“A pelle scoperta” su La lanterna del pescatore
Scrivere a fior di pelle: Francesca Piovesan
La prima ragione del fascino di questi racconti è la delicata spudoratezza della prosa di Francesca Piovesan. Sono storie che mettono in scena figure quasi sempre giovanili, che si trovano al centro di trame emotive intense, e la scrittura le segue dall’interno: è un flusso di scrittura e sembra seguire il corso del sangue nelle vene dei protagonisti. Più che nello stream of consciousness, ci immerge nel turbinio delle sensazioni, ma col sorriso, con un’ironia che impedisce quasi sempre di sboccare nell’intimismo. Francesca scrive a regola d’arte, anche se ha una scrittura viscerale, anche se “scrive con gli organi non con le parole”, come ama dire lei stessa. Ho scritto che i personaggi sono al centro di trame emotive, e le ho definite apposta così: non sono trame narrative perché i racconti di A pelle scoperta (Arkadia, 2019) non hanno delle vere e proprie trame: sono al limite della prosa poetica, e prova ne è che il finale è un momento di dissolvenza, è un finale aperto, apparentemente a malapena attinente al resto del racconto. In una concezione classica, il finale del racconto è un punto di forza, il racconto classico è una bomba che esplode nel finale. Qui il finale è più un ritorno a terra, una ricaduta nel quotidiano dopo la divagazione rappresentata dalla narrazione. Narrazione – ed è un altro motivo del suo fascino – che è tutta nel flusso delle parole: è come una calda, brodosa improvvisazione jazz, e ogni racconto è una take. La prosa di Francesca Piovesan è piena di dettagli: la sua materia prima sono i dettagli, ma non occorre seguirli e comprenderli tutti: basta seguire il flusso della scrittura, lasciarsi portare dalle parole e si ritrova comunque la bussola, ci si orienta nel racconto -il che di nuovo dimostra che la scrittura di Francesca non è impulsiva, che ha un senso formale. Sembra che l’autrice esplori lo spazio narrativo alla maniera dei pipistrelli: lanciando suoni in tutte le direzioni, che poi tornano indietro tracciando figure e rapporti tra figure, spazi dimensioni e direzioni. È un’esplorazione così rischiosa che ad ogni riga si può inciampare e cadere, ma non succede. La scrittrice gioca tra coinvolgimento e distacco, costruisce atmosfere oniriche accumulando dettagli di un realismo crudo e sfumandoli nel flusso della narrazione. Sono dettagli amplificati da una sensibilità febbrile, che “sente” tutto troppo, come la pelle di un febbricitante. Una scrittura coraggiosa, ma non morbosa. Il suo principale difetto è che produce una specie di totale indirection per cui tutta la realtà dei fatti viene sommersa dal flusso delle parole. A pelle scoperta è anche un libro pieno di sensualità: una sensualità realistica, proprio quella della vita reale. E Francesca ha un modo così fine di scrivere la sensualità, che ne sono rimasto incantato. Dentro il moto perpetuo cinestesico che è questo libro, la sensualità risalta per la freschezza e la poesia con cui è resa. Malgrado il turbinio delle sensazioni, nessun racconto fa dimenticare che questo è un libro di mini-vite, dominate dal caso e a volte dall’assurdo, e che i personaggi sono personaggi che cambiano direzione a ogni mutare di vento: hanno personalità esilissime, mondi interiori con la consistenza di fuscelli. Forse sono invasi dalle sensazioni proprio perché non hanno una struttura interiore solida, sono in balia di tutto. E non fanno dimenticare nemmeno, questi racconti, che alla base c’è una realtà sociale fatta di precariato spinto, di giovani spaesati, di baroni universitari che si scopano le studentesse per qualche voto in più: rapporti umani laschi, quasi nulli… Un libro con tanti protagonisti giovani ma non giovanilista, un libro che non fa sconti. E questo è un altro motivo del suo fascino.
Giorgio Galli
Il link alla recensione su La lanterna del pescatore: https://bit.ly/3ob9zPr