“Fratello minore” su Avvenire
«Critica e rispecchiamento» Zangrando racconta Peter B.…in seconda persona
Studi psicologici statunitensi (ce ne sono sempre di nuovi, all’ultimo grido) sostengono che l’uso della seconda persona (alternativo a quello della prima o della terza) rende più sicuri, e più spigliati e incisivi. Usare il “tu” invece dell’“io” creerebbe una salutare distanza da se stessi, come a chi accada di guardarsi nello specchio per rivolgersi rimproveri o invece lodi, o sul proprio taccuino personale di annotare stati d’animo e pensieri attribuendoli a un “tu” immaginario, ma in realtà l’amico più intimo, perché di altri non si tratta che di noi stessi. Là dove la seconda persona è invece sostituita dalla terza, il viraggio di punto di vista ottiene l’effetto contrario: avvicina. L’altro al quale ci si rivolge frontalmente, quel “lui” o “lei” che diviene all’improvviso semplicemente “tu”, perde di fredda oggettività e guadagna in termini di prossemica, divenendo oggetto di un’assonanza che se portata all’estremo si fa persino fusione, simbiosi. In versione narrativa, i risultati sono pressappoco gli stessi. Una biografia, e biografia romanzata peraltro, definisce attraverso l’uso del “tu” una posizione dello scrittore-narratore molto peculiare. Quest’ultimo stabilisce di osservare lo scorrere del tempo di un altro, del personaggio del quale racconta la vita, ma è giocoforza che via via alla temporalità di quell’altro mescoli la sua propria; giocoforza che il protagonista della biografia divenga una sorta di alter-ego del biografo, e che le due vite amalgamandosi diano luogo a un ibrido nuovo, capace di modificare le esistenze di narrato e di narratore, di biografo e di “biografato”. Stefano Zangrando, autore trentino ma berlinese di adozione, dedica un romanzo “saggistico” alla vita di un autore ebreo tedesco: Fratello minore. Sorte, amori e pagine di Peter B.. Lo fa sin dalle prime pagine dichiarando come la sua ricognizione biografica disegni anche un proprio personale percorso. Sebbene «sottomessa alla metamorfosi», la Berlino lungo le cui grandi arterie Zangrando muove i suoi passi, le case, i teatri, gli altri luoghi sui quali punta il suo sguardo accurato, rapito ma esatto, è la stessa città dove il protagonista, Peter Brasch (poeta, drammaturgo, scrittore) ha consumato la parte più prolifica della sua breve vita (muore quarantenne). Dove si è dissipato, si è dato all’alcol, dove con ambivalente partecipazione ha seguito successi e destini diversi dai fratelli: Klaus, Marion, Thomas, tutti come lui letterati. E là dove ancora ha avuto amori, troppi amori, sino all’incontro con una vera compagna la cui presenza comunque non arresta l’inquietudine profonda che anima Peter B.. Prima c’è stato il ritorno dei genitori in Germania, una volta finita la guerra e di poco attutite le peggiori minacce antisemite (un senso di straniamento profondo continua a serpeggiare in famiglia). Poi, per il giovane Peter, l’università, abbandonata dopo accuse di sobillazione politica (siamo negli anni settanta). La fuga dalla Germania es. La definitiva scelta di dedicarsi alla letteratura, «in mancanze di vie di fuga». E una poliedricità di scrittura che lo insegue, è spinta creativa che lo tiene in vita tanto quanto affatica i suoi fragili nervi. Tormenti del protagonista che trascolorano nei rovelli del biografo (per il quale «critica e rispecchiamento» sono speculari all’interrelazione tra verità e finzione). In molti raccontano Peter B.. E di questa ricostruzione polifonica di un artista e del suo mondo, il punto più debole è paradossalmente la soluzione stilistica scelta come la più connotante: l’uso della seconda persona. Il “tu” pronunciato per buona parte del libro, se trasmette tutta la potenza del “corpo a corpo” tra lo scrittore e il suo materiale, e tra Peter B realmente esistito e quello re-immaginato dall’autore, però crea uno iato, uno spazio vuoto e smaterializzante, che non sempre è facile riempire.
Lisa Ginzburg