Come una barca sul cemento
UNO
La barca è un cabinato di 13 metri, bianco con una fascia nera un po’ sbiadita all’altezza degli oblò, un po’ rigato, è vecchio e avrebbe bisogno di manutenzione; nel cielo nuvole grigie corrono veloci scoprendo e coprendo una luna pallida non ancora piena, immersa in un cielo nero avvolgente, il mare è un suono lontano, attutito, ma regolare e profondo, armonico, rilassante.
Il pozzetto in teak è scheggiato e vissuto da anni di uso e navigazione ed è arredato con divanetti stinti, una chaise-longue e una minimale cucina esterna.
All’interno c’è una comoda cucina di legno scuro, due suites con servizi, e quella dove stai dormendo tu, completamente vestito sopra il letto intatto, è illuminata da vetrate a pelo d’acqua che filtrano una luce arancione sporca.
La barca è appoggiata a un accrocco che la tiene dritta sul battuto di cemento grezzo di questo deposito pieno a metà di barche a vela, yacht, cabinati, motoscafi d’altura, eccetera.
Un faro arancione illumina parte del deposito di rimessaggio: alcune barche sono in ombra, grossi e ingombranti fantasmi, forme indistinte, rese misteriose dal velo della notte.
La barca dove dormi tu ha una ripida scala esterna che collega la plancetta di poppa a terra, ed è la tua nuova casa da un anno, nonché il tuo luogo di lavoro: sei il guardiano notturno, che a quest’ora non dovrebbe dormire, ma dovrebbe, appunto, fare la guardia.
Ti svegli e la radio, accesa, sta trasmettendo la coda di un vecchio brano dei Depeche Mode, finita la canzone inizia il radiogiornale, dopo le solite notizie su una delle tante guerre in giro per il mondo e le ultime del governo in crisi, la giornalista racconta della sparizione di un bambino di sei anni, apparentemente rapito, in un giardino pubblico di Milano.
Questo lavoro l’hai ottenuto perché sei amico di lunga data – lunghissima, avete fatto le elementari, le medie e le superiori insieme –, di Basilio Agreste, il padrone di questo deposito di rimessaggio barche, perché tu, di barche, non capisci un cazzo, a malapena sai nuotare, quel tanto, che è veramente poco, per rimanere a galla, e non affogare.
DUE
Flavia non è la prima, la prima è stata Rossella. Solo che quando l’hai finalmente trovata hai scoperto che era morta, da quindici anni, e proprio la prima, l’inizio di una sorta di percorso: tu all’epoca avevi sedici anni, lei quindici. Un rimpianto, il primo, vero, palpabile, reale, quasi doloroso. Qualcosa con un sapore, un odore, una madeleine del cazzo. Tutta una serie di madeleine che hai deciso di andare a cercare, senza un vero motivo scatenante, o comunque non a livello conscio, ma una cosa che vuoi per forza fare, cioè vuoi ritrovare tutte le donne con le quali avresti voluto fare sesso, ma con le quali non l’hai mai fatto per un motivo o per l’altro. Come una sorta di risarcimento. Anche se poi, una volta trovate cosa succede? Forse speri di consumare quello che all’epoca non hai consumato? Ma sono passati anni, tanti anni, le persone invecchiano, come tu sei invecchiato, anche se con te la natura è stata magnanima, non hai per niente l’aspetto di un cinquantenne, forse ne dimostri quaranta, e portati molto bene. Ma purtroppo, l’hai notato anche tu, non tutti sono diventati anziani bene come te, che poi tu sei solo un castello di sabbia, bello ma fragilissimo, e la tua salute in verità è quella che è, dal mal di schiena su su fino alle coliti nervose, ai mal di testa. E poi magari per loro non sei neanche più un ricordo, la gente dimentica, tu dimentichi, tra l’altro sono tantissime le cose che dimentichi, ma non quello, quello è un ricordo che è rimbalzato negli anni, sempre tenuto vivo, come un piccolo fuoco, e col senno di poi, probabilmente pronto per un momento come questo, pronto a riaccendersi, a riprendere calore. Ma chi può dirlo, chi la capisce la mente umana! Chi ti capisce! Chi ti ha veramente mai capito! Fai le cose, punto. Fai le cose, e i veri perché si perdono nella nebbia densa della tua mente. Sei un libro chiuso, ermeticamente. Lo sei sempre stato.
