Il sociologo Nicolò Migheli tra storia e romanzo
L’Unione Sarda
5 gennaio 2012
Un sociologo engagé scrive un noir ambientato nel suo paese d’origine. Non sorprende, di questi tempi. Ma Hidalgos (Arkadia editore), opera prima di Nicolò Migheli da Santu Lussurgiu, già responsabile dei presidi Slow Food in Sardegna, non è proprio un romanzo. C’è dietro una rigorosa ricerca storica su fatti realmente accaduti, a cavallo fra la cronaca nera e la politica. Che la verità possa generare inimicizia, anche questo non sorprende. Solo che delitti e false testimonianze risalgono a 90 anni fa, mica all’altro ieri. E per introdurre il libro al pubblico, pazientemente stipato nella libreria Vertigo di Cagliari, il sociologo Salvatore Cubeddu da Seneghe è partito dai Giudicati e dalla Corona di Aragona, poi Spagna. Sì, perché gli hidalgos del titolo erano nobiltà di seconda classe, ma sempre nobili si sentivano. Anche a Santu Lussurgiu. E come hidalgos erano percepiti nei paesi vicini, fino a non troppi anni fa… In Sardegna talvolta il passato non vuole saperne di passare. Gli assenti sono presenza ingombrante.
Così è anche a Uràssala, che poi è il nuraghe di Scano Montiferro, ma nel romanzo è il paese della Carrela. Andrea Cherchi, che per studio e per lavoro ha conosciuto il mondo, torna alla casa dell’infanzia. Ha il nome di un mitico prozio, avvocato, massone e socialista, e la curiosità di capire che fine abbia fatto Totoni Cantéras, cugino primo dell’avo, datosi alla latitanza negli anni Venti perché accusato dell’omicidio del rivale in amore. Svanito nel nulla, quindi indimenticabile e onnipresente.
Il cuore della vicenda batte nel Montiferru del primo Dopoguerra, quando si sperimenta la modernizzazione in agricoltura e zootecnia, ma i rapporti sociali restano quelli di sempre: qui i potenti, lì i servi. È l’epoca dei quattro mori in camicia nera. Di Antonio Putzolu da Seneghe, compagno di Lussu e poi sottosegretario alla Giustizia di Mussolini; o del compaesano Paolo Pili, che organizzò i pastori in cooperative ma fu sacrificato dal duce agli industriali caseari. Anche a Uràssala nobilotti e possidenti scivolano nel sardofascismo. Regolano in nome del Littorio i conti delle aziende e le inimicizie di famiglia. È l’occhio dell’estraneo (il maresciallo dei carabinieri Contorsi) a dipingere una comunità dove nulla è ciò che appare. Escamotage ben collaudato che consente all’autore di raccontare Uràssala/Santu Lussurgiu senza cadere nella trappola del folklore.
Con un po’ di audacia narrativa, forse un gioco di flashback avrebbe potuto rendere più stringente il racconto. Hidalgos si legge comunque con gusto, grazie a una prosa scorrevole e arguta. Migheli è al suo meglio nel tratteggiare i personaggi: il malefico don Stanis Moncada, l’ispido informatore o gli abigeatari doppiogiochisti. Sull’irriducibile Tzia Assunta, madre-padrona di Totoni Cantéras, hanno duellato davanti all’autore Bachisio Bandinu e Maria Antonietta Mongiu: l’uno per rafforzare, con garbo quasi poetico, l’altra per confutare, con ieratica risolutezza, il mito del potere femminile nella società sarda tradizionale. Inevitabile domandarsi chi sia chi, nel gioco di specchi Uràssala/Santu Lussurgiu. Nicolò Migheli assicura di aver rimescolato le carte e che nessuno riconoscerà i propri antenati. Chissà. Il procuratore del re Fosco Guazzi, che incrimina l’innocente per salvare l’onore degli hidalgos, è un reduce di guerra con benda sull’occhio. Come Francesco Maria Barracu, lussurgese doc, gerarca e ministro di Salò, fucilato a Dongo e appeso in piazzale Loreto. Svelata (o quasi) la fine di Totoni Cantéras, resta da indagare un altro mistero. Evocato ma non risolto nella presentazione cagliaritana di Hidalgos : la mutazione degli intellettuali isolani. Che sino a ieri studiavano, e raccontavano la società sarda in ponderosi saggi. Oggi studiano, e la raccontano nei romanzi.
Daniela Pinna