“Bruciati vivi” sul Corriere del Mezzogiorno
«Per dare un senso alla bufera»: due donne scrivono della malattia
Entrambi insegnanti e tarantine che vivono lontano. In «Il precipizio dell’amore» (Mondadori) Mariangela Tarì riporta la difficile quotidianità di una madre di fronte alla malattia grave dei figli piccoli. In «Bruciati vivi» Daniela Stallo racconta l’esaurimento di una professoressa, e della scuola contemporanea.
La malattia come topos letterario. Il «tema centrale d’ogni narrare», diceva Gesualdo Bufalino. Basti pensare a Thomas Mann, Kafka, Pirandello. L’elenco è infinito. E ora vede aggiungersi due scrittrici tarantine «fuori sede», che in modo diverso affrontano l’argomento nei rispettivi romanzi. Insegnano entrambe. E sono tutt’e due laureate in giurisprudenza. Ma se «Il precipizio dell’amore. Solo appunti di una madre» (Mondadori), lavoro d’esordio di Mariangela Tarì, è un libro-testimonianza sul dolore dell’infermità, «Bruciati vivi» (Arkadia) di Daniela Stallo è costruito intorno alla malattia utilizzata come pretesto letterario per raccontare una storia.
Dolore e solidarietà
Qualcuno ricorderà tre anni fa il grido di sofferenza su un noto quotidiano nazionale di una madre scesa in campo per difendere Nadia Toffa, bersagliata da alcuni per aver parlato del cancro come di un dono. Poi il cancro s’è portato via Nadia, che era scesa accanto alle mamme di Taranto, costrette a piangere i propri figli morti o malati di tumore. Le stesse mamme che subito dopo si sono schierate in prima fila per sostenere l’intitolazione del reparto di Oncoematologia pediatrica del Santissima Annunziata alla popolare conduttrice de «Le Iene». Anche Mariangela Tarì, che vive e insegna a Verona, dove si occupa di migliorare la qualità di vita dei bambini con disabilità o gravemente ammalati attraverso La Casa di Sofia, è una mamma di Taranto. Ed è lei l’autrice di quella lettera aperta, in cui cercava di portare le ragioni di chi il dolore lo vive quotidianamente. Rispondeva alle persone che avevano insultato Nadia Toffa, raccontando l’esperienza di molti, troppi anni trascorsi negli ospedali, a prendersi cura dei suoi due figli: Bruno, il più piccolo, con il cancro al cervello, e Sofia, con la sindrome di Rett, una malattia neurologica dello sviluppo. «Il dono non è il cancro. Il dono è cogliere in mezzo alla bufera qualcosa che ne dia un senso», scriveva Mariangela, che giovedì 18 marzo (ore 19.30) presenta il suo libro, nato da quella lettera, in collegamento streaming per la rassegna «Sipario si legge» organizzata al teatro Fusco di Taranto dall’amministrazione comunale col Mondadori Bookstore di via De Cesare.
La sindrome del burnout
Poi ci sono malattie come la sindrome del burnout, dall’inglese «to burn out», che portano chi ne è affetto a consumarsi per lo stress, sino a bruciarsi. Una volta si chiamava esaurimento nervoso. Una malattia che logora, con conseguenze importanti: irrequietezza, distacco, cinismo. Esattamente le coordinate cartesiane dello spazio tridimensionale nel quale agisce compulsivamente la protagonista di «Bruciati vivi», romanzo dalle atmosfere noir e con un carico d’ansia quanto un prolungato attacco di panico, che s’insidia sin dalle prime battute per manifestarsi drammaticamente nel finale. La protagonista Luisa è un’insegnante di Diritto, come l’autrice, docente nelle scuole superiori a Pisa. Ma la fonte d’ispirazione è solo in parte autobiografica. Nel senso che il personaggio di «Bruciati vivi», piantato con i piedi ben oltre l’orlo di una crisi di nervi, le è stato suggerito da una persona conosciuta oltre trent’anni fa. Una docente pendolare della provincia di Taranto, professoressa di Scienze, che – in preda ad un forte esaurimento – raggiungeva il lavoro imprecando contro studenti e colleghi alla guida di una Skoda scassata. Le parole, i pensieri e i propositi (anche malvagi) che Daniela Stallo le ha rubato, si sono andati ad incrociare con esperienze personali nel rapporto quotidiano con gli studenti. Ed è nato un romanzo che racconta cos’è diventato il mondo dell’istruzione, attraverso la scansione compulsiva delle giornate di Luisa lungo un intero anno accademico, da settembre a luglio. Una quotidianità alimentata dal fuoco di un’angosciante routine e da mille ossessioni. Giornate di ordinaria follia, che prorompono da una scrittura tirata, a tratti assillante, verrebbe da dire «cannibale», per quanto risulta gergale e anti-letteraria. In ogni caso, una scrittura efficacissima nell’aderenza al disagio della detestabile protagonista, con la quale diventa spesso difficile non solidarizzare.
Francesco Mazzotta
Il link all’articolo sul Corriere del Mezzogiorno: https://bit.ly/3ceNr09