Ingresso libero, posti a sedere.
Interviene e modera l’incontro, Sandro Di Paola
Mondadori Bookstore Acireale – via Oreste Scionti 19
VIA ORESTE SCIONTI , 19 ACIREALE SICILIA 95024 IT
In un paesino della Sicilia che subisce passivamente i grandi eventi della Storia, Pinuccio Badalà, figlio di un sindacalista coinvolto nella strage di Bologna e poi morto qualche anno dopo in seguito a un bizzarro incidente, sogna di diventare un grande scrittore. Nei modi di un’appassionata cronaca il romanzo narra tutte le peripezie del protagonista per ricevere udienza dai grandi marchi dell’editoria italiana. Vent’anni e più di illusioni e delusioni, viaggi della speranza, personaggi grotteschi e indimenticabili. Una grande e amara parodia della decadenza culturale dei nostri tempi nelle ambizioni di un provinciale con il solito dilemma: genio incompreso o espressione infinitesimale della mediocrità? In libreria da dicembre ’23, “il buio delle tre” (Arkadia Ed.) è un romanzo-denuncia contro il declino culturale e intellettuale del Paese negli ultimi quarant’anni.
“Pinuccio, insomma, non si sentiva più un talentuoso dilettante con il sogno di vincere il Nobel, ma uno scrittore vero, superbo, invincibile e naturalmente già nobile, uno che aveva appena finito l’ennesimo capolavoro di una carriera lunghissima”.
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Marco e Dario, fratelli, attendono l’arrivo di Sonia, fidanzata di Dario per un fine settimana da trascorrere sul lago di Garda dove vivono i due ragazzi. La notizia della sparizione del padre della ragazza li porta ad Arezzo dove scopriranno che il padre di Sonia stava indagando su dei documenti rinascimentali risalenti al periodo in cui visse Giorgio Vasari. I tre ragazzi grazie alla ricerca del padre di Sonia e dei manoscritti che stava studiando scopriranno l’esistenza di un bronzo etrusco compagno della Chimera di fattura etrusca.
Al terzo giorno fui chiamato da uno di loro al tramontar del sole e vidi la testa di un bronzo eccelso spuntare dalla terra. Alta più di quattro braccia, magnifica, nella figura si conosceva la perfezione della maniera etrusca.
Questa scoperta sbalorditiva fa gola anche a chi, senza scrupoli, vuole impadronirsene a tutti i costi.
Oh si avrebbe aspettato tutto il tempo che occorreva. Stavano lavorando per lui, non doveva far altro che avere pazienza. Si mise comodo appoggiandosi a un muro nell’ombra.
Grazie all’aiuto di un’intelligenza artificiale, LUCIA, riusciranno a sbrogliare la matassa che risale a un tempo lontano, ad Aritim, il nome con cui veniva chiamata Arezzo al tempo degli Etruschi. La chimera di Vasari è un romanzo che presenta diversi generi letterari, una storia in cui i personaggi si muovono alla ricerca di un mistero legato alla figura della Chimera e a Giorgio Vasari famoso artista e scrittore delle vite di alcuni grandi artisti del Rinascimento. Con il procedere della narrazione si passa dai toni più drammatici ad altri più divertenti, l’adrenalina sale e il romanzo cresce d’interesse. I personaggi si muovono con naturalezza creando una trama in cui ci si trova intrappolati come nella tela del ragno. Già dal primo capitolo si è proiettati all’interno della storia. Tra manoscritti antichi, piste da seguire e indovinelli da risolvere i tre rivolteranno Arezzo con i suoi monumenti. Arezzo infatti è protagonista insieme ai personaggi: conosciamo l’Aritim etrusca del 390 a.C, non ancora conquistata dai Romani e all’apice del suo splendore, l’Arezzo dei Medici nel 500 e L’Arezzo odierna in cui si svolgono le vicende che mirano a svelare il segreto del Vasari.
