“Durches” su L’Unione Sarda
E Matilde di Canossa preparò per Enrico IV il biancomangiare
“Durches”, guida sulla storia dei dolci sardi curata da Giovanni Fancello
Piacevole al gusto e alla lettura. La parola dolce deriva dal latino dùlcis e affonda le sue radici nella tradizione panificatoria del mondo classico arricchendosi di elementi che ne migliorano il gusto, dal miele all’uva passa fino alle spezie. Commistioni irrinunciabili che raccontano la storia. La storia dei Durches, i dolci sardi, piccoli scrigni che custodiscono sapori, che sanno di avventure, quelle stesse compiute da dagli ingredienti per arrivare fino a noi, sono racchiuse in un prezioso volume che porta la firma di Giovanni Fancello. Insomma una garanzia per chi conosce i suoi “Appunti di cucina” e i suoi libri sempre dedicati al gusto. Per Arkadia Editore, il giornalista e gastronomo è andato oltre la tradizione, scavalcando la necessità di trascrivere un mero ricettario per scalare le classifiche di vendita, lasciando invece libero sfogo alla sua indole da studioso e ricercatore.
Guida tra i dolci
Domani sarà Fancello a parlare a Cagliari durante la presentazione che verrà ospitata alle 18 dal ristorante Niu (corso Vittorio Emanuele, 56). Con Raimondo Mandis, fiduciario della condotta Slow Food Cagliari, si entrerà nel dettaglio di una guida che si potrebbe tranquillamente consultare prima di accomodarsi a un banchetto o mentre si viaggia tra i paesi della Sardegna, ma di sicuro leggere e lasciare che la passione per la storia unita all’amore per i dolci aprano mondi inaspettati è la scelta migliore. È proprio il mondo antico ad accompagnare il lettore attraverso vicende mitiche lungo il Mediterraneo. Gustosi racconti che sanno di buono e di profumi della festa e si rivelano sorprendenti mentre la mente corre a ricercare il sapore di un bianchinu (marigosu) e si legge che potrebbe essere nato in Inghilterra, la dolcezza della aranzada (“quaedam dulcia, qauedam acida”, Bartolomeo Sacchi nel 1470 riferendosi al frutto utilizzato in cucina).
Ariosto e la sapa
Non si sente la necessità divederli quei manufatti di miele e saba (sapa, sabba) quando si legge che anche Carlo Magno, nel suo Capitulare de villis vel curtis imperii, fornisce interessanti informazioni sul vino cotto e Ludovico Ariosto nei versi della Satira III inserisce la sapa tra gli elementi della cucina cinquecentesca. (Si potranno invece assaggiare al termine della presentazione cagliaritana i dolci preparati da Anna Maria Sarritzu del laboratorio artigianale Druceras). Le fotografie che ti aspetti quando apri un libro che parla di buono, di creazioni appena sfornate, di farine efrutta candita, sono le immagini che le parole sanno raffigurare. Ecco perché Durches dovrebbe trovare posto negli scaffali e non tra i vapori di una cucina, perché è la Storia che racconta.
Antiche ricette
Ogni ingrediente, anche il più ovvio, ha qualcosa da tramandare e lo si scopre pagina dopo pagina, leggendo di antichissime ricette dello sconfinato mondo dei dolci sardi così vicini alla gastronomia egizia, romana, sumera ed araba. La ricostruzione operata da Giovanni Fancello è di quelle appassionanti perché della tradizione si arriva alle citazioni tratte dai testi classici e non mancano naturalmente le descrizioni precise e attente, anche attraverso le diverse fonti. E si scopre, ad esempio, che il biancomangiare che ancora oggi apprezziamo Alghero (e nel Campidano con il nome di Papai biancu), nel XVII secolo era una minestra, prima ancora una polentina (Catone il Censore ci ha lasciato la ricetta così come quella della placenta-seada) e Enrico IV lo trovò tra le pietanze del banchetto organizzato dalla cugina Matilde per il suo ritorno a Canossa. Anche Leonardo da Vinci si sarebbe pronunciato in proposito nel Codex Romanoff, a lui attribuito. Dobbiamo attendere la fine del Settecento per mettere insieme in un mortaio mandorle, zucchero, acqua, latte, vaniglia, colla di pesce e liquore. Nel tempo, dopo Catone il Censore, anche Apicio, Ateneo e numerosi autori medievali hanno lasciato indicazioni su dolci che sono molto vicine alle ricette che ancora oggi sopravvivono in Sardegna.
Grazia Pili