Affetti non desiderati
Un’enorme smagliatura percorreva il collant appena indossato. Era colpa dell’anellino berbero che portava sempre al medio sinistro: avrebbe dovuto sfilarlo prima. Ora le toccava ripensare tutta la mise, ma Miriam non aveva intenzione di mortificare le gambe in un paio di jeans: il suo corpo pieno le piaceva più del viso, spigoloso e severo. Prese a rovistare nel primo cassetto del comò, fra il groviglio di biancheria intima. Un paio di calze, teso sul palmo della mano, le sembrò perfetto; poi si accorse di un piccolo foro che lasciava intravedere la pelle, ma si disse che si sarebbe sistemato sotto il piede e che un po’ di smalto per unghie avrebbe bloccato lo strappo prima che si estendesse a tutta la gamba. In fondo, anche se la serata con Antonio si fosse conclusa come sperava, non sarebbe stata costretta a mostrare le piante dei piedi.
Mentre aspettava che il rammendo di fortuna si asciugasse, diede una sbirciata al cellulare. Antonio le aveva inviato diversi messaggi durante la giornata: commenti sul Museo del Novecento, visitato dopo il congresso che lo aveva portato a Milano, foto di quadri e statue su cui lei non aveva saputo esprimere nessun giudizio; Miriam non andava mai nei musei e di Milano conosceva solo la Stazione Centrale. Una delle foto ritraeva una statua di pietra: un uomo seduto, intento a spingere una lapide con le gambe piegate, le braccia tese e la testa abbandonata all’indietro nello sforzo di resistere, di non lasciarsi schiacciare dal peso. Il titolo era I morti di Bligny trasalirebbero e Antonio aveva precisato che si trattava di una citazione di Mussolini. Miriam scrisse “Mussolini? Ma è una mostra fascista?”, poi si bloccò, cancellò tutto e digitò “Dove ci vediamo?”.
In attesa della risposta, si mise a raccogliere gli oggetti sparsi per casa in un andirivieni che sembrava costarle fatica. Sapeva che il treno sarebbe arrivato alla stazione di Padova alle 20:00 in punto: le restava appena mezzora per mettere ordine. Nascose ogni traccia di vita domestica ficcando nell’armadio anche un mucchio informe di vestiti da uomo. Poi invece un messaggio l’avvisò che Antonio l’avrebbe aspettata nella hall dell’Hotel Plaza alle 21:00, allora smise con sollievo di rassettare.
Alloggiava nello stesso albergo della volta precedente, quando era entrato in negozio per comprare una cravatta blu e si era trattenuto per corteggiarla con una galanteria un po’ desueta, ma piacevole. La sua sfacciataggine l’aveva stupita: era rimasto ad aspettarla dopo la chiusura, ma avevano avuto appena il tempo per scambiare due chiacchiere davanti a un bicchiere di vino. Sembrava sicuro che l’avrebbe rivista tre settimane dopo, di passaggio a Padova via Milano, e anche quella sottile presunzione, chissà perché, l’aveva sedotta.
Le calze erano pronte. Le infilò con cautela dopo essersi tolta l’anello, poi montò sui tacchi e si rimirò nel grande specchio dell’entrata. La luce al neon rivelava troppi dettagli marcando ogni imperfezione, ma cercava di immaginare come l’avrebbe vista Antonio con un’illuminazione più clemente.