Tra le mie carte, vela, a maggior gloria di Dio, ridisegna la piazza. Cercane il tratto e voltala se scoprir vorrai il bronzo antico. Usa la candela per rischiarar nel buio ciò che la luce anela
Questo segreto ben congegnato è il motore che fa muovere la storia, in quanto creatore di un mistero che necessita di una soluzione. Non manca una storia d’amore e i personaggi con pochi tratti sono tutti ben caratterizzati. I dialoghi sono ben costruiti, aderenti alla realtà descritta, così che i personaggi diventano persone in carne ed ossa.L’unico personaggio non reale è LUCIA, intelligenza artificiale decisamente avanzata anche per i nostri tempi, che suscita immediatamente simpatia nel lettore per le sue capacità cognitive, intuitive e psicologiche, ma che nasconde lati che verranno alla luce nel finale suscitando in chi legge dei quesiti sull’utilizzo di queste forme d’intelligenza e sui reali pericoli per l’umanità.
PRO
Una trama ben congegnata e sviluppata.
CONTRO
Parlerei più di un mistery che di romanzo storico essendo molto poche le pagine ambientate nei secoli passati.
Trama
Due fratelli, un tranquillo weekend sul lago di Garda in compagnia di Sonia, la fidanzata di uno di loro. Una vacanza che viene bruscamente interrotta dalla notizia della sparizione del padre della ragazza. Il professore stava indagando sulla possibile esistenza di antichi documenti rinascimentali durante un’operazione di catalogazione digitale. I tre partono per Arezzo, città dove al tempo della Signoria dei Medici è stato rinvenuto il più incredibile manufatto etrusco: la Chimera. Che relazione esiste tra la mitologica creatura e Giorgio Vasari? Di chi è la voce al telefono che dice di sapere cosa ne è stato del professore? Marco e Dario non sanno che la doppia ricerca, del padre di Sonia e dei manoscritti che lui stava studiando, li condurrà a una scoperta archeologica ancora più sbalorditiva: il compagno perduto della Chimera. Un bronzo celato per ben due volte agli occhi di tutti, la cui esistenza appare verosimile dalla lettura dei documenti vasariani. Le tracce lasciate dal genio rinascimentale li portano a indagare. Ma non sono soli. Da una parte c’è chi vuole impadronirsi a tutti i costi del reperto, dall’altra una inquietante Intelligenza Artificiale con cui sono venuti casualmente in contatto. Lei sola, saprà districare la matassa che affonda le sue origini in un tempo lontano. Alle pendici di Aritim, in quel territorio che dopo millenni diventerà Toscana.
Valeria Lorusso
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“Il buio delle tre” di Vladimir Di Prima (Arkadia, 2023)
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La ri-nascita di uno scrittore
Che cosa è Moby Dick, non a caso citato nel romanzo? Una metafora nascosta dietro la ricerca spasmodica di questo cetaceo da cacciare e uccidere. L’autore, nel protagonista di Pinuccio, probabilmente ricavato anche da esperienze autobiografiche, trova l’opportunità per raccontare non tanto il male del bravo scrittore rimasto nell’ombra, ma la ricerca in sé della riuscita. La scelta del termine non è a caso, perché RI-USCIRE è utilizzato allo scopo di sottolineare il verbo “uscire”: quando si nasce, si esce dalla propria madre, quando poi si raggiunge lo scopo per il quale si crede di essere nati, si nasce una seconda volta, uscendo dal buio, dal buio dell’utero, dal buio delle tre. L’uomo, infatti, nel momento stesso in cui vede la luce nell’atto del nascere, oltre a essere condannato alla morte ineluttabile, è destinato anche a camminare per una strada predeterminata. Pinuccio con perseveranza insiste a percorrere la propria strada, senza farsi sopraffare dai ripetuti scoraggiamenti della vita, ma anzi, quasi con irrazionale testardaggine, da questi facendosi motivare senza darsi requie. È l’obiettivo di chi respira privo di automatismi, la manifestazione di un carattere tanto forte e determinato da chiamarsi coraggio, l’opposto di viltà, laddove la paura della sconfitta non è sufficiente a bloccare il gesto, l’atto del perseguire il fine.
Da solo questo pregio potrebbe fare di Pinuccio un eroe dei nostri tempi, colui che non rischia la vita, ma certo (e tanto) la disgregazione dell’immagine di sé che con amore si sarebbe costruito, disgregazione che, in contrasto con l’amore, diventerebbe morte dell’anima.
