“Il visconte che amava i gelsi” su M Social Magazine
“Il visconte che amava i gelsi” di Renata Asquer | RECENSIONE
Raccontarsi, non è da tutti. Mettere insieme i pezzi della propria esistenza – importanti, irrilevanti, felici, tumultuosi, dolorosi – è un viaggio a ritroso per lasciare qualcosa di autentico a chi verrà dopo. Una sorta di eredità sentimentale che potrebbe guidare alcune esistenze future. Oppure un lascito per alleggerire gli ultimi istanti dopo una vita spesa e consumata nella costruzione del proprio destino. Si può essere carenti in diverse cose, ma si impara sempre qualcosa nell’essere sinceri con se stessi. Cambiano le prospettive, il modo di sentire e vedere la quotidianità che lascia indietro qualcuno e porta avanti qualcun altro. Le passioni sono la bellezza che ognuno si concede nella ragnatela di impegni, sforzi, fatica e pensieri pesanti. Sono anche un diversivo, amabile, che riporta l’ordine delle cose alla loro semplicità quando attorno si vive nel caos di decisioni da prendere e scelte da fare. Allora, prendi la strada del ritorno, quella che ti porta indietro con la memoria. Un momento, necessario, in cui cogli il vero senso della vita, di ciò che è stato e di quello che lasci. Provi soddisfazione e ti lasci andare al racconto, anche quando non è bello da dire. In Il visconte che amava i gelsi di Renata Asquer respiri gli ultimi giorni del visconte Francesco Asquer di Flumini che decide di lasciare una lunga lettera al figlio maggiore. Una sorta di testamento spirituale. La sua vita, fatta di politica, di amori appassionati, di organizzazione dei propri affari, è contrassegnata dai grandi e piccoli avvenimenti della storia: dalla Rivoluzione francese all’epidemia del vaiolo che devasta la Sardegna, alla carestia del 1812. Il visconte coltiva una passione, viscerale, per la campagna e per i gelsi. Introduce nella sua attività di bachicoltore tecniche innovative e moderne.
Il libro è delicato. La storia è sentimentale, libera, conclusiva. La scrittura, nella sua genuinità, appare come una buona uscita da ciò che non può più tornare. E’ autentica.
Lucia Accoto
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