TRE
Flavia l’hai trovata su Facebook, sorta di macchina infernale, trappola fenomenale, rete dalle maglie strettissime, dove tutti prima o poi ci finiscono dentro, liberamente im- prigionati. Per quello che hai intenzione di fare tu però quasi un indispensabile mezzo, lecito, di farsi gli affari de- gli altri, riallacciare contatti, ritrovare vecchie fiamme, o anche solo labili fiammelle, veloci scintille, magari esplose solo nella tua testa, o magari no; eri poco attento allora, e forse anche oggi, ai segnali che ti mandavano gli altri, leggevi cose che forse non c’erano, eri miope alle cose palesi che invece erano sotto gli occhi di tutti. Un po’ stupido in fondo, anche se tu, forse, ti consideravi furbo, ma solo tra te e te, quello che davvero traspariva, che veramente gli altri vedevano era una controfigura che ha sempre confuso tutti: non eri né inquadrabile, né incasellabile. Non tra i migliori ma neanche tra i peggiori, né carne né pesce, uno squalo simpatico, un serpente senza veleno. Un inutile enigma.
Eri più popolare, al limite dell’estroverso, alle medie che alle superiori, alle superiori ti sei quasi spento, c’erano troppe correnti da seguire, e non te ne piaceva nessuna, le hai anche provate tutte, ma poi te ne sei stancato e ti sei solo sistemato sul bordo di esse e hai cominciato a osservare; da protagonista delle storie ti sei trasformato in solitario spettatore, guardavi i cadaveri delle esperienze altrui. Ogni tanto facevi la comparsa, ma nulla di più. Più crescevi e più quello che vedevi non ti piaceva, tutti sembravano avere uno scopo, tutti, tranne te. Ma magari fingevano solo di avere un vero scopo, chi può dirlo. Però ti piacevano le donne, ma eri un incapace, esteticamente sembravi un figo, ma in verità eri un imbranato, o anche solo pigro, non capivi perché dovessi essere tu a fare sempre la prima mossa, era palese che piacevi alle ragazze, perché non si facevano sotto loro, anche se poi qualcuna l’ha fatto, ed è stata premiata, ti ha avuto, anche se magari solo per poco tempo. È che tu ti stufi in fretta di qualunque cosa, sei scostante, non ti impegni seriamente nelle situazioni che dovrebbero essere anche fondamentali, in tutte le questioni a ben vedere, sei completamente concentrato su te stesso, anche se non esiste un vero motivo per esserlo, non sapevi cosa volevi all’epoca, come non lo sai ancora oggi. Hai sempre la mente al lavoro, solo che questa non partorisce mai nulla di buono. Lavora, lavora, lavora, ma è come se non riuscisse a mettersi in contatto col tuo corpo, come un computer non collegato a nulla che elabora informazioni che nessuno vedrà mai. Quindi, sostanzialmente inutile.
Flavia è una di quelle ragazze per le quali ti sei consumato al limite della disperazione, un vero tormento, sulla quale ti sei fatto mille film, e altrettante seghe, che hai quasi bramato, ma eravate solo amici, e avendone tu pochi, pochissimi, avevi il terrore di trasformare un’amicizia in qualcos’altro, qualcosa che nella migliore delle ipotesi sarebbe durata pochi mesi, se mai fosse iniziata questa relazione, e poi tu non volevi fare la prima mossa e non hai mai capito se lei fosse o meno veramente interessata a trasformare un’amicizia in qualcosa di più complicato, cioè quello che è un rapporto intimo tra un uomo e una donna; tu non sei mai stato bravo a capire i segnali che le donne lanciavano, e se in quel caso specifico ci fossero dei segnali da decodificare: tu eri disponibile, ma al limite di una margherita in un prato che va colta, se no, la margherita, rimane lì dov’è, bella, ma un po’ inutile, e che col tempo sfiorisce o viene inavvertitamente calpestata.