Lo scrittore sardo Bruno Furcas autore del libro “Un mondo a parte”

da: Gazzetta del Sulcis Iglesiente
Gazzetta del Sulcis Iglesiente
17 novembre 2011

 

Un uomo dal portamento distinto, in giacca e cravatta esce dal suo ufficio, dopo una giornata di lavoro, trascorsa a sponsorizzare la nuova creazione tecnologica della casa produttrice, presso la quale lavora. Tante pubblicità spese a coinvolgere una cerchia di persone all’acquisto di un bene superfluo, ma utile per essere alla moda, uguale a molti. E la suddetta cerchia deve aumentare. Tutti devono prestare interesse, così che i tutti diventino il solo: una massa. Quest’uomo ha tutto dalla vita, tutto ciò che un essere umano si augura di avere, ai nostri tempi. E si sa, molto spesso si dice “quando si ha la salute, si ha tutto”. Frasi fatte, perché fino a che non ci cadi dentro, fino a che non sei coinvolto, molto spesso la propria condizione fisica risulta essere un dato ininfluente nella vita di un essere umano. Ma quest’uomo, si ritrova nel bel mezzo di un temporale. L’acqua scende fitta. Una corsa e si ripara nella sua auto lussuosa; inserisce la chiave nel quadro. A quel punto si accende in automatico l’autoradio, che trasmette una canzone: parla del senso della vita. La ascolta. Il ritmo delle note e quelle parole lo stregano. Stranamente: chi dà valore alle parole di un componimento musicale? Uno come lui? Io dico di no… La pioggia si è incastrata tra i suoi capelli e le gocce cadono ad una ad una sul volante. Non ci sarà nessuno a casa ad aspettarlo. Nessuno richiederà la sua compagnia e l’amico della sera sarà il televisore. Il senso della vita… qual è il senso della vita? Apprezzarla, forse? Godere le giornate anche nel più banale aspetto? Viverle, credo sia la soluzione. E anche lui ci sta riflettendo sopra. Sì, ma viverle con dignità. E con la parola dignità esclude per un attimo tutti quei beni dati dal denaro…Quanti soldi impieghiamo in acquisti sciapidi? Sicuramente in numero superiore alle riflessioni che ci proponiamo, nei confronti di quanti desidererebbero avere una dignità riconosciuta, presa a schiaffi da una società ingrata. Sì, ingrata perché i soldi per l’autista di un auto blu ci sono, ma per prestare assistenza domiciliare no. Gli assegni di cura vengono aboliti, ma quelli per un reality no. Nell’era della tecnologia, delle innovazioni, delle avanguardie, dei cellulari all’ultima moda e delle auto di lusso, sarebbe coscienzioso soffermarsi a pensare. Questo preambolo è stato utile a introdurre un tema che merita un momento di attenzione, di quella seria. Per mettere a paragone due mondi separati: il primo, quello del lusso e il secondo, quello a parte, che andremo a conoscere. Il protagonista dell’intervista si chiama Bruno Furcas e lui qualcosa in merito lo ha ribadito a suo modo, scrivendo ben quattro libri che hanno come tema centrale il disagio e la difficoltà a inserirsi in una società troppo ottusa, fatta di pregiudizi. I titoli, editi da Arkadia Editore sono i seguenti: Boati di solitudine, un romanzo doppio, tra carceri, case famiglie, rieducazione, reinserimento, reintegrazione; Diversamente come te, una storia toccante in cui si parla di tetraparesi; La favola di Duck, una storia per i più piccini, illustrata a colori, col quale s’intende lanciare un messaggio istruttivo, prendendo spunto dal romanzo citato precedentemente; infine, di recente pubblicazione. Un mondo a parte, ove si parla di autismo. Temi impegnativi, ai quali accedere non è cosa semplice, ancor di più trovare le giuste parole. Bruno Furcas c’è riuscito grazie alla sua esperienza, trovando il corretto equilibrio.

Ma chi è Bruno Furcas?

Ho sempre provato e manifestatoun innato e sincero interesse  verso la persona nella sua completezza, perciò, dopo sofferti studi tecnici, mi sono iscritto all’indirizzo
socio-antropologico della facoltà di Lettere di Cagliari. Appena laureato ho vissuto una breve esperienza come insegnante di Lettere alle Scuole Medie e, subito dopo, mi sono occupato del recupero di adolescenti con problematiche esistenziali e di devianza. Dal 2002 sono impegnato nell’ambito della socializzazione e integrazione di alunni con disabilità. Come tutti i miei colleghi che operano nel sociale, anche io faccio parte di quella moltitudine di lavoratori che il ministro Brunetta definisce “la parte peggiore dell’Italia”. Svolgendo questo lavoro vivo una situazione di eterno precariato, situazione che però non mi impedisce di perseverare nella scelta operata
a suo tempo. A 47 anni compiuti non si ha più il piglio del “ragazzino” e spesso mi chiedo per quanto tempo ancor riuscirò a portare avanti un lavoro complesso che ti coinvolge fisicamente e soprattutto emotivamente. Mia moglie, mio figlio e la scrittura in questo momento mi stanno aiutando a mantenere vivo l’entusiasmo e a raggiungere importanti traguardi educativi.

L’impegno con il sociale: tra lavoro e dedizione.

