“Sin rumbo” Sul Romanzo
Un uomo in guerra con la sua anima. “Sin Rumbo” di Eugenio Cambaceres
«La forma ovale dei suoi occhi neri e ardenti, quegli occhi che brillano e la cui luce resta un mistero, le linee del naso piatto e grazioso, la forma della bocca grossolana ma provocante, che si mordeva nervosamente il labbro inferiore, mostrando una doppia fila di denti candidi come grani di mais bianco, la pelle soave e lucida davano ai tratti del volto il prestigio di un bronzo di Barbedienne. Andrés, immobile, senza neanche respirare, la guardava. Sentiva dentro una strana agitazione, come il sordo crepitio di un fuoco interno, come se improvvisamente la vista di quella donna seminuda gli avesse versato di nuovo nelle vene la corrente di sangue, da tempo sparita, dei suoi vent’anni.»
Ci sono uomini che non riescono a star fermi, vivono un perenne moto interiore da cui si lasciano travolgere. Per queste persone, la monotonia di una vita agiata può risultare soffocante, ed è proprio per questo malessere che mettono continuamente tutto in discussione, restano in maniera egoica al centro di ogni cosa e lasciano sullo sfondo tutte le persone che fanno parte, in un modo o nell’altro, della loro vita. Questo forte egoismo, questo accentramento, è la causa primordiale della loro sofferenza; perché se muovi gli altri come fossero pedine capiterà, prima o poi, di diventare la pedina di qualcun altro; capiterà di finire male e soli. Ed è l’egocentrismo smisurato che porta, talvolta, la persona a disprezzare tutto quello che non lo riguarda personalmente, finendo per farsi terra bruciata intorno; e si va incontro, poi, a una vita in cui la noia e lo scetticismo diventano routine, e dove le emozioni stentano.
Eugenio Cambaceres è nato in Argentina nel 1843, dove poi è deceduto nel 1888; Sin Rumbo è stato pubblicato in Italia dalla casa editrice Arkadia, con la traduzione a cura di Marino Magliani e Luigi Marfè.
Andrès è un ricchissimo possidente terriero, vive nell’agio, passa le giornate guardando i suoi operai lavorare, e andando alla ricerca di donne. Uomo scettico e annoiato e agnostico, è perennemente scontento e alla ricerca di qualcosa che possa dare un senso, un quid, alla propria esistenza. Un giorno, nonostante Donata, una serva con cui aveva rapporti sessuali, gli annuncia di essere incinta, la abbandona, lasciando anche la sua casa, per correre dietro a una cantante argentina. Durante le varie difficoltà che la vita gli pone innanzi e colpito da una tristezza e da un’insoddisfazione che cresce sempre più, Andrès ripensa a quel bambino che gli era stato annunciato come suo, e pensa che tornare a casa e crescere un figlio possano essere, forse, le uniche cose che lo potrebbero aiutare a lenire il suo dolore. Una volta tornato, troverà una bambina di nome Andrea, che gli sarà presentata come sua figlia. Ma ciò che si è lasciato alle spalle non lo rende quieto.
«La campagna era un mare, gli stagni straripati si univano; dall’alto del poggio la cui cima srotolava la nera cinta della strada come un ponte infinito, solo i paesini, i monti delle estancias si potevano distinguere, come isole, in lontananza. Né un cavallo, né una vacca, né un passero, oltre all’immenso sipario d’acqua scossa dal flagello furioso del vento di sud-est, che scendeva a fiumi, come impegnata a riempire l’aria dopo aver coperto il suolo: «Un giorno infame, ci mancava solo questo!», mormorò Andrés parlando da solo, esasperato e rabbioso per la perdita di tempo causata dalla pioggia, in presenza di quel nuovo ostacolo opposto come di proposito ai suoi desideri.»
Eugenio Cambaceres ci dona un romanzo che ha il sapore intenso di un classico della letteratura, raccontandoci un personaggio che difficilmente riusciremo a dimenticare; e non sarà raro che qualche lettore possa riconoscersi in alcuni momenti di vita di Andrès. È questo un libro che ci parla di quella materia inafferrabile che è il senso dell’esistenza, che ci narra le vicende di un uomo in continua guerra con la sua anima e dei modi nei quali cerca di mettere a tacere il suo disordine.
«Era assordato da un ronzio che gli rombava nelle orecchie, dal rintocco simultaneo di mille campane, le idee gli si intrecciavano nella testa come spazzate dal soffio di un turbine: sua figlia, il torrente, Donata, il freddo, tutto si muoveva, si mischiava, fugace, informe, confuso, senza che, nell’incoscienza in cui poco a poco stava sprofondando, Andrés riuscisse ad abbracciare tutto quanto in una sola nozione distinta. Ormai incapace di pensare, di sentire, di soffrire, inerte, un sonno profondo gli chiuse gli occhi.»
La lingua dello scrittore argentino è abbastanza semplice, e vive degli anni in cui è stato partorito il romanzo; ci sono molte descrizioni e c’è molta attenzione nella menzione dei particolari. Ma nel complesso è una lettura eccelsa, dove a una lingua comunque molto fruibile si mischia una trama intrigante e ben congegnata.
Francesco Borrasso