Go Max go su “Blow Up”
Blow Up
Giugno 2016
Go Max go, il romanzo di Paola Musa su Massimo Urbani
«Impara tutto sulla musica e il tuo strumento, poi dimentica tutto, sia sulla musica, e suona come ti detta il tuo animo» – queste parole di Charlie Parker, uno dei padri del be-bop, illustrano bene un principio valido per tutti gli sperimentatori in ambito artistico: se vuoi violare le regole devi prima conoscerle. Parker morì a trentaquattro anni, nel 1955, dopo una vita segnata dall’alcool e dall’eroina. Due anni dopo, in un quartiere popolare di Roma, fra Monte Mario e Primavalle, nacque Massimo Urbani, enfant prodige del sax contralto, capace di collaborare, ad appena sedici anni, con figure di primo piano della scena jazz italiana quali Giorgio Gaslini e Mario Schiano. Urbani morirà a trentasei anni, nel 1993 , per un arresto cardiocircolatorio; come nel caso di Charlie Parker, il suo idolo musicale, sarà soprattutto l’eroina a falcidiarne la giovane vita. Giovane vita che Paola Musa ha ricostruito nella biografia romanzata Go Max Go, accostabile al filone della non-fiction narrativa che consente di indagare a fondo l’io privato della figura presa in esame avvicinandola sul piano emotivo al lettore. Massimo, ancora bambino, si appassiona ai vinili del padre e in particolare alla Tosca di Puccini; a undici anni entra nella banda locale come clarinettista; con i risparmi dei genitori e del maestro di musica riceverà il primo sassofono. Inizia un periodo di studio ossessivo e incrollabile del jazz, quella <<melodia di sofferenza trasfigura in ritmo, in anima e danza>>. Nell’Italia degli Anni di Piombo il giovane Massimo incide dischi e partecipa a Umbria Jazz, collabora con gli Area di Demetrio Stratos e inizia un lungo sodalizio con Enrico Rav, che per primo lo porterà negli Stati Uniti ( a New York si smarrirà un paio di giorni a Central Park vivendo come un barbone). Ed è questo il rovescio del talento, in Massimo Urbani: nel suo <<sentirsi costantemente fuori luogo quando non suona>>. Mancanza di senso pratico, incapacità di gestire i soldi, attitudine alle dipendenze: sono queste, oltre al caso, le ragioni che hanno spento troppo presto la fiamma di uno dei grandi interpreti italiani del jazz.
Luca Mirarchi