Asia non esiste su Tottusinpari
Tottusinpari
febbraio 2013
“Asia non esiste” (Arkadia ed.), l’ultimo lavoro del cagliaritano Emanuele Cioglia mi guarda in cagnesco, intruppato com’è tra le pila di libri di scrittori sardi e non che mi debordano dai ripiani di una libreria di Babele, infestante come la menta, e con tendenze ad occupare ogni singolo spazio delle pareti di casa. Cioglia è scrittore vero, capace di abbellire le pagine con trini di frasi ricche di poesia e di rimandi letterari e financo filosofici, sempre puntuali. Eppure buttare giù le duecentosessantuno pagine di “Asia” mi è costato non poco. Tenta, lo scrittore di Cagliari, di dare vita a una serie “noir”, dove tale Libero Solinas, commissario nel capoluogo sardo, si barcamena tra una serie di cadaveri, più o meno orrendamente “suicidati”, a portare avanti una sua idea di giustizia, che nulla ha a che fare con il rispetto di codici e leggi che per loro natura dovrebbero essere “erga omnes”, tutti riguardare allo stesso modo. Capisco che nel paese che dovrà scontare venti anni di berlusconamento profondo in cui orde di parlamentari regolarmente eletti dal sovrano popolo si sono per anni dedicati alla nobile arte delle “leggi ad personam”, quelle che tentano di salvare la ghirba al capo sempre e comunque, quelle capaci di mutare minorenni dalla pelle ambrata e dai costumi non proprio morigerati in nipoti di faraoni egiziani, seppure epurati da poco, ecco questo moralismo può far sorridere, ma tant’è. Senza contare che questa letteratura di genere, diciamo genericamente il giallo, è letteralmente piena di simili eroi non precisamente specchiati. Potessi avere solo un dollaro per ogni bicchiere di whisky che si buttava giù Phlippe Marlow, l’eroe dei libri di Chandler, investigatore privato in Los Angeles ( di lui ne scrive come fosse una persona vera Osvaldo Soriano nel suo “Triste, solitario y final”) potrei avere villa ai Caraibi, come ogni evasore italiano che si rispetti. E che dire di Sherlock Holmes incapace di vivere tra un caso ed un altro senza cadere in apatia che cura con l’iniettarsi di morfina e/o cocaina anche tre volte al giorno, diluite “of course” in soluzioni acquose al 7%. Questo di reiterare le assurde manie che molti degli eroi protagonisti di libri memorabili assumono, sono espedienti letterari per “fidelizzare il lettore”. Pepe Carvalo del catalano Montalban ha il vezzo di buttare nel fuoco del camino pagine di autori celebri, Dostoyeski, Proust ma anche Marx, che gioia ne cavi non mi è dato sapere. Goloso all’eccesso, con le ricette dei piatti che si sbafa tra un cadavere e l’altro su cui indaga in Barcellona, è stato scritto un libro di non poche pagine. E come non pensare che l’eroe di Camilleri, quel commissario Montalbano reso celeberrimo da una serie televisiva in cui Nicola Zingaretti spadroneggia nella Vigata immaginaria di Porto Empedocle, debba essere debitore del Pepe Carvalo di Barcellona, anche lui deliziato dai fritti misti e dai polpi in umido che gli ammanniscono nella prediletta trattoria in cui un tavolo e’ per lui perennemente apparecchiato. Nero Wolfe, personaggio di Rex Stout, a proposito di ghiottoni, tiene in casa un cuoco Fritz, oltre a un giardiniere per le orchidee che coltiva nella serra, a colazione è capace di mangiarsi “uova au beurre noir”, succo d’arancia, due fette di prosciutto della Georgia alla griglia, patate, pasticcini di mirtilli e una brocca piena di cioccolata fumante ( da “Nero Wolfe e sua figlia”). Il commissario Maigret, che spesso deve passare la notte degli interrogatori a panini e birre, queste reiterate in verità, fa la figura di un trappista morigerato. Ecco un altro che fa il pieno di birrette, Ichunsa naturalmente, è il Libero Solinas che si muove in una Cagliari che è quella del suo creatore e allora :” Affacciato dal parapetto del Bastione guarda in basso, quasi in prospettiva aerea, la rotatoria di piazza Costituzione. Il motore elettrico di un filobus ansimava nella salita di via Manno, appena più veloce del motore immobile di Aristotele” (pag.92). Con tale Arquazzi, anatomopatologo ineffabile quanto moralmente altrettanto discutibile, il commissario Solinas si concede autentiche spanciate “alla sarda”. Da Mundiccu, una trattoria che al di là dell’apparenza (tavoli zoppi, sedie zoppe, camerieri claudicanti, sbilenchi le