Essere impegnati nel sociale non è cosa facile. Devi scontrarti ogni giorno con mille problemi. E non parlo certamente delledifficoltà personali legate alle patologie specifiche dei singoli ragazzi. La parte più complessa è la lotta contro l’ignoranza e le cattive abitudini, contro ciò che spesso viene costruito cinicamente e senza pietà dall’ ambiente circostante. Non bisogna dimenticare che ogni giorno veniamo sommersi da messaggi edonistici che richiamano l’efficienza, il piacere, il bello, la smodata ricchezza. Anche la scuola spesso si dimostra poco attenta a chi vive una situazione di svantaggio. Impegnata a fondo a portare avanti in modo spesso “compulsivo” la programmazione ministeriale si dimentica con molta facilità i “figli deboli ed indifesi della società” che procedono invece “in direzione ostinata e contraria” se non a passo lento e stentato. Il lavoro educativo di accompagnamento alla crescita personale di ragazzi svantaggiati non è un lavoro come altri, dove si richiedono mere competenze tecniche, ma un impegno che richiede una forte capacità empatica e, soprattutto, la volontà ed il coraggio di spenderla
in campo.

Tre aggettivi per definire la società odierna nei confronti delle tematiche trattate nei suoi libri.

La società, in larga misura, è spesso disinformata, confusa, indifferente e aggiungerei in alcuni casi persino ipocrita. A parole vengono enunciati grandi propositi, grandi progetti, ma nei fatti il tutto sovente si traduce in una sola parola: solitudine. Quella che provano i ragazzi non accolti, i familiari respinti, gli operatori spesso incompresi e lasciati soli e orfani di strumenti operativi. Oggi per fortuna in alcuni contesti, almeno in quelli più sensibili le cose stanno cambiando. Anche nei nostri Istituti scolastici si intravedono segnali positivi. Grazie a Dirigenti scolastici attenti e a insegnanti ed educatori motivati, si stanno innescando percorsi di integrazione virtuosi. Sta avanzando un atteggiamento nuovo capace di agire e incidere nelle vecchie abitudini e percorrere nuovi sentieri educativi, strade alternative senza dubbio più faticose ma ricche di stimoli e opportunità.

Si parla di autismo, tetraparesi, carceri minorili: il suo insegnamento e le sue speranze.

Quando propongo ai consigli di classe e ai ragazzi le mie idee di integrazione e parlo di autismo, tetraparesi spastica o di ragazzi in difficoltà perché magari hanno vissuto un disagio sociale forte, metto sempre al centro la persona. Il disabile o il ragazzo detenuto o ex detenuto, non è un numero o una cartella clinica, ma una persona autentica con un forte bisogno di comunicare sia pur con modalità e tempi diversi, di essere accolta ed amata proprio come gli altri. Nella premessa del libro “Diversamente come te”, uscito nel 2009, ho inserito una bellissima frase di Danilo Dolci che racchiude questo concetto: “Il mondo non è muto, si esprime anche quando silenzioso… il problema non è porre attenzione o accorgersi soltanto, ma imparare a comunicare con persone diverse…”. Il disagio si manifesta nelle forme più disparate, può prendere le sembianze di una malattia o di una sofferenza dell’anima nelle carceri, se si sa ascoltare, le solitudini gridano ma restano laddove non ci sono persone attente. La speranza è che le persone inizino veramente a interrogarsi e depongano definitivamente le etichette, utili per difendersi, ma certamente inefficaci se si vuole affrontare alla radice il problema. Argomenti che trattano la sofferenza umana si prestano facilmente alle logiche di un certo tipo di politica e alla sterile demagogia.

Quali sono le sue emozioni, nel trattare tematiche di così grande valore morale, ogni volta che la biro incontra la carta?

Chi legge i miei libri deve avvicinarsi con lo spirito di chi vuole condividere un percorso e provare emozioni. Accompagnare un ragazzo nel suo percorso di crescita è un meccanismo lento, impercettibile, anche per gli addetti ai lavori. Spesso nell’operatore compare l’impotenza, e successivamente la frustrazione. La scrittura serve a fissare in modo indelebile dove inizia un percorso, dove si conclude e soprattutto cosa si è raggiunto. Deve evincersi la fatica compiuta da tutti per raggiungere un obiettivo. I veri percorsi educativi presuppongono il crollo di quella che viene chiamata deontologia professionale o giusta distanza, utile spesso all’operatore per non affondare nei problemi altrui. Tuttavia la vera arte di un “professionista” è, a mio parere, quella di coinvolgersi. Successivamente occorre essere in grado di portare in “salvo” se stessi e, nel contempo, la persona che si è andata a cercare. La letteratura, o più semplicemente la scrittura, serve, o dovrebbe servire, a facilitare questo percorso o almeno a riviverlo superando quei meccanismi che invece tendono a travolgerti. È quello che spero di aver fatto scrivendo “Diversamente come te”, poi “ripensato” per i bambini più piccoli, sfociando nel volumetto “La favola di Duck”; o, ancora, “Boati di solitudine”, cui segue l’ultima “fatica”, “Un mondo a parte”. Tutti libri pubblicati da Arkadia Editore. Una casa editrice che si è dimostrata attenta alle problematiche della diversità in tutte le sue manifestazioni.

Che giudizio dà sui tagli effettuati recentemente, in merito alle leggi a favore dei disabili?

In un’epoca dove la povertà globale sta avanzando inesorabilmente i tagli sono uno strumento senza dubbio necessario. La questione che va posta è che “la mannaia” deve colpire chi vive una situazione di vantaggio e di benessere economico non di certo chi vive già forti situazioni di disagio. Proporre tagli all’assistenza, al sostegno scolastico ed educativo vuol dire impedire ad una persona disabile di, “vivere”, nel senso letterale del termine in quanto la negazione di un diritto incide direttamente ed implacabilmente sulla qualità della sua vita e sulla sopravvivenza stessa.

(Valentina Usala)


Arkadia Editore

Arkadia Editore è una realtà nuova che si basa però su professionalità consolidate. Un modo come un altro di conservare attraverso il cambiamento i tratti distintivi di un amore e di una passione che ci contraddistingue da sempre.

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