“Corpo a corpo” su Un libro sotto la lampada
“Corpo a corpo” di Elena Mearini
Incipit
“Non è mai stato il momento giusto, il tempo è tutto un errore. Qualsiasi cosa tu faccia, in qualche modo e per qualche ragione, sbagli.
Devo bere qualcosa, apro il rubinetto della cucina, lascio che l’acqua scenda in gola, vada pure di traverso, non importa.
Mi bagno la fronte, improvviso un battesimo senza nome, vorrei non chiamarmi, non essere, evitare di portarmi appresso questo corpo che va a sbattere da ogni parte: lo stipite della porta, lo spigolo della credenza, l’anta dell’armadio”.
Pensieri luminosi
Il romanzo di Elena Mearini “Corpo a corpo”, già nel titolo focalizza l’attenzione sulla corporeità, che si fa densa di significato perchè racchiude nell’abito appunto del corpo uno stato interiore, luogo di allenamento, fatica, fragilità, dolore e nella sua evoluzione, anche di comprensione.
La sperimentazione di un corpo che si affatica e di un’essenza di un’anima dolente assurge a simbolo nel pugilato, a partire da un ko e risalire nella narrazione al dodicesimo round che serve alla storia per dipanarsi. Capitoli quindi che hanno come titolo i round che si svolgono all’interno del quadrato, nella cucitura evidente della vita che delimita i contorni reali. I quattro angoli, racchiusi dai cordoni spessi in cui dentro si suda, si lotta, in cui ciascuno di noi si misura con i propri limiti, saltella di qua e di là, schiva e copisce, cade e si rialza, sferra ganci improvvisi e cerca di abbattere gli ostacoli.
Sul ring si cerca di resistere, si combatte una guerra, per sfuggire i colpi e non farsi troppo male.
In un ring si combatte dopo un lungo, duro e faticoso allenamento a cui però non sempre si è pronti a rispondere, gli imprevisti possono essere sempre dietro l’angolo e possono avere anche un nome nella storia personale di un essere umano: paura, depressione, malattia, solitudine, incomprensione.
Il pugilato diventa allora come una specie di movimento danzante; braccia e gambe che si muovono all’unisono insieme alle nostre difficoltà, appiccicate al sudore dello sforzo, del combattimento dal quale ne usciremo vincitori o vinti. Ma c’è una terza opzione: avere il coraggio di guardare in faccia la difficoltà, avere il coraggio di ascoltarla attentamente; un dialogo muto ma costruttivo che permette, ad un certo punto, di comprendere, capire dove si è sbagliato e quindi in qualche modo accogliere l’avversità come una opportunità per crescere ed imparare.
La storia dell’autrice ci proietta in una decina di ore nella vita di Stefano Santi, un insegnante di liceo. Si ritrova in una palestra alla periferia di Milano, e ci entra di soppiatto. Non sa dove andare, è sotto shock, un enorme e pesantissimo dolore lo coglie in tutta la sua persona. Si sente quasi impalpabile, desidera solo essere annientato, la sua vita non ha più senso. Ha commesso qualcosa di gravissimo, un evento tragico che l’ha colpito nel corpo e nell’anima.
Si trova lì come se qualcuno l’avesse guidato; un luogo sicuro che sa di famiglia, di sani valori che solo il pugilato, un tempo, gli era riuscito a dare. Il desiderio di essere protagonista, percepire con i sensi, prendere in mano la vita e darle “una lezione”, affrontare con piglio deciso sempre nuove e allettanti sfide.
Ora per Stefano si pone davanti una grande sfida, una gigantesca onda d’urto che lo sommergerà e con la quale dovrà fare i conti e, a pensarci bene, l’incontro con la vita paradossalmente non vedrà pugni sferrati, ma colpi che prendono il nome di pensieri, ragionamenti, elucubrazioni, riflessioni, consigli di cui discuterà con Mario, il suo preparatore e allenatore di un tempo.
Con una sensibiltà particolare Mario abbraccia il dolore di Stefano, lotta con lui sul ring e con lui saltella a destra e a sinistra del cuore, fra i colori dell’amore e della disperazione, fra l’intento di salvarsi o colare a picco. Se il pugilato è anche un modo per incanalare la rabbia, essa stessa nelle varie riprese, fra le pagine del libro si fa ancora una volta consapevolezza.