(…) Pinuccio affrontò un lunghissimo viaggio in autobus. Un’altra notte da soldato della speranza in compagnia di operai che risalivano a nord e africani in cerca di terre promesse. Ognuno proiettava il proprio piccolo sogno sul finestrino, ed era chiaro, nitido, netto, finché non gli si abbassavano le palpebre e s’addormentava a bocca aperta; mezz’ora di sonno, forse qualcosa meno, e lì, a ricominciare a sognare a occhi aperti mentre l’Italia passava sopra ponti e gallerie.
Parallelo alla meta ossessiva del protagonista è il blocco emotivo, il complesso, la fobia, paura incontrollabile dell’imperfezione che lo porta a impedirsi di vivere a pieno e serenamente esperienze affettive e amorose. Questo va a braccetto, in qualche modo, con l’intento di successo prefissato, perché il rifiuto del “difetto” nel mondo esterno non è altro che lo specchio del rifiuto per i propri difetti interiori intesi come eventuali mancanze di talenti, quelli che lui deve a tutti i costi dimostrare di avere, mentre viceversa deve dimostrare di NON avere difetti, negandosi di scendere a compromessi anche nei momenti di speranza per un futuro radioso.
Se a una storia valida e interessante nella sua apparente semplicità, si aggiunge lo stile unico e personale dello scrittore meritevole, a tratti poetico, a tratti pieno di guizzi geniali, e ancora lontano dalle solite logiche editoriali, se si aggiunge l’originalità sull’uso delle frasi, grazie al “mestiere di montare e smontare parole“, il romanzo manifesta tutti i pregi per essere inserito nella rosa dei migliori.
Come un filo che entra dalla cruna di un ago per uscire dopo diverse curvature da quella di un altro, così si direbbe del viale che tagliava Taormina dall’arco di porta Catania al corrispondente Messina (…)
Vladimir Di Prima è lo stesso, per esempio, della pubblicazione all’avanguardia “Gli asiatici” (Prova D’Autore), dell’originale romanzo “La Banda Brancati” (A e B Editrice), del geniale poema in narrativa “Le incompiute smorfie” (Meligrana Editore), è scrittore che si fa sentire, non demorde, batte il ferro finché è caldo e si apre senza riserve, in particolare in questo romanzo, dove la sincerità fa dello scrittore un poeta. Infatti solo quando il cuore si manifesta senza veli, aperto come durante un’operazione chirurgica, l’arte si esprime con forza, l’arte che è forse l’unica qualità che erge l’essere umano al di sopra degli animali.
[ IL BUIO DELLE TRE, romanzo di Vladimir Di Prima, Arkadia Editore, collana Senza Rotta, 228 pp, copertina flessibile, si può trovare in tutte le più importanti librerie d’Italia e nei siti internet di vendita libri. ]
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La scheda del libro: “Il buio delle tre” di Vladimir Di Prima (Arkadia, 2023)
In un paesino della Sicilia che subisce passivamente i grandi eventi della Storia, Pinuccio Badalà, figlio di un sindacalista coinvolto nella strage di Bologna e poi morto qualche anno dopo in seguito a un bizzarro incidente, sogna di diventare un grande scrittore. Nei modi di un’appassionata cronaca il romanzo narra tutte le peripezie del protagonista per ricevere udienza dai grandi marchi dell’editoria italiana. Vent’anni e più di illusioni e delusioni, viaggi della speranza, personaggi grotteschi e indimenticabili. Un’amara parodia della decadenza culturale dei nostri tempi nelle ambizioni di un provinciale con il solito dilemma: genio incompreso o espressione infinitesimale della mediocrità?
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Vladimir Di Prima è nato a Catania nel 1977. Dopo la maturità classica si laurea in Legge e successivamente consegue un Master di secondo livello in Criminologia. Da oltre vent’anni fa parte del comitato organizzativo del Premio Brancati. Film-maker indipendente (ha collaborato, fra gli altri, con Lucio Dalla) ha all’attivo diversi riconoscimenti in ambito nazionale e internazionale. È autore de Le incompiute smorfie (2014), Avaria (2020) e de La banda Brancati (2021). Nel 2023 ha realizzato un docufilm con protagonisti Giuseppe Lo Piccolo, Marino Bartoletti e altri importanti attori del palcoscenico nazionale.
