“Le donne di Balthus” su Exibart

da: Exibart
Exibart
2 marzo 2016

Le donne di Balthus è un romanzo aggrovigliato, tra colpi di scena ed esoterismo

Le donne di Balthus di Valentina Neri (Arkadia) sono la sua personalissima versione di quella che i greci chiamavano l’ekphrasis  –  vero nodo di ogni critica d’arte –  e cioè la traduzione  in parole di una immagine, la ricerca  dell’equivalente verbale di un dipinto. Il grande Roberto Longhi riuscì a mettere a punto uno stile particolarissimo, una iperscrittura, barocca, dannunziana, evocativa, caratterizzata da lessico prezioso e  procedimenti sintattici stranianti. Così alla fine riusciva a trasmettere l’emozione di un quadro. Ricordo la ekphrasis di Pasolini che nella sceneggiatura della “Ricotta” descrisse minuziosamente la Deposizione di Pontormo. Valentina Neri ci propone una ekphrasis romanzesca: non le basta un saggio o un trattato, ci scrive su un romanzo. Sprofonda in un quadro celebre di Balthus, La chambre, e ne ricava tutte le possibili suggestioni, ne estrae tutte le narrazioni sommerse che contiene. Nel romanzo si intrecciano varie storie parallele. All’inizio Balthus che dipinge il quadro. Poi la vera protagonista Selene che in un paesino vicino Cagliari, l’Inserru – la prigione –  scopre la “casa color glicine” dove anni prima era morta misteriosamente una bambina, Lilith, e sotto un letto ritrova anche un disegno che sembra il bozzetto del celebre quadro di Balthus. Poi la bimba Zuleika che a Napoli nel 1973 muore di colera, e la mamma Ludovica si sentirà in colpa, mentre il padre Osman, un diplomatico egiziano si allontana. Ma Selene proprio nella casa color glicine ha la visione di Zuleika che la condurrà fino a Roma, dove conosce il suo futuro marito Elio, dai capelli blu (che muore in uno schianto automobilistico), e con il quale avrà la figlia Esther,  anch’essa con i capelli blu (ma anche il padrone della casa color del glicine aveva i capelli blu). Alla fine chi ha ucciso Lilith tenterà di uccidere proprio Esther, ed è lo stesso autore del disegno di Balthus, ricopiato a Parigi… ( e a cui il cane Balthazar caverà un occhio, con un effetto alla Dario Argento). Il bozzetto non l’aveva dipinto Balthus ma proprio Teresa che  aveva vissuto a Parigi e l’aveva ricopiato da Balthus. La prosa non è così semplice e limpida, come è stato osservato. Anzi, è una prosa lirica, piena di colori: somiglia alla casa di Agata, bimba autistica, qui descritta, affollata di mobili, sportelli, specchiere, cassetti… Qui la Neri è stata virtuosistica perché ha tentato una mimesi verbale dello stile pittorico di Balthus: non c’è la deformazione beffarda di Dali o lo straniamento metafisico di Magritte, ma un realismo magico o meglio un realismo capace di contenere l’ombra, che dà conto dell’ombra (del resto ogni vero realismo ha una segreta vocazione onirica, da Caravaggio al Belli: proprio Pasolini diceva che Belli i suoi personaggi di popolani li vedeva come in sonno, e così accade in Umberto D di De Sica…). C’è una idea “filosofica” della realtà che è fatta di pieno e vuoto, di luce e ombra, di yin e yang, di tanti sportelli e doppi fondi. Molti i riferimenti, sia letterari che cinematografici, anche esplicitati nel testo. Mi limito al grande magistero di Salvatore Satta e poi a una suggestione gotica, tenebrosa, penso allaPorta sbarrata di Lovecraft, poi divenuto film terrorizzante ma mediocre. C’è un primo livello di lettura, per cui si deduce che la Neri ha riempito il romanzo anche di paccottiglia esoterica, di Dan Brown e Coelho e l’Esorcista, di  suggestioni tardo-romantiche e da scapigliatura horror, e poi agnizioni, colpi di scena, effettacci (l’occhio cavato dal cane)… però il punto di forza del romanzo è lo stile, la qualità dello stile, che non cede mai di un millimetro. Uno stile sensuale e insieme casto, capace di aderire a cose e persone, al tempo stesso reticente, elusivo, e però anche  nitido, luminoso…. Ricordate il quadro di Balthus: una nana sposta la tenda per farci vedere meglio la ragazza ritratta. Qual è il movente del delitto? Senza svelare troppo della trama qui si parla del  “demone invecchiato del vizio infantile”. Ecco, c’è una idea precisa del male: “invecchiamento”, degenerazione di qualcosa che in sé era inizialmente innocente, insomma il male è l’andare a male del bene (il quale, come sa ogni bravo teologo, viene prima, è più originario del male).Soprattutto c’è qui lo shock (all’inizio Balthus cita Duchamp proprio sullo shock, necessario all’arte): l’arte contemporanea come disse Edgard Wind ha perso il pungiglione (la sua forza eversiva, la sua vibrazione  arcaica, non addomesticabile, non laicizzabile). Ecco, è come se la letteratura, almeno nelle intenzioni della Neri, si incaricasse di restituire all’arte il pungiglione perduto.

 

(Filippo La Porta)


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