Buenos Aires troppo tardi su “Il fatto quotidiano”
Il fatto quotidiano
16 marzo 2013
Il 24 marzo del 1976 è calata la notte sull’Argentina ed è iniziato il genocidio. Coi preti che benedicono il macello e i generali con gli occhiali scuri seduti in tribuna d’onore allo stadio di Buenos Aires. I soldati che perquisiscono la gente per la strada e le madri che girano intorno alla grande piazza, sotto gli ombrelli fradici d’acqua. Con le parate di carri armati, le foto degli scomparsi, le grida delle donne. Terrorismo di Stato. Trecentoquaranta centri clandestini di detenzione, i sequestri, i fucili a canne mozze piantati nei denti dei passanti, le porte sfondate delle abitazioni, gli studenti contro il muro, le ragazze trascinate sulle camionette. Trentamila desaparecisos. Donde estan?
Così iniziava, l’anno scorso, il mio articolo, apparso su questo giornale, per commemorare l’anniversario della sanguinosa presa di potere della giunta militare argentina. Il brano è tratto dal mio romanzo “Un tango per Victor”, storia di esuli sudamericani ad Amsterdam. Oggi vorrei ricordare l’inferno argentino con altri due libri, “Buenos Aires troppo tardi” di Paolo Macchioni, e “Il prefisso di Dio” di Francesca Bellino.
Il primo testo, edito dalla casa editrice cagliaritana Arkadia, è ambientato ai giorni nostri. Eugenio Santucci giunge nella capitale argentina per portare a termine la parte ‘letteraria’ di una guida innovativa. Fin da subito, nella sua esperienza, si affacciano personaggi particolari, intimamente legati al passato della città e del paese. In un turbinare di eventi, incontri, passeggiate nei ‘sottoboschi narrativi’ della cultura locale, Eugenio si imbatte nel signor Hernández, una sorta di mentore capace di portarlo al cuore e all’essenza vera dell’Argentina. Sarà grazie a lui che Eugenio, persa di vista la sua guida, si calerà nel profondo della storia di una nazione lacerata dalla dittatura, da massacri e assassinii di cui in occidente poco o niente si sapeva. Ecco allora sfilare davanti ai suoi occhi la vida dei circoli letterari, insieme agli squadroni della morte della Triple A, le imprese narrative di Walsh, Borges, del progetto Eloisa Cartonera, di mille uomini e donne che hanno combattuto e sono morte per un’ideale di libertà.
L’originalità e la forza del libro di Paolo Macchioni sta nel raccontare la storia recente dell’Argentina attraverso le vicende di Rodolfo Walsh. Nato artisticamente come autore di libri gialli, fondò a Cuba, insieme a Gabriel Garcia Marquez, l’agenzia giornalistica Prensa Latina. Fu lui a intercettare e decodificare un telex della CIA sull’invasione della Baia dei Porci. Grazie alle sue informazioni, i cubani si prepararono all’invasione. Scrisse il libro “Operación Masacre“ per testimoniare un brutale e singolare episodio del periodo che vide il tentativo da parte dei peronisti di prendere di nuovo il potere: un gruppo di giovani che stavano seguendo la radiocronaca di un incontro di boxe fu trascinato via e fucilato in un immondezzaio; la singolarità dell’evento sta nel fatto che sette dei dodici sopravvissero persino ai colpi di grazia. L’episodio colpì profondamente la sensibilità del giornalista, che scrisse il suo libro capolavoro. Si unì al movimento armato dei Monteneros, quando il peronismo fu bandito. Lo scrittore combatté in prima linea la feroce dittatura dei generali, durante la quale perse la vita in uno scontro a fuoco anche la figlia ventiseienne Vicki. Divenne un super ricercato, cambiò identità, andò a vivere con la compagna Lilia Ferrerya in un piccolo villaggio fuori Buenos Aires.
