L’Argentina del golpe, il mondo chiuse gli occhi
L’Unione Sarda
20 ottobre 2010
Oggi alle 18,30 al Manamanà di piazzetta Savoia a Cagliari, verrà presentato il libro “Buenos Aires troppo tardi”. di Paolo Maccioni. All’incontro organizzato da “Mieleamaro” interverrà con l’autore la scrittrice Mariangela Sedda.
Il mondo si è accorto troppo tardi di ciò che stava accadendo in Argentina a metà degli anni Settanta. O forse non ha voluto vedere sino a quando, con il processo alla giunta golpista, è venuta fuori la tragica realtà di trentamila desaparecidos. Era il 1983, dopo la guerra delle Malvinas che aveva messo fine al regime di terrore dei militari guidati dai generali Videla e Galtieri. Troppo tardi per salvare i prigionieri sequestrati e spariti nelle carceri clandestine, troppo tardi per indignarsi e per denunciare gli assassini in divisa. Persino il partito comunista, mai dichiarato illegale mentre nel contempo si perseguitavano tutti gli oppositori di sinistra, non protestò contro i repressori che facevano affari con Mosca: in Russia finivano le navi cariche di grano e carne argentina. Il generale Videla, anche per i comunisti europei, rappresentava la faccia “pulita” dei regimi militari che, con l’aiuto della Cia americana, governavano in tutto il Sud America. Il golpista cattivo era il vicino cileno Pinochet che aveva riempito gli stadi di oppositori davanti alle televisioni di tutto il mondo.
GENOCIDIO Videla, invece, aveva messo in atto un genocidio silenzioso organizzando una perfetta macchina della morte: le squadre di militari in abiti civili, soprattutto di notte, prelevavano le vittime, le caricavano sulle auto Falcon senza targa e le trasportavano nelle carceri clandestine (oltre 200 sparse nel paese). Qui i prigionieri venivano torturati, costretti a fare i nomi di altri possibili dissidenti (ma molti pur di far cessare le sevizie erano pronti a dire qualsiasi cosa). Ultima tappa del calvario l’uccisione: fucilati o gettati vivi nell’Oceano dagli aerei. Dal momento del sequestro di loro non si sapeva più nulla: desaparecidos. «Prima uccideremo tutti i sovversivi, poi i loro collaboratori, quindi gli indifferenti, ed infine i timorosi» disse il generale Ibèrico Manuel Saint Jean. Tutto un programma. Ma gli stessi argentini in gran parte preferivano far finta di niente, tapparsi gli occhi. Alla notizia di una sparizione la gente dubitava: «Algo serà, qualcosa avrà fatto».
LA STORIA Ma la tragedia argentina non è durata solo l’arco della dittatura di Videla (1976-1982). Inizia già nel 1955 con la caduta del generale-presidente Peròn e, golpe dopo golpe, continua senza soluzione di continuità con l’alternanza di militari al governo. La democrazia arriverà, a fatica, solo con Raul Alfonsìn e stenterà sino ai primi del Duemila dopo anni di sofferenze e di drastici interventi economici per rimettere in piedi un paese svuotato, rapinato e insanguinato da mezzo secolo di dittatura. La storia tormentata e tragica del paese sudamericano, così vicino agli italiani per cultura e tradizioni, scorre palpitante nelle pagine di Buenos Aires troppo tardi ultimo romanzo di Paolo Maccioni, cinquantenne scrittore cagliaritano con la passione per l’Argentina. Un amore folgorante, dieci anni fa, dopo un incontro con un libro che raccontava dei sardi e degli italiani desaparecidos (una decina gli emigrati sardi) e con il bel romanzo di Massimo Carlotto Le irregolari . «Sino ad allora in Italia non c’erano pubblicazioni sui desaparecidos, si sapeva poco o niente», racconta Maccioni.
