“Dark” su La poesia e lo spirito
Luoghi del mondo e della mente: quattro libri
A volte capita di leggere in sequenza libri che sono collegati da un filo sottile, che non ci vuoi trovare per forza, ma che in effetti è lì, per farsi cogliere ed evidenziare. L’ho notato mentre mi accingevo a scrivere di due testi inviatimi nei mesi scorsi da Tarka Edizioni, usciti nel 2024 ed entrambi legati a Marino Magliani, amico scrittore e traduttore con cui collaboro spesso a diversi progetti editoriali. E pensavo appunto di preparare un articolo solo su questi libri, quando mi sono reso conto che quel filo c’era, sì, ma si estendeva anche oltre, arrivando ad abbracciare altre mie recenti letture.
Andiamo per ordine: i due libri che ho menzionato sono Luogo a procedere. Viaggio in Liguria con Marino Magliani e Marco Ferrari, di Roberto Carvelli (con prefazione di Giacomo Sartori), e Dizionario universale delle creature fantastiche di Luciano Hernández, tradotto da Marino Magliani (con la revisione di Riccardo Ferrazzi e la curatela di Alessandro Gianetti).
Il primo fotografa il plurisfaccettato spiritus loci della Liguria, osservata tramite non solo i ricordi di Roberto Carvelli, ma un ricco campionario di citazioni letterarie attinte dalla produzione narrativa di Magliani e Ferrari (dei quali avevo in precedenza recensito il romanzo Sporca faccenda, mezzala Morettini) e da quella di grandi autori del passato, tra cui Italo Calvino, Camillo Sbarbaro e Francesco Biamonti, ma, ancor prima, di un classico della letteratura inglese come David Herbert Lawrence. Attraverso le loro pagine, intessute della stessa sostanza del binomio dialettico di mare ed entroterra che caratterizza questa regione dagli innumerevoli riflessi di luce e ombra, Carvelli si addentra nel mistero epifanico (aggettivo a me caro) dei luoghi, da intendersi principalmente come aloni mentali che legano il mondo al punto di vista di chi lo osserva e lo vive. Ne risulta un viaggio intriso di poesia e sensibilità naturalistica e antropologica: un autentico invito all’esplorazione esterna e interiore.
Considerazioni simili mi sento di fare in relazione al Dizionario universale delle creature fantastiche di Luciano Hernández, scrittore nato nel 1980 nella Patagonia argentina, che – con spirito non dissimile da quello del già da me recensito Islario fantastico argentino (opera a più mani di altri autori) -, penetra in luoghi puramente immaginari, che sono quelli popolari da creature mostruose e affascinanti, suddivise per lettera come in un dizionario e costituenti degli archetipi, in fondo non diversamente dai luoghi stessi, una volta che hanno impregnato l’anima. Mi ha riportato con i ricordi e la fantasia alle schede-mostro dei giochi di ruolo che facevo da ragazzo, quando ancora non mi rendevo conto di stare preparandomi a una vita di ricerca artistica e linguistica imperniata sui luoghi e sui loro “elementali”. Questo libro curioso e interessante allude proprio a tutto ciò, e per questo risuona con me in modo particolare.
Ma il filo, come dicevo, continua a dipanarsi. Parlando di luoghi fisici ma prima di tutto mentali, e in quanto tali ricordati, e rimanendo in Argentina, è quanto mai pertinente una riflessione su Dark di Edgardo Cozarinsky (Arkadia Editore, 2024), scrittore scomparso l’anno scorso, qui ottimamente tradotto dall’amico Alessandro Gianetti. Si tratta infatti di una rapsodia metropolitana che s’immerge nel nucleo dell’oscurità paesaggistica e nei territori grigio-scuri dell’umanità della Buenos Aires degli anni ’50, quella del peronismo. Il protagonista – che ricorda il proprio passato giovanile da un futuro in cui ormai è diventato un autore maturo – è Víctor, un ragazzo ancora inesperto con ambizioni letterarie, che esplora la notte per farsene ispirare. Ed è qui che incontra una sorta di Virgilio, ovvero Andrés, un viveur di una certa età che lo prende a ben volere e funge da cicerone e mentore nei suoi confronti, mettendolo a contatto anche con alcuni aspetti non propriamente luminosi della notte porteña. Il tutto s’intreccia con le prime esperienze sessuali di Víctor, con ragazze che lo iniziano a una pratica ora più dolce, ora più aspra, dell’intimità. È dunque una sorta di romanzo di formazione (o forse anche di de-formazione), una dichiarazione di anarchica ribellione agli schemi, al contempo alquanto smorzata perché mediata dalla coscienza, emersa col tempo, della difficoltà di essere autenticamente liberi dentro. Alla fine, quello che veramente resta è Buenos Aires, luogo di un’Ombra junghiana fattasi strade, palazzi e anfratti carichi di segreti.
Il filo, però, continua ancora a srotolarsi, rimanendo fedele alla sua vocazione ubiqua e schiettamente interiore, nella misura in cui è fonte di memorie e racconti. Ecco dunque Chiamatemi Marconi. Storie di mare di Athos Bigongiali e Oreste Verrini (Edizioni ETS, 2022), libro che – proprio inteso come oggetto materiale – è stato per me crocevia di sincronicità e stranezze, perché l’ho letto con grande ritardo in quanto scompariva in vari punti della mia casa, riapparendo a tratti per poi rivelarmisi “col contagocce”. Fino all’esplosione recente, che me lo ha fatto profondamente apprezzare. Narra la storia di un uomo-paradosso, Renzo detto “Il Marconi”, originario della Garfagnana e per oltre trent’anni, fin verso la fine del Novecento, protagonista di viaggi in nave in giro per il mondo. Il volume in questione collaziona e riproduce nel loro stendersi tutte queste memorie, con lo stesso spirito con cui venivano riportate ai compagni e colleghi di navigazione. Ne risulta un eccellente mélange dove tutto è tenuto insieme dal mare, sempre presente anche se paradossalmente (appunto) intervallato da antitetici squarci di montagna (pensando alla Garfagnana), e si snoda tra numerose avventure ai limiti dell’incredibile – a volte anche qui con l’intervento di animali prossimi ai mostri evocati nel Dizionario universale di Hernández, e comunque intriso di quella sostanza di sole e salsedine che è al centro dei luoghi liguri di Luogo a procedere di Carvelli. Che è come dire dello spirito della dimensione che identifichiamo come “casa”.
Giovanni Agnoloni
La recensione su La poesia e lo spirito