Nel marzo del 1977 scrisse una lettera aperta al generale Videla e alla sua giunta (la “Carta Abierta de un Escritor a la Junta Militar”), lettera in cui denunciava e chiedeva conto dei crimini perpetrati: compilò liste di morti e desaparecidos, risalenti alle fosse comuni e ai centri di tortura; non tacque della depravazione in cui il paese era caduto, descrivendo l’uso estremo della tortura e il coinvolgimento della CIA nell’addestramento della polizia argentina; non ultimo, denunciò la fallimentare politica economica, che avrebbe portato povertà e condizioni di lavoro prossime allo schiavismo. Venne catturato in un’imboscata a Buenos Aires mentre diffondeva la sua lettera, spedendone alcune copie per posta alle redazioni dei giornali argentini e a corrispondenti stranieri. Fu ucciso lo stesso giorno della sua cattura e il corpo bruciato e buttato in un fiume. Nessuno, all’epoca, pubblicò il suo scritto, ma come riporta Paolo Macchioni nel suo testo, lo stesso Walsh ne era consapevole, ciononostante biosognava andare avanti: ‘Senza la speranza di essere ascoltato, con la certezza di essere perseguitato, però fedele all’impegno che ho assunto da molto tempo di dare testimonianza nei momenti difficili’.
Da brividi e da rabbia anche l’apertura de “Buenos Aires troppo tardi”. Parole di uno dei peggiori e squallidi criminali che il Novecento abbia partorito, Jorge Rafael Videla: ‘Un terrorista non è solo colui che tira una bomba o possiede una pistola, ma anche colui che diffonde idee contrarie alla civiltà cristiana occidentale’. E così leggiamo di preti conniventi con la giunta militare, di tesserati della P2, del grande e compianto Jorge Luis Borges, che insieme al collega Ernesto Sábato si fa ricevere a palazzo dal macellaio Videla per poi, tardivamente, molto tardivamente, accusare la giunta militare di crimini. Leggiamo di autori noti e meno noti, delle sorti del primo peronismo, della famigerata Escuela de Mecánica de la Armada, la scuola per la formazione degli ufficiali della marina argentina, divenuta famosa per aver ospitato l’immenso centro di tortura dalle tecniche medioevali. E leggiamo di una città che faticosamente vuole riappropriarsi della propria memoria storica e umana.
Anche “Il prefisso di Dio” della giornalista Francesca Bellino, edito da Infinito Edizioni, arrivato già alla sua terza ristampa, è un viaggio a Buenos Aires. Un viaggio nel tempo, a Once, il quartiere ebraico della città, alla ricerca dell’Undicesimo Comandamento. Rincorsa dal numero 11, l’autrice si perde in infiniti labirinti di storia antica e contemporanea e si lascia guidare da personaggi sapienti che incontra sulla sua strada. Immigrazioni vecchie e nuove, tradizioni e mistica ebraica, credenze popolari e miracoli, tango porteňo e tango yiddish, la memoria e i fatti dell’attentato all’Ambasciata di Israele e all’Amia e della morte dei 194 ragazzi nella discoteca Cromagnon, gli psicoanalisti del post-crisi del 2001 e la convivenza tra culture diverse sono i temi trattati in questo diario-reportage che cerca di stimolare il lettore in una personale ricerca di un nuovo Comandamento per le attuali società plurali. Come scritto anche dal Premio Oscar Luis Enriquez Bacalov ‘”Il Prefisso di Dio” apre le porte meglio di qualunque guida turistica non solo a el Once e a Buenos Aires, perché Francesca Bellino racconta questi luoghi e storie con la partecipazione vitale e affettuosa di una scrittrice attenta e desiderosa di spaziare oltre e oltre e oltre ancora’.
Una galleria di personaggi straordinari ci accompagna attraverso le pagine di questo testo. Straordinari nel bene e nel male, perché a fianco di donne e uomini che hanno combattuto per la propria dignità e per la salvezza dell’intero popolo, troviamo losche figure di politici, militari, affaristi che hanno appoggiato tutto ciò che non si sarebbe potuto appoggiare: il nazismo attraverso la formula dell’immigrazione indesiderata nei confronti degli ebrei; le torture, gli stupri, i bambini strappati alle madri, i corpi dei dissidenti gettati nel fiume durante quella dittatura capace di vincere i mondiali di calcio e di cui ancora poco si parla nei libri di testo; le banche estere, gli imprenditori statunitensi, sanguisughe senza scrupoli che volontariamente hanno succhiato tutto ciò che potevano alla gente comune.
E poi troviamo il tango, i café, ‘La balsa’ e le altre opere rock in castellano, i libri e gli scrittori degli ultimi cento anni. Storie semplici e piene di vita. Storie che mettono a nudo il lettore, regalandogli una sorta di liberazione e di consapevolezza storica.