Marcella Argento
Il link alla recensione su Letteratitudine: https://bitly.ws/39k76
Ci sono autori che prima ancora di immaginare l’impalcatura della vicenda narrativa cercano la voce giusta per raccontarla: forse nella letteratura contemporanea Aramburu può essere considerato maestro di voce in questo senso. Altri che costruiscono intrecci e sviluppano trame grazie a personaggi quasi dotati vi vita propria, come faceva Pinter che non amava direzionare le sue donne e i suoi uomini sulla scena come un burattinaio onnisciente, ma lasciava che “scegliessero da soli come muoversi”. C’è chi invece racconta un luogo, prima delle vite che lo popolano; un luogo con la sua callosità e la sua polvere, la sua bellezza e le sue innumerevoli increspature. È così che nasce Terra edito da Arkadia per la collana Eclypse, romanzo d’esordio del talentuoso Stefano Albè, già sceneggiatore e autore televisivo. Noir psicologico ambientato in Sardegna, Terra si apre con una consolidata scelta narrativa, quella dell’evento traumatico (la perdita di una figlia) che segnerà per sempre l’animo di chi dovrà indagare sul mistero che avvolge una ragazza, affetta da un disturbo dell’udito e della parola, e sul reticolato di vite che invece si dipanano attorno ad una miniera, nutrice e sanguisuga, di coloro che le gravitano attorno. Niccolò è un neurologo e durante una gita in barca perde sua figlia Emma a causa di un violento naufragio. Un’esistenza che si appresta a scorrere nella mancanza e nel rapporto logoro con sua moglie Agnese. Viene così invitato in Sardegna da un collega conosciuto durante un convegno a dare il suo parere medico sul caso di Gaia, una ragazza sordomuta che però ha delle capacità eccezionali.
“Al di là delle spiegazioni, Gaia sente. Mi pare innegabile. Lo fa a modo suo, ma sente. Riesce a intercettare delle onde radio, abbiamo riscontrato che accade più con le alte frequenze, attorno ai 27 MHZ, quelle usate dai radio amatori, dalle Citizens Band o dai codici Morse, per intenderci”.
È certamente la figura della ragazza e quello che si porta dietro a condurre la narrazione: quando entra in scena il resto del racconto e i misteri del luogo e la terra stessa nella quale prendono forma i passaggi di questo romanzo restano sospesi. Gaia e il suo vivere dove capita, la sua vita senza storia sono il catalizzatore della nostra attenzione, è lei il personaggio trainante e il fine verso il quale tutto tende.
“Gaia era un animale, il suo aspetto minuto e delicato celava una forza da leonessa, un carattere determinato, energia pura che sprigionava in questa corsa per la salvezza. Non aveva più paura, era tornata nel suo ambiente, tra i suoi alberi e i suoi sassi, si sentiva a casa. Priva di tutto, solo i suoi piedi ruvidi, le sue gambe veloci, il suo corpo snello e i suoi occhi vivaci e mimetici, verdi nel verde che li circondava”.
Di lei e della sua bellezza ruvida e straordinaria, come la terra nella quale misteriosamente è cresciuta, si innamora Antonio, appuntato dei carabinieri che sarà chiamato a risolvere, con il supporto di Niccolò, la scomparsa di un uomo, tra le sterpe e una miniera che determina destini e regola i conti.
“Al centro di tutto, sempre lei, la miniera, la terra di sotto. Per quanto fosse chiusa oramai da oltre vent’anni, la miniera era il fulcro di tutti i discorsi, non solo come ricordo ma anche come presente e futuro, avevano tutti un rispetto mistico e deferente, come se stessero parlando di un essere in grado di respirare.”