Durante la saggia conversazione con il “filosofo” Mario il protagonista capterà che il momento culminate non sarà il pugno sferrato, a volte spettacolare, ma è tutto ciò che sta dietro, ossia un costante e preciso allenamento, una completa dedizione a regole ferree che allinea l’indisciplinato alla corporeità e al contempo alla sua anima.
Allora è veramente interessante e poetico quando l’autrice fa compiere a Stefano, sotto la guida di Mario, tutte le ritualità per prepararsi ad un incontro: osservare i guantoni se hanno i lacci messi bene, preparare le garze distese, spazzare lo stesso ring, controllare le corde e altre mille accortezze perchè tutto sia pronto, perfetto per un incontro che vale una vita. Accortezze e modalità che si dispiegano parallele alle accortezze e ai particolari che verranno a galla per affrontare una disastrosa situazione e si dovrà trovare una soluzione.
Un vita, quella del professore, che ha cercato di condividere con la giovane Marta, che viene raccontata attraverso il suo diario. Lei, che a testa bassa ha colpito duro come una vera lottatrice, sferrando, metaforicamente, colpi bassi, irregolari, vietati dal regolamento, lasciando così ferite aperte, sanguinanti che non si potranno più rimarginare. Ha combattuto il suo incontro ipnotizzando l’avversario Stefano e con la sua ombra scura, ha spento pure la luce splendente della sorella Ada, perfetta nella sua perfezione, promessa della danza.
La narrazione si snoda fra le pieghe di sentimenti che rimbalzano da un angolo all’altro del quadrato, si infittiscono di zone buie, si trasformano in sguardi e discorsi allucinanti, densi di tenebre.
Tenebre che hanno avvolto gli occhi di Marta, la sua mente e la sua supponenza di sapere cosa è bene e male per una persona.
La scrittura dell’autrice man mano che i fatti si dispiegano acquista sempre più forza, diventa profonda e ricca di significato in un continuo balletto di poesia, che seppur sconvolgente, si fa sincronicità con il sentire interiore; si illumina di un linguaggio chiaro, preciso; affonda nelle carni, si fa tumefazione, ecchimosi evidente e in quanto evidente, reale, dà la scossa a Stefano per agire, per uscire da un limbo continuo. Azioni che richiedono delle reazioni ma il punto importante è quale valore e colore dare a quelle reazioni, che si erano nutrite di illusione.
L’idea della scrittrice di raccontare della vita come un incontro di pugilato è stata davvero una scelta efficace e l’alternanza di piani temporali della narrazione offre ancora più valore ad una vicenda che, ritornando al titolo, vibra nella fisicità, nei corpi che si cercano, si nascondono, si esaltano e al contempo raccontano del dentro atraverso ricercati dettagli, impercettibili cambiamenti.
Una storia che si nutre di bianco e nero e si fa luce potente nelle ultime pagine e, come scritto prima, diventa totale comprensione in Stefano, che ferma una danza frenetica per percorrere una strada che, forse, sarà quella giusta.
Lascio a voi scoprire il dramma che attanaglia l’anima di Stefano, incollata a quello di altrettante anime dolenti.
Buona lettura!
Un po’ di luce sull’autrice
Elena Mearini (26 aprile 1978) è una scrittrice italiana. Vive a Milano ed è docente di scrittura creativa e poesia. Dirige la Piccola Accademia di Poesia fondata nel 2020.
Bibliografia essenziale
– “360 gradi di rabbia”, romanzo (2009);
– “Undicesimo comandamento”, romanzo (2011)
– “Per silenzio e voce”, raccolta di poesie (2014);
– “A testa in giù”, romanzo (2015);
– “Bianca da morire, romanzo selezionato per il Premio Campiello (2016);
– “Strategia dell’addio”, raccolta di poesie (2017);
– “É stato breve il nostro lungo viaggio”, romanzo selezionato per il Premio Strega 2018 e finalista al Premio Scerbanenco (2017);
– “Felice all’infinito”, romanzo (2018);
– “Separazioni”, raccolta di poesie (2019);
– “Tra uomini e dei. Storie di rinascita e riscatto attraverso lo sport”, a cura di (2020);
– “Lettere alla madre, lettere al padre”, presente nella raccolta antologica (2020);
– “I passi di mia madre”, romanzo candidato al Premio Strega 2021 (2021);
– “Nel mare di Lombardia”, presente nella raccolta antologica (2021).
