“Cuore Agro” su Solo Libri
«Cuore agro» di Nina Quarenghi
Chi ha passione per l’insegnamento, inteso come trasmissione non solo del sapere, ma del condividere con i più piccoli se stessi e il proprio modo di essere e di pensare, di stare al mondo, non potrà che essere affascinato dal libro che Nina Quarenghi, storica, saggista, insegnante, ha intitolato “Cuore agro”. Il suo primo romanzo: agro come l’agro pontino dove si svolge la storia, cuore come la profonda qualità umana che pervade tutte le pagine del libro. La parola chiave che compare già dal titolo ci fa pensare subito al troppo criticato e mai dimenticato romanzo deamicisiano, la storia in forma di diario di un anno scolastico nella Torino borghese di fine Ottocento; qui invece siamo nella campagna malarica a nord di Roma, presso il villaggio di Torrescura e il racconto in prima persona della giovane maestra appena ventunenne, Lidia Vitali, che sceglie una sede disagiata per il suo primo anno di insegnamento coglie un arco di tempo che va dal novembre 1915 al giugno dell’anno successivo.
Lasciata una condizione agiata nella cittadina di San Pellegrino nei pressi di Bergamo, Lidia inizia il suo viaggio quasi infernale, luoghi abbandonati alla miseria, all’incuria, alla sopraffazione, alla denutrizione, alla malattia endemica. Nelle terre della famiglia Rospigliosi una banda di caporali prevaricatori e violenti, al di fuori della legge, tengono in una sorta di schiavitù intere famiglie di contadini venuti per i lavori stagionali da Anticoli Corrado, costretti a vivere come animali in baracche fatiscenti, prive dei più elementari servizi igienici, in dolorosa promiscuità, impiegati in lavori massacranti. Le vittime principali di tale situazione di estremo degrado sono i bambini: il progetto a cui la maestra Lidia aderisce è quello della scuola pubblica, che accoglie i piccoli e li sottrae finalmente alla fame, alla denutrizione, all’inedia. Vincere la resistenza delle famiglie, ignoranti e diffidenti, superare l’arroganza di uomini malvagi che ostacolano il progetto educativo, andare contro atavici pregiudizi, sconfiggere la paura di trovarsi in mezzo ad una violenta e manifesta ostilità da parte di tutti, è la sfida a cui la giovane e coraggiosa Lidia non si sottrae.
Conterà sull’aiuto di Cosetta, una giunonica contadina che malgrado abbia perso quasi l’intera famiglia nel terremoto di Avezzano, sarà la sua spalla, cucinando pasti caldi e succulente ciambelle per gli affamati piccoli scolari; su quello di Anita, una ragazzina di dieci anni senza famiglia, dal grande inespresso talento di artista, e infine sul dottore che ha scelto anche lui di lavorare per i diseredati contadini, Carlo Guerra, che raggiunge quei luoghi sperduti, infangati, inospitali sulla sua rombante motocicletta, e che diventerà l’oggetto d’amore di Lidia, che invece si sposta a cavallo di Minerva, l’unico lusso che le è concesso dall’amministrazione.
Mentre l’anno scolastico procede in mezzo a mille ostacoli che mettono a repentaglio la determinazione della maestra, una visita inaspettata cambierà verso alla storia: giunge al villaggio il celebre pittore Duilio Cambellotti, che immediatamente comprende di trovarsi di fronte ad un evento eccezionale: il lavoro di Lidia può divenire un modello per tutte le scuole e una visita delle autorità romane che promette per la fine dell’anno sarà un esempio da seguire e da imitare. Ecco allora che i bambini che parlano un dialetto primitivo, che non si lavano né si pettinano, che vivono in uno stato arcaico, con il passare dei mesi diventeranno, nelle mani della maestra, dei veri scolari capaci di mettere su uno spettacolo alla fine dell’anno, partendo dal Libro della giungla di Kipling. I piccoli trasformati in lupetti, nella terribile tigre Shere Khan, nel cucciolo d’uomo Mowgli, che accetterà di interpretare il più monello della classe, daranno alle dame con il naso all’insù giunte con il poeta Giovanni Cena a visitare la “colonia”, la sensazione di trovarsi di fronte ad una sorta di miracolo. La scuola teatro creata dal coraggio di Lidia aveva costruito in pochi mesi una comunità solidale, partendo dai bambini, sconfiggendo i soprusi e le ingiustizie di troppi adulti conniventi.
Gli applausi finali ci frastornavano. L’esaltazione generale era ubriacante. Io mi sentivo tutto d’un colpo liberata da un doloroso peso……I bambini erano confusi, ma contenti che fosse passato tutto. Dilagarono dal palco verso i genitori, che li presero in braccio, mentre tutti si alzavano in piedi. Strinsi decine di mani, sollevai Anita in un abbraccio che aveva già il sapore della nostra vita insieme nella mia famiglia…
Anita a cui è dedicato il libro, simbolo di tutto il male che una società malata poteva procurare ad una bambina, piccola eroina con un fazzoletto rosso scolorito, vittima di violenza, obbligata a crescere prima del tempo, è anche l’emblema del riscatto che viene dalla cultura e dall’amore.
Grazie a Nina Quarenghi di essere stata capace, con questo libro dalla scrittura alta, pervaso da una cultura vasta e mai esibita, di raccontare una storia nella quale immergersi e con cui confrontarsi, di stringente attualità; quanti bambini in pieno terzo millennio vivono in condizioni analoghe a quelle descritte in queste pagine, privi di cibo e di scuola?
Libro consigliato con calore a tutti gli insegnanti dell’attuale scuola italiana, si impara molto da questa storia che tocca davvero le corde più profonde del nostro cuore agro, distratto, spesso demotivato e indifferente.
Elisabetta Bolondi