Albè scava all’interno della coscienza di un’intera comunità che vive in un tempo sospeso dinamiche intime e collettive. Una comunità che chiede l’intervento del mondo esterno per indagare i suoi mali e risolvere i propri conflitti salvo poi scacciarlo (o tentare di farlo) quando penetra troppo in profondità per raggiungere memorie di un sottosuolo condiviso. Un esordio potente dove l’autore riesce a disegnare una tela narrativa, progettata con cura, nella quale ruoli personali e istanze collettive si incontrano consapevolmente generando una storia credibile, grazie a personaggi cari alla letteratura di genere (chi indaga ha sempre un passato da riscattare, un evento traumatico dal quale affrancarsi, chi viene indagato si mostra a mezzo di emissari e tuttofare, la terra naturale che si difende da quella edificata dall’uomo, per le ferite e le violenze per anni è stata costretta a subire) che però nelle loro scelte riescono a delineare tratti di unicità rendendo questo racconto un mainstream da leggere con la voracità bulimica di un giallo. Se le prime pagine rispettano i canoni di una scrittura didascalica, man mano che ci si addentra nella storia la narrazione diventa più consapevole e fluida, più autentica, rendendo questo esordio un lavoro molto interessante grazie ad un autore che converrà tenere sott’occhio.
“Il timer che scandiva l’attesa sentenziò la fine del gioco, il concorrente non aveva risposto nulla. Il conduttore gli comunicò che la parola da indovinare era proprio Terra. I due uomini scossero il capo e stapparono un’altra birra.”
Angela Vecchione
Il link alla recensione su Exlibris20: https://bitly.ws/399Po
Un orecchio attento poteva cogliere tutti gli scricchiolii della relazione; un occhio esercitato era in grado di notare avvisaglie di cipigli che si spianavano in sorrisi di circostanza. Ma in quale famiglia, si chiese Anita sospirando, con il pensiero rivolto a sua madre e a suo padre, circola un amore immune da venature di insofferenza, incomprensione e, talvolta, di puro odio? Le famiglie felici non esistono. Nel migliore dei casi, rapporti decenti si reggono su dosi massicce di pazienza e buona volontà; si finge che tutto vada bene, si finge di non capire una frecciata, di non vedere un broncio, si ignora con eleganza un tradimento.
Nulla d’importante tranne i sogni è il titolo del nuovo romanzo della scrittrice Rosalia Messina e pubblicato da Arkadia editore nella collana Eclypsia, è la storia di un rapporto difficile tra due sorelle ma anche la storia di una profonda amicizia tra due donne: la scrittrice Rosamaria Mortilaro, chiamata Ro, e Anita Attanasio sua segretaria personale e confidente. Ro vive un rapporto di odio e amore con sua sorella Annapaola detta Nana, fatto di conflitti e silenzi, celato da una facciata falsamente ipocrita fatta di sorrisi, partecipazione a eventi e cene in famiglia. Ro è un personaggio davvero complesso: da un lato si coglie la sua generosità, il suo altruismo fatto di azioni umane verso i più fragili, gli indifesi, per poi maturare una vendetta molto articolata, alla sua morte, nei confronti di Nana gelosa, quest’ultima, dei suoi successi. Un rapporto dunque difficile fino a sfociare nella rottura definitiva in cui nessuno perdona all’altro alcunché, Ro consapevole del suo talento e dei successi cerca il perdono per aver ricevuto tanta grazia rispetto a una sorella sciatta e grassoccia che la bersagliava con la sua rabbia, rabbia dalle radici profondissime e ancestrali. E così che durante una di quelle cene “familiari” si scatena un confronto definitivo e distruttivo: confessioni e tradimenti vengono a galla come relitti naufragati in un mare di menzogne, rivelazioni che porteranno a far emergere l’oscurità di ognuno di loro. Attraverso una costruzione intima, a tratti corale, si inserisce una narrazione epistolare dove Ro affiderà la sua vendetta definitiva nei confronti di sua sorella, e così si innesca un ingranaggio complesso e distruttivo. Una storia tutta al femminile dove i personaggi maschili sono solo una cornice, funzionali per dar spazio alle azioni delle protagoniste, le atmosfere sono riccamente descritte e sono quelle tipiche del territorio siciliano, non solo i colori, il calore e i sapori della bella Sicilia ma anche e soprattutto il tessuto sociale con tutto ciò che lo caratterizza e lo difetta. Difficile dare una connotazione al romanzo perché la scrittrice riesce ad amalgamare e mescolare sapientemente più di generi narrativi, da quello epistolare al giallo psicologico: la caratterizzazione dei personaggi è attenta e minuziosa; Anita, traduttrice e poi segretaria di Ro, potremmo definirla come “l’equilibrio sopra la follia” un personaggio che fa da contralto, suo malgrado, al rapporto tra le due litiganti; Giada, figlia di Nana, è un’alcolista senza spina dorsale, egoista e arrivista con l’unico scopo di arraffare quanto più denaro possibile al contrario di suo fratello Fosco, un uomo equilibrato e affermato nel lavoro. Una scrittura, quella della Messina si avvale di una potenza visiva che accompagna il lettore nelle vite dei personaggi rendendoli parte della storia, uno stile che alterna ricercatezza ed eleganza a uno più affilato e ruvido che lo rende fortemente evocativo.
