggi – perché certe peregrinazioni possono incontrare un compimento narrativo ma non necessariamente una meta “definitiva” per le suggestioni che stimolano – e traccia mappe che non sono soltanto fisiche, ma che si disegnano attraverso geografie della memoria, o che fluiscono più liberamente nelle regioni dell’inconscio, con incursioni nella dimensione onirica. È davvero sorprendente come da tre immaginari diversi siano nati racconti che, fedeli alla penna che li ha generati, riescono a costruire – e a disgregare all’istante – una dimensione coerente nella sua indefinitezza ed evanescenza. Al centro della silloge, il tema del viaggio, inteso come viaggio fisico, ma anche spirituale: la geografia spazia da piccole città a luoghi sterminati, e così si passa da un villaggio sperduto della Sardegna, ai palazzi di Urbino, a Firenze, a Venezia, agli scenari della Dalmazia, alla vastità di Stati Uniti e Australia, per poi raggiungere gli spazi interstellari… ma questi infiniti movimenti sono resi possibili soltanto attraverso passaggi continui negli anfratti della memoria e tra le pieghe della coscienza, e in seguito a vorticosi lanci nel territorio del sogno, che talvolta congiunge memoria e spazi cosmici. Tre racconti per tre sezioni, dunque: “Memoria”, “Sogno”, “Spazi cosmici”, offrono agli autori l’occasione di ricordare momenti della propria infanzia – vissuti in prima persona o da familiari – che si dipanano su luoghi lontani eppure ancora vividi, e poi l’occasione di provarsi in racconti avventurosi e paradossali, che in qualche modo fanno da raccordo tra la prima e la terza sezione, dove l’artificio dello straniamento occupa uno spazio sempre più importante, e infatti i personaggi dei racconti sono scagliati in precipizi interiori che, se da un lato li proiettano nel passato, giungono poi a disperderli nei più profondi misteri della vita, strappandoli ai luoghi reali e catapultandoli in spazi metafisici. E quindi il sentimento della lontananza, intesa come viaggio, ma soprattutto intesa come “mancanza” – la mancanza di qualcuno o di qualcosa – porta all’incontro di tre voci distinte, e ben caratterizzate soprattutto sul piano stilistico e concettuale, dando vita a un’opera che può dirsi “corale” per la consonanza espressa sui temi trattati e sul tono medio della narrazione, e per una vicinanza che si esplicita nella ricorrenza continua a parole-chiave. Una forte consonanza di intenti libera qui una raccolta coesa, che testimonia una collaborazione fluida e quasi spontanea. Giovanni Agnoloni, Carlo Cuppini e Sandra Salvato, esplorando lontananze fisiche e immaginarie, manifestando tensioni intellettuali intense e mai appagate, percorrendo in piena libertà spazi tracciabili e indefiniti, giungono a incontrarsi in un punto impercettibile eppure possibile, e lì accolgono per qualche istante il lettore, prima di lanciarlo in un’atmosfera che, nata dal sogno e dal ricordo, genera infiniti altri sogni e ricordi, tanti quanti sono i ricordi e i sogni che il lettore è capace di vivere.
Lia Amen
Il link alla recensione su Una banda di cefali: https://bit.ly/3NNhAD9