INTERVISTA ALL’AUTRICE
Ciao Elena e benvenuta nel mio spazio letterario. Vuoi parlarci un po’ di te?
Grazie per il graditissimo invito! Parlare di me è sempre qualcosa che mi disorienta, forse perché non mi sono mai percepita come mia “stella fissa”. Posso dirti che amo da sempre la parola, quella che lavora e vive al di là della chiacchiera, la parola del margine, del confine che unisce anziché separare. Oltre a scrivere romanzi e poesie, dirigo la Piccola accademia di poesia a Milano, un luogo che vuole essere punto di raccolta del bello, in ogni sua variante.
Come è stata la genesi del tuo romanzo?
È nato dal desiderio di raccontare il nostro rapporto con l’alterità. Nel volto dell’altro noi possiamo vedere tutto il terribile e tutto il meraviglioso dell’esistere, dobbiamo imparare a reggere questa totalità per condividere il senso, se un senso c’è.
Quali suggestioni ti ha portato a scegliere il titolo?
Ogni relazione è un “ corpo a corpo”, un incontro-scontro che mette in gioco sia le nostre nudità che i nostri mascheramenti. Viviamo costantemente sopra un ring, tra il colpo del sogno e quello della disillusione.
La copertina del tuo libro, intitolata “The white sky XI”, è del grafico pubblicitario Stefano Bonazzi, che realizza composizioni e fotografie ispirate al mondo dell’arte surrealista e le cui opere sono esposte, oltre che in Italia, a Londra, Miami, Seul, Monaco. Come è nata la vostra collaborazione e cosa rappresenta questa immagine?
Sono grata a Bonazzi per la bellissima copertina e all’editore per avere pensato a lui, Arkadia ha il merito di riconoscere artisti di grande originalità. L’immagine di copertina racconta il corpo a corpo tra fragilità e forza, una piccola vita silenziosa davanti al fragore dell’assoluto.
Una parte del romanzo è scritta sotto forma di diario da parte di una dei protagonisti della vicenda, Marta. Come mai hai adottato questo tipo di narrazione? Anche tu hai scritto o scrivi il diario?
Volevo che la voce di Marta fosse la sua intimità messa a nudo, il pensiero puro che si sporca con la verità individuale. Il diario è sempre una confessione inconfessabile, un paradosso che rappresenta una sfida avvincente per il linguaggio. No, io non ho mai tenuto il classico diario…solo appunti sparsi, un’eccedenza di pensiero che si è avvalsa della parola per vivere.
La boxe è un’altra protagonista della vicenda. Come mai hai scelto proprio questa disciplina sportiva per narrare la vita?
Come accennavo prima, stare tra gli altri diventa un continuo saltellare sul ring dell’incontro, passare dallo spazio dell’attacco a quella difesa tentando il pronostico della prossima mossa, cosa farà lui, come risponderò io.
Il bene e il male in questo tua storia si fronteggiano senza “esclusioni di colpi”. Secondo te esiste una linea di demarcazione netta fra queste due forze?
No, una si serve dell’altra per esistere. Parlare di bene e male è come dire della vita e della morte, non si possono disgiungere.
Un’altra importante figura è quella dell’allenatore di boxe Mario. Se dovessi definirlo con un aggettivo quale sarebbe e perché?
Mi piacere definirlo un filosofo della concretezza e un ascoltatore professionista. Mario si prende cura delle cose, vede nella prassi un esercizio che prepara all’ascolto del mondo e quindi dell’altro.
Cosa significa per te scrivere?
Credo vada oltre il significare…per me scrivere è accadere.
Hai altri progetti in cantiere?
Ho una nuova raccolta di poesie, un romanzo cominciato da poco e diversi progetti che riguardano la crescita e lo sviluppo della Piccola Accademia di Poesia… insomma, la solita assidua frequentazione con la parola.
Il link alla recensione e all’intervista su Un libro sotto la lampada: http://bitly.ws/Li9U