“Talking Heads 77” su Telegraph Avenue
TALKING HEADS 77 – John Domini
Non ci crederete ma è esistito un tempo in cui i giovani ascoltavano della buona musica. Chi ha più di cinquant’anni, come il sottoscritto e come John Domini, scrittore e critico italoamericano trapiantato nel bel mezzo del Midwest, avrà certamente consumato i vinili di una leggendaria band newyorchese chiamata Talking Heads. Cosa c’entrino le teste parlanti di David Byrne con questo romanzo, il primo di Domini, uscito negli Usa nel 2003 e ripubblicato in Italia da Arkadia con la traduzione di Alessandra Ceccoli, lo capirete nelle ultime pagine del libro, quando tutti i pezzi del racconto riprendono la loro giusta collocazione e la storia si ricompone in forme più nitide dopo alcuni passaggi abbastanza criptici e postmoderni (Domini ha studiato con John Barth e Donald Barthelme, due a caso). Cominciamo col dire che Talking Heads 77, il titolo è un evidente omaggio al più noto degli album della band, è fondamentalmente un romanzo sugli anni ’70. Se in Italia li abbiamo chiamati anni di piombo, negli Stati Uniti non sono stati da meno in termini di violenza e di disordini. Kit Viddich è un ragazzotto del Minnesota sposato con la rampolla di una famiglia bostoniana molto in vista, il “clone” di Farrah Fawcett, e con un’idea fissa: aprire una rivista alternativa che scardini le regole del mainstream della solita stampa accomodante e asservita al potere. Con “Sea Level” Kit intende rovistare nel torbido, denunciare i crimini fuori dai radar, dare voce agli ultimi, distinguersi dall’omologazione mediatica di marchi più noti. Siamo a ridosso del Watergate e a pochi anni dall’insediamento di Ronald Reagan alla Casa Bianca, una stagione di mezzo che ribolle per la dure rivendicazioni delle minoranze, per il massiccio uso delle droghe, ma anche per l’emersione di nuovi fermenti musicali come il punk. Se avete letto romanzi come Chronic city di Jonathan Lethem, Città in fiamme di Gart Risk Hallberg o Città di morti di Herbert Lieberman, avrete un quadro preciso dell’atmosfera sapientemente riprodotta da Domini nella sua storia, che per due terzi ruota intorno a un’inchiesta sulla decadenza architettonica e sugli abusi perpetrati all’interno di un penitenziario di Boston chiamato Monsod. Nelle stesse ore in cui ho letto il romanzo di John, in Italia si è registrato il 64° caso di suicidio nelle carceri dal primo gennaio del 2024. L’indagine di Kit sul trattamento disumano riservato a molti detenuti del Monsod, a cominciare dal giovane di colore Junior Rebes (“Vuoi prenderti solo la tua storia del cazzo e andartene via comodo da qui!… Non siamo niente e saremo niente per sempre”), mostra una realtà poco distante da quella dei nostri giorni, a qualunque latitudine. Kit è un idealista ma Boston non è il Minnesota; la sua condizione di uomo semplice e privo di sovrastrutture ideologiche è una delle tracce principali della storia, che include anche aspetti più intimi del difficile rapporto tra lui e Bette: il sesso, il distacco, un possibile adulterio. Le voci di dentro che infestano la coscienza di Kit si riverberano in un Non è come immaginavo, Sono troppo piccolo per ripulire l’Inferno, È tutto uno schifo, ma poteva andarmi peggio. Che ne sarà del Sea Level e della purezza di Kit? Teste parlanti 77.
Angelo Cennamo
Il link alla recensione su Telegraph Avenue: https://tinyurl.com/4dnew7xm