VIAGGIO LETTERARIO Colpito allo stomaco e preso in modo viscerale da questa vicenda così vicina nel tempo e lontana nel luogo, si getta a capofitto nella letteratura argentina, quasi tutta in lingua spagnola perché, a parte qualche classico come Borges e Soriano, in libreria si trovava poco. E quindi i viaggi a Buenos Aires per vedere i luoghi che si ritroveranno nel romanzo.
Buenos Aires troppo tardi (229 pagine, 16 euro) edito dalla nuova casa editrice cagliaritana Arkadia che sta puntando con coraggio su libri di argomenti oltre i confini isolani, è un viaggio di scoperta. Un viaggio geografico, ma anche sentimentale nell’anima dell’autore. C’è un protagonista, il giovane scrittore sardo Eugenio Santucci, che si reca in Argentina per realizzare una guida multimediale basata sui luoghi citati nei libri. Una sorta di percorso letterario attraverso Borges, Angel Bonomini, Cortazar, Puig, De Benedetto, Sabato, Soriano, Boioy Casares, l’uruguagio Galeano, il grande disegnatore di comics Oesterheld (l’autore de L’Eternauta, anche lui desaparecido), che nei loro romanzi gli svelano una metropoli nascosta, sconvolgente, multietnica, romantica, affascinante. E tragica.
WALSH Ma è soprattutto la scoperta di un altro grande scrittore e giornalista Rodolfo Walsh: le quattro figlie desaparecidas e nel 1977 lui stesso ferito a morte in un conflitto a fuoco mentre tentavano di sequestrarlo e poi sparito in un campo clandestino dove il suo cadevere fu esposto per terrorizzare i prigionieri. Il giovane Eugenio nel suo appartamento in affitto vede materializzarsi un personaggio che cambierà nome lungo il racconto, proprio come fu costretto Walsh per nascondersi dagli aguzzini. La bella copertina, da una foto scattata dallo stesso Maccioni, mostra una scultura di cartapesta che rappresenta Walsh affacciato alla finestra di una casa che dà su una piazzetta oggi a lui intitolata. La conoscenza di un autore come Walsh, giornalista coraggioso, poi giallista e romanziere che nei suoi scritti sino all’ultimo denunciò i soprusi e la violenza del potere militare, spinge Maccioni a scavare nella letteratura argentina con una voracità insaziabile.
INFERNO Per il giovane Santucci, arrivato a Buenos Aires anche per trovare i suoi familiari emigrati, Walsh diventa una sorta di Virgilio che lo guida nei gironi dell’inferno argentino. Il romanzo riesce nell’impresa di essere una storia affascinante, dove non mancano gli amori e le passioni per le ragazze portene, ma nel contempo riassume in modo quasi didascalico mezzo secolo di storia argentina. Da Peròn alla crisi economica che ha lasciato più di metà degli argentini sotto la soglia della povertà. «Buenos Aires traspare con la sua forte personalità che non si confonde con le altre capitali, una sorta d’Italia a rovescio che trasuda in ogni angolo di letteratura e tango», sottolinea Maccioni.
BORGES La storia argentina è molto complessa e contradditoria, difficile non solo da capire, ma da afferrare: il libro offre una chiave per penetrare nella realtà di questa metropoli e di questo paese. Alla fine viene la voglia di ricercare i romanzi di questi scrittori in Italia poco noti e pubblicati, a partire da Walsh ( Variazioni in rosso e Operazione massacro sono editi da Sellerio). Il romanzo di Maccioni si basa su un’architettura narrativa ben riuscita, la trama si intreccia per riannodarsi in una logica ciclicità che consente al lettore di non perdere mai la strada del racconto. Le tante metafore si possono riassumere in una: la cecità del più grande scrittore, Jorge Luis Borges, diventa la cecità della letteratura argentina che non è riuscita a trasmettere la tragedia prima che fosse troppo tardi. Lo stesso Borges subito dopo il golpe incontrò Videla con parole di augurio: esempio massimo dell’incapacità di vedere cosa sarebbe accaduto.
Carlo Figari