L’ultima parola l’hanno scritta prima
Preludio
Confondere idee confuse
Come tutti i venerdì 17 Elias Bàrtolo, svegliandosi, aprì gli occhi con circospezione. Sbadigliò e si riassopì più volte, incurante dell’ora e dei risvegli successivi. Solo per debito e dovere alle necessità del senso di certezza, guardò lo schermo del telefono per la superflua conferma della data. Perché la tradizione del venerdì 17, quella era da tempo: alzarsi solo per andare in bagno e digiunare, al più bevendo acqua di cui aveva fatto scorta la notte prima. Non tanto, questa scelta, per superstizione o, sia detto con sincerità, non solo per scaramanzia; quanto per regalarsi il nulla dello star solo, godere della solitudine d’intimità dei pensieri nel tepore del letto e soppesarli nella loro infinita leggerezza, pensando nel silenzio della stanza agli affetti remoti, evocati in sforzi telepatici.
E si divertiva, nel tepore del letto, a ricordare quante volte – aeroporti, sportelli di uffici – gli chiedevano o gli avessero chiesto «Bartòlo o Bàrtolo?» dando per scontato che quello fosse il cognome; perché sì, così all’anagrafe, come trascritto nel certificato di nascita avvenuta in Germania. Un errore, insomma; perché Elias era il cognome e Bàrtolo, come il nonno materno (Bàrtolo, non Bartolomeo), il nome. Non che Elias, come nome, gli dispiacesse.
Sperava di vivere le ore di sonno, vederle dilatare, espandersi nel suo corpo rilassato, portarlo galleggiando alla mattina successiva. Quando, lasciato il letto, fatto la doccia, presa la colazione sarebbe andato a trovare la sua amica cieca, invitarla a una passeggiata sul viale, ascoltare in silenzio il suono dei passi, la ghiaia, il tappeto di foglie, attenta alla cacca del cane, parlare.