Rosalia Messina. Nata a Palermo nel 1955, in esilio volontario a Bologna, giudice in pensione, dopo avere esordito con la raccolta Prima dell’alba e subito dopo (Lab, 2010) ha pubblicato racconti, romanzi, fiabe, testi teatrali e poesie, vincendo diversi premi. Lettrice appassionata, scrive le sue impressioni di lettura su “SoloLibri”, “84 Charing Cross” e “Letteratitudine”.
Loredana Cilento
Il link alla recensione su Mille Splendidi Libri e non solo: https://bitly.ws/392es
“Forse alcuni esseri umani vivono la loro vita alla maniera di Annibale.
Si comportano in modo strano, fanno cose a cui non sappiamo dare una spiegazione e le ripetono ogni giorno senza fermarsi mai, corrono su e giù per tutto il tempo e si sentono sempre più arrabbiati, ma forse lo fanno per distrarsi, così non devono guardare le sbarre della loro gabbia e possono far finta di non trovarsi in prigione. Forse stare sempre in movimento li aiuta a non pensare al futuro che li aspetta, che sarà uguale al loro presente e identico a ogni giorno che hanno vissuto, senza cambiare mai niente. Perché se corri come un matto su una ruota che gira su sé stessa non arrivi mai da nessuna parte, ma magari alla fine sei così stanco da poterti addormentare senza impazzire dalla rabbia e non hai più la forza si stare a chiederti il perché di tante cose”
Avete mai avuto quella strana sensazione di sentirvi osservati anche se ci siete solo voi nella stanza? Magari avvertite proprio una presenza e allora iniziate ad aggirarvi per casa un po’ irrequieti, preoccupati e perché no, curiosi, improvvisamente incontrate lo specchio, lui è lì da sempre, eppure, vi ci specchiate ora come fosse la prima volta e solo in questo preciso momento vi sembra di guardarvi davvero.
Quanto intimorisce vedersi per la prima volta?
A questa domanda ci risponde un bambino, che correndoci incontro, ci porta in un viaggio nel passato, alla scoperta dell’essere umano e di tutte le sue peripezie per diventare adulto.
Con lo scalpore, le speranze, le delusioni, i sentimenti, la vivacità, l’ingenuità, la voce che sa avere solo un bambino, Giovanni Lucchese con il suo “Un bambino sbagliato” , ci fa vivere momenti di cruda realtà e tenera schiettezza attraverso l’innocenza genuina che tutti noi abbiamo avuto in un momento preciso della nostra vita, quel momento quando da bambini non sapevamo ancora ingannarci, illuderci, giudicarci, quel momento quando esprimere un sogno impossibile non ci spaventava affatto, piuttosto lo sentivamo un nostro diritto.
Ogni personaggio, ogni mirabolante avventura simboleggiano un insegnamento da accogliere ed imparare, come il non vergognarsi e il non avere paura di ciò che si è, di ciò che si desidera e sogna.
“Un bambino sbagliato” è un meraviglioso, commovente e spassoso racconto di vita, un romanzo biografico di formazione che tutti dovremmo leggere, lo consiglio di cuore.
Lié Larousse
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