Il nuovo libro di Ilaria Muggianu Scano e Mario Fadda
Vatican Insider – La Stampa
9 giugno 2014
Il suo “Canne al vento” colpì in maniera straordinaria David Herbert Lawrence, che ne volle essere il traduttore in inglese; ed ebbe una grande fortuna per molti anni. Un secolo fa Grazia Deledda scriveva il suo romanzo più ampio e fortunato, un’analisi raffinata e potente delle tensioni che viveva la Sardegna (l’Italia) fra un passato fortemente radicato, e la modernità prorompente. Un libro che adesso – come tutti i classici – e offre motivi di riflessione e di meditazione nel nostro tempo, altrettanto ricco di tensioni antropologiche e sociali. Bene hanno fatto allora Ilaria Muggianu Scanu e Mario Fadda a creare un breve saggio, ricco di materiale e di spunti, che unisce però il nome della notissima premio Nobel per la letteratura a quello di Amelia Melis De Villa, nata a Iglesias, e vissuta a Roma; autrice di novelle racconti e saggi, il suo successo si fermò con l’avvento del fascismo, a cui rifiutò il suo appoggio. Ulteriore merito del saggio di cui parliamo è quello di togliere dall’oblio il nome di una scrittrice di grandissimo valore, e che univa alle sue capacità letterarie anche un profondo impegno religioso e filantropico. Il libro della Scanu e di Fadda giunge a sancire il ritorno nei programmi del Ministero della Pubblica Istruzione di Grazia Deledda, premio Nobel del 1926; e segna anche un secolo dall’inizio dell’opera letteraria della Melis, con il suo fortunatissimo “Faula De Orbaci”. E ha anche lo scopo di restituire sia la Deledda che la Melis ai ranghi, a lungo negati, per vicissitudini e congiunture politiche e ideologiche, della cultura e dell’ispirazione religiosa. Gli autori hanno voluto “tagliare” la loro opera in questa direzione: “Non si spazientisca il lettore se il testo è infoltito di citazioni, ma si è seguito il metodo più fecondo e utile a dissipare il permanere di ogni ragionevole dubbio sulla matrice religiosa della poetica delle due autrici sarde”. Ed è proprio la questione della “cattolicità” della Deledda quella che gli autori vogliono dirimere immediatamente, chiedendosi se e quanto una serie di elementi – la presenza di Dio come di un punto centrale del romanzo, le sue radici storiche e religiose, il ruolo di contesto del cattolicesimo nella sua opera – ne fanno una letterata cattolica. Deledda fu attaccata sotto questo punto da alcuni apologeti dell’epoca, e Famiglia Cristiana (nel 1972!) dette di lei questo giudizio: “È una lagna, anche se in certe cose è bravina”. Troppi i preti disonesti nella prosa della Deledda; ma è da dire che parlava, purtroppo, per esperienza personale e familiare. Ma certamente hanno pesato sul giudizio di una certa critica le pagine descrittive degli amori e dei peccati, più che le conversioni dei suoi personaggi. Anche se non c’è da dubitare della sincerità del suo sentimento, come scriveva da ragazza a un suo innamorato: “Tutto è vanità. Dio solo è vero, e io vorrei conoscerlo da vicino”. E fu un sacerdote una delle ultime persone che la scrittrice incontrò; per la confessione, e per l’estrema unzione. Un libro interessante, che non manca di spigolature di carattere più leggero e curioso. Come l’antipatia per un altro Nobel italiano, Luigi Pirandello. Che avversava (gelosia?) la scrittrice sarda e si divertì una sera a irridere il marito della Deledda, Palmiro Madesani, persona di classe generosità e gusto, chiamandolo per tutta una sera “Grazio Deleddo”, e indirizzando la sua avversione alla coppia in “Suo marito”, “un mediocrissimo romanzo in cui Pirandello sfoga il suo livore sulla scrittrice sarda”. A questi artisti, non ignari di umane debolezze e meschinità…. (Ilaria Muggianu Scanu e Mario Fadda, “Grazie Deledda e Amelia Melis De Villa. Due protagoniste del romanzo cattolico italiano”, Arkadia, 2014, 166 pagine, 14 euro).