croste di quadri alle pareti, saltate molte mattonelle nel pavimento) riserva vere e proprie gioie per ogni buongustaio che si rispetti. Tanto per dire, mentre il Solinas si butta, con una crosta di pane abbrustolito, su un sughetto con due scorfani quasi disciolti dentro, Arquazzi “comincia a sgusciare lumache, arrotolare fette di prosciutto, sculacciare bocconi, spinare saraghi, succhiare teste di gambero, infilzare fette di melanzana, scucchiaiare con favette spruzzate di bottarga, rosicchiare pecorino, spalmare creme di olive e funghi porcini sul moddizzosu (pag.140). Smodati, ma naturalmente la smodatezza è ricercata dall’autore, che ne fa una sua caratteristica: si potrebbe dire la sua cifra. E qui sta il busillis, a mio avviso, perchè la medesima ricerca di particolari, la medesima accuratezza, accompagnata in verità dalla medesima maestria di padroneggiare la lingua, l’autore la riserva alle scene di sesso, alle scene di squartamento di cadavere e di autopsia, alle scene di pedofilia e di incesto. E allora mi direte, non è un giallo questo, e i gli ultimi best sellers nordici che parlano di “Uomini che odiano le donne” (Larsonn Stieg ne ha venduto milioni di copie nell’intero mondo) con eroine che anche nella versione cinematografica subiscono sevizie d’ogni genere e la sua Lisbeth Salander, hacher asociale e introversa, abusata in famiglia e segnata dalla detenzione in una clinica psichiatrica, è oramai icona conclamata al pari di una cenerentola dei tempi nostri. Che vi debbo dire, pure questi non sono di mio gradimento. Io sono ancorato, come fosse un imprinting letterario da cui mi è impossibile uscire, al Ciccio Ingravallo di Carlo Emilio Gadda , la mia edizione Garzanti di “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” è del 1973, giusto quarant’anni fa, ma è uno di quei libri che vado rileggendo, ogni tanto. Non vi nascondo che considero Gadda il maggior scrittore italiano del ’900, e comunque quello le cui pagine sempre hanno il potere di affascinarmi, pur coi loro barocchismi e tortuosità. E subito il dottor Francesco Ingravallo apre il libro: “Di statura media, piuttosto rotondo nella persona, o forse un po’ tozzo, di capelli neri e folti e cresputi che gli venivano fuori dalla metà della fronte quasi a riparargli i due bernoccoli metafisici dal bel sole d’Italia, aveva un’aria un po’ assonnata, un’andatura greve e dinnoccolata, un fare un po’ tonto come di persona che combatte con una laboriosa digestione: vestito come il magro onorario statale gli permetteva di vestirsi, e con una o due macchioline d’olio sul bavero, quasi impercettibili però, quasi un ricordo della collina molisana”. Ambientato nel 1927, a fascismo imperante e varante le leggi eccezionali: “Le opinioni del mascelluto valicavano l’oceano, la mattina alle otto erano già un cable, la flotta ha occupato Corfù! Quell’uomo è la provvidenza d’Italia”. La mattina dopo er controcazzo: desde la misma Italia. Pive ner sacco. E le Magdalene, dài: a preparar Balilli a la patria… i radiosi destini non avevano avuto campo a manifestarsi come poi accadde in tutto il loro splendore… ”. C’è bisogno di scrivere altro per vedere cosa pensasse don Ciccio e con lui Gadda del Duce? E ora ci tocca di sentire in apertura di telegiornali, il giorno della Shoah, che pure questi aveva fatto cose buone… “Mala tempora currunt”. Cioglia lo incontro a Milano in una birreria, zona Ticinese, in verità non ci sono molte persone a sentire la lettura di alcune pagine del suo libro. Lui è quanto di più lontano possa dirsi del suo eroe letterario, fa ancora il fotografo a Cagliari e parla con un tono mite e ponderato. Ha scritto altri due libri incentrati sul commissario Solinas: “Il mozzateste”, premiato al Deledda sezione giovani, nel 2008 e l’anno dopo “Tranquillo come una salma”. Sempre onnipresente e vera protagonista dei suoi scritti è comunque Cagliari, che quando soffia quel frizzo di maestrale e c’è un panorama terso, inciso sul marmo come un epitaffio, a nord si possono vedere perfino i pennacchi del Bruncu Spina, si ha l’impressione che aguzzando lo sguardo si possa arrivare sino a Durango, a Samarcanda, a Costantinopoli, a Gerusalemme, a Itaca e al lago Texcoco. La Sella del Diavolo è un biscotto di marzapane, posato sul vassoio d’argento del Golfo degli Angeli (pag.261).
(Sandro Portas)