Leuta
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Enrico sobbalzò, aprì gli occhi, faticando a ritrovare la cognizione di sé e del tempo. Si passò il dorso della mano sulla bocca. Il cuore gli batteva veloce e un sudore freddo si appiccicava alla fronte, afferrò il cellulare per cercare l’ultima chiamata ma la lista era vuota. Tirò un respiro di sollievo.
Aveva dormito fin dalla partenza del battello da Porto Empedocle. «Leuta, isola di Leuta», gracchiò l’altoparlante di bordo. «Tutto il personale si prepari per le operazioni di sbarco.»
Il catamarano Kronos della Lord of the Sea, dopo un viaggio durato tre ore, attraccò su quel rigurgito di terra e sassi di origine vulcanica adagiato nella pancia blu del mar Mediterraneo, tra Malta e Lampedusa.
Una volta restituito alla realtà, sgualcito come un giornale appena letto, Enrico si augurò solo di non aver russato e disturbato la navigazione dei suoi compagni di viaggio, nel salone di poppa del battello. Ebbe un brivido intenso, aveva sentito freddo per tutto il viaggio, all’inizio aveva anche provato a dire a uno degli addetti di alzare la temperatura dell’aria condizionata, ma senza risultato. Aveva la gola secca e un impellente bisogno di bere. Comunque, quando si accorse che nessuno lo stava guardando, si tranquillizzò.
In fila per uscire, insieme a un paio di amiche, una ragazza in canottiera e shorts stringeva tra le mani una copia de La vita è un gioco, il suo ultimo romanzo uscito due anni prima ma ancora in classifica.
Ancora un paio di minuti di dondolio e l’aliscafo venne saldamente ancorato alla banchina del piccolo porticciolo dell’isola per mezzo di pesanti gomene, mentre le passerelle di ferro su ruote di gomma si affacciavano all’imbocco dei portelloni già aperti.
«Prego signori, potete scendere. Attenzione allo scalino», urlò un ragazzo dell’equipaggio con le braccia e il volto già bruciati dal sole.
Decine e decine di vacanzieri di ogni età e provenienza si apprestarono a invadere quell’angolo di paradiso anche se l’estate vera e propria, come dicevano gli esperti, si sarebbe ancora fatta attendere.
Erano esattamente cinquant’anni che Enrico Criaco non metteva piede sull’isola in cui era nato e cresciuto. Era andato via che ne aveva appena diciotto.