Dagli enigmatici menhir alle cattedrali
La Nuova Sardegna
21.05.2010
Si discute se gli antichi popoli della Sardegna, e in particolare i nuragici, abbiano o meno fatto uso della scrittura. A sostenere la tesi negativa restano ancora le intuizioni di due autorevoli scrittori del secolo scorso: il romanziere Giuseppe Dessì parlava di una «ripugnanza innata e persistente» dei sardi per l’alfabeto; mentre l’antropologo Michelangelo Pira osservava che «i cavallini, i cervi, gli uccelli, le donnine e gli uomini stilizzati nei manufatti dell’artigianato» non si sono mai trasformati in «pittogramni, geroglifici, alfabeto». Ma quello che rimane indiscutibile, al di là delle opposte considerazioni, è che i popoli dell’isola hanno saputo usare soprattutto allora – e anche in seguito, ma in misura minore – il linguaggio della pietra. È uno dei temi che emergono alla lettura del sesto volume della collana «Antichi Mestieri e Saperi della Sardegna» edita dalla «Nuova», dedicato appunto ai «Mestieri della pietra» (144 pagine, euro 7,90, in vendita da domani col giornale). Alle fasi più antiche sono dedicati due articoli di Giorgio Murru, direttore del museo delle statue-menhir di Laconi e coordinatore scientifico del complesso nuragico di Barumini. Nel primo racconta come nel corso del Neolitico medio (tra i 4500 e i 3400 anni avanti Cristo) iniziò a diffondersi in Sardegna il megalitismo, ossia l’uso di grossi massi eretti sul terreno per uso religioso, quasi a mettere in contatto l’uomo con gli esseri ultraterreni. Questi massi erano in una prima fase allo stato naturale, ma col tempo artigiani sempre più abili si diedero a modellarli, sino ad arrivare alle statue-menhir, che non solo danno una prima riproduzione delle fattezze umane, ma l’arricchiscono di simboli enigmatici di grande suggestione: la linea della vita è segnata da un’arma, uno strano pugnale a due lame contrapposte; mentre nella parte alta del petto si delinea il “capovolto”, un altorilievo che rappresenta in forme stilizzate un essere umano in atto di dirigersi – evidentemente al momento della morte – verso il profondo della terra. Il secondo articolo di Murru è dedicato ai nuraghi che, anche dopo i ripetuti scavi e gli studi sempre più illuminanti sulle tecniche costruttive che venivano messe in atto e l’impiego che ne veniva fatto, continuano a colpire col loro fascino e i non pochi misteri ancora da svelare. Con questi scritti si apre la parte centrale, «Dai menhir alle cattedrali» che segue l’evolversi dell’impiego della pietra nel tempo, soffermandosi sulle abitazioni nei centri abitati e i ripari di campagna; sui castelli e sulle mura che circondavano i centri maggiori nel Medioevo. La parte iniziale, subito dopo l’introduzione di Barbara Fois, è dedicata a «Tagliapietre e muratori», gli artigiani che nel tempo si sono dedicati alla lavorazione della pietra, i loro attrezzi e metodi di lavoro, le norme che ne regolavano l’attività e il rapporto con i committenti. La parte conclusiva passa invece in rassegna i «Materiali per l’edilizia», dai numerosi tipi di pietra a disposizione dell’isola – dal tufo alla trachite al granito – alle malte, il cemento, gli stucchi. Molti articoli sono di Luigi Agus, Anna Pistuddi, Riccardo Mostallino Murgia, Gino Camboni, Alessandra Ruggeri e Lucia Siddi. Foto di Gian Carlo Deidda, Arkadia e Luigi Agus. – Salvatore Tola