La forma del desiderio
PREFAZIONE
… oggi la parola si allunga
nell’ora della tristezza
e adesso ognuno al suo posto,
io resto qui, mi sistemo la maschera
tra scena e orchestra,
e adesso musica.
Se tutti pensiamo che indossare una maschera equivalga a fingere, Andrea Magno, nelle sue poesie, ribalta questa narrazione e la indossa per svelare il sé profondo, il sentire dell’uomo contemporaneo. Ci svela lo sguardo con cui osserva il mondo e le persone, la prospettiva (di cui si sente “ladro”) dalla quale scruta i sentimenti, gli stati d’animo, i ricordi, per poi compiere il “miracolo” del nominarli, di dar loro forma e contenuto attraverso le parole. È come se ogni singolo aspetto del vivere venisse sezionato, tagliato a fette, ridotto a brandelli. E, per ogni piccolo pezzetto scomposto, andasse a ritrovare una nuova collocazione, ad avvolgere quei brandelli di nuove vesti, per dar loro un nuovo battesimo. Per riconoscerli. Sistemarli dentro uno schema antico in un modo nuovo.
Ogni poesia è distruzione di ciò che si conosce, al fine di compierne un restauro e una riappropriazione:
nel mulinare di frammenti
in ordine sparso,
nel lasciarmi indietro
una rinuncia,
schiaffo alla bellezza,
digiuno a cui sottrarsi,
non è dato tempo di svegliarsi
da qualche parte nelle viscere
a un saremo
che adesso non sarà,
sono vecchio e ancora
rincorro illusioni
nello sconfortante delirio
di auspici spirati.
Nel loro incedere, i versi di Andrea veicolano una ricerca di pace e di aiuto rivelandoci che essa può compiersi solo attraverso la dissoluzione, affrontando il setaccio delle contraddizioni, indagando lo scontro degli opposti, per poi placarsi non appena varcata la soglia della “domanda” a cui non si richiede risposta, ma solo attenzione, consapevolezza.
Poi c’è la ricerca continua della musicalità del verso, del ritmo che è sempre costante e coerente, anche quando rallenta o accelera. Un invito alla danza, alla suola strusciata negli intervalli del ritmo “… nell’affinità delle sfumature tra spirito e carne”, “… nell’ombra di due attimi… in quello spazio inventato dove dolore lascia spazio a felicità”.
Salvatore Basile