“Bruciati vivi” sul Corriere di Puglia e Lucania
Bruciati di vivi di Daniela Stallo. Recensione di Evelyn Zappimbulso
Nel romanzo Bruciati Vivi di Daniela Stallo (ArKadia, 2021), si narra di una storia importante, che tocca passato e presene di una donna, la protagonista Lucia, docente di diritto di un istituto di scuola superiore del nord, ingabbiata psicologicamente in una delle più nobili professioni di aiuto: l’insegnamento. Lucia è una docente pendolare e, in un flusso di coscienza schietto e doloroso, si auto narra in un diario che si stende per dieci mesi, i mesi di vita della Scuola italiana in una stagione di viaggi, di registro elettronico che non consente appelli immediati, di pranzi freddi e solitari, di colleghi senza volto, di uomopreside e uominimacchina. Si prova un inziale disagio di adattamento nel leggere le prime righe del romanzo, che scorre in un fluido linguistico al ritmo della condizione di stress (bornaut) della protagonista. Parole ripetute, suoni ricorrenti, frasi brevi che ritornano come in un loop. Una lingua che evidenzia, più che raccontare, la condizione di chi vive un pendolarismo al femminile, tra cene a base di pizza e risotti precotti in busta. Il lettore deve rimanere concentrato ed è catturato da Luisa che, sotto le parole, chiede aiuto. Chiede aiuto ai colleghi che, incrociando tra i corridoi, invita a stilare una lista di desideri per luna scuola migliore; chiede aiuto agli alunni, anche se “gli insegnati sono estranei e loro non si fidano”; chiede aiuto ad un’amica e le attribuisce il peso di una scelta. Luisa è sola, sola nelle scelte, sola nella angoscia, sola nei rumori della sua mente, in bilico tra chi voleva essere e chi diventata. Spesso si ammala o finge di farlo per poter restare a casa. Con il marito Thomas i rapporti non sono proprio idilliaci e la lontananza del figlio Lorenzo, che lavora all’estero, di certo non l’aiuta. Sempre più stanca e disinnamorata di un mestiere che non l’appaga, Luisa si convince che, per anelare a un’esistenza migliore, l’unica cosa da fare è eliminare le persone che gliela rendono difficile. Proiettata in una rincorsa ossessiva ed egoistica verso la felicità, la protagonista con ogni sua azione toccherà il fondo che sfocerà in un epilogo, affidato all’immaginazione del lettore. Lei se lo chiede da ventinove anni. Ma davvero “la Scuola è un mondo di comparse, io sono una comparsa”. Luisa non ricorda quando ha “spinto il lavoro così lontano, in fondo ai giorni, all’anima”. Eppure lei quel lavoro lo ha desiderato, l’ha preteso. Lei che aveva respirato odore di Scuola sin da bambina, figlia di mamma e papà, entrambi maestri. La Scuola, mamma Scuola che emerge forte e protagonista prima nel romanzo, tra una sottile denuncia verso quella che è la reale situazione di un lavoratore donna, malpagato e stanco di viaggi al buio e sotto la pioggia e il più nobile atto d’amore verso gli alunni, il lavoro, servizio che riempie il cuore e quella passione vibrante di chi ancora oggi entra in un’aula e spera in un futuro migliore.
Evelyn Zappimbulso
Il link alla recensione sul Corriere di Puglia e Lucania: https://bit.ly/43LRda1