“Il buio delle tre” su ALIBI Online
INTERVISTA A VLADIMIR DI PRIMA, AUTORE DE “IL BUIO DELLE TRE”
Vladimir Di Prima è nato a Catania nel 1977. Fa parte del comitato organizzatore del Premio Brancati. Filmmaker indipendente, si occupa di documentari e cortometraggi. È autore del romanzo Il buio delle tre edito da Arkadia.
Lo intervista lo scrittore Marino Magliani, autore – tra le altre opere – de Il bambino e le isole (un sogno di Calvino), pubblicato da 66Thand2nd, e di Peninsulario, pubblicato da Italo Svevo. Magliani è uno dei curatori della collana Senza rotta che accoglie la nuova opera di Di Prima.
La trama del tuo romanzo si dipana attraverso quarant’anni di storia italiana e racconta le disavventure, se così possiamo chiamarle, di un uomo dapprima giovane, e poi invecchiato, che attende risposte dal “sistema editoriale” italiano. Un problema atavico, si direbbe, raccontato tuttavia qui in maniera originale e sorprendente con un registro d’ironia tutta isolana che è il valore aggiunto di quest’opera. Qual è il significato simbolico della scena iniziale in cui i cugini Salvatore e Michele Badalà si dirigono a Roma per incontrare un rappresentante della CGIL? E come si sviluppano i loro destini all’interno del romanzo, e quale ruolo gioca questa situazione nell’intero contesto narrativo?
I due cugini, che sperimenteranno sulla propria pelle una delle pagine più tragiche della Storia italiana, sono la metafora di quella provincia agganciata agli schemi tipici di un Paese che tutt’oggi sconta le conseguenze di una politica clientelare, di forme residuali di patriarcato, e di un analfabetismo di ritorno, ma anche di classismo e reticenza di fronte alle malattie. I loro destini sono ben presto definiti e questo, di riflesso, segnerà l’evoluzione del protagonista creando una frattura emotiva nel rapporto genitoriale e sentimentale.
Come viene presentata la visione del mondo di Pinuccio Badalà e in che modo si lega alla sua ambizione letteraria? A un certo punto, la madre cerca di dissuaderlo dal considerare la scrittura come mestiere, e come reagisce Pinuccio a questa prospettiva?
Il mondo di Pinuccio Badalà è figlio dell’imperante individualismo di massa, dove la concezione del sé preclude quella dell’altro e prevale su ogni concetto di collettività. A Pinuccio, in fondo, non importa nulla di cosa accade sulla Terra, concentrato com’è verso il suo unico traguardo che poi coincide con il riconoscimento. Anzi, possiamo senz’altro dire che per lui la fine del mondo è la propria morte e che niente all’infuori di sé stesso ha intrinseco valore. Ecco però il paradosso: le ambizioni, legittime o meno di Pinuccio, si scontrano giornalmente contro quell’alterità che gli nega la realizzazione personale. Alterità che si manifesta, inoltre, nella figura della madre, contrappeso terrigno e pragmatico di questa vicenda. Santina infatti, ancorata alla persistente visione dei vinti di verghiana memoria, non crede alle possibilità del figlio e quando (una volta soltanto) anche lei cederà all’illusione, la realtà dei fatti la riporterà ben presto con i piedi per terra. Pinuccio naturalmente non si rassegnerà mai al pessimismo della donna.
In che modo, allora, il tema della scrittura emerge come elemento centrale nel romanzo? E quali riflessioni vengono fornite sulla figura dello scrittore, quali sfide Pinuccio Badalà affronta nel suo percorso letterario?
L’importanza assegnata alla scrittura, dove essa assume un ruolo centrale e quasi personificato, riflette una mia considerazione sull’evoluzione della comunicazione e dell’arte nella società contemporanea. La scrittura, per me, è fondamentalmente il nucleo centrale della narrazione, ciò che permette a ogni romanzo un modo distintivo di raccontare la realtà. E la sfida di Pinuccio è proprio questa: tentare in tutti i modi di essere pubblicato passando per una scrittura giudicata, paradossalmente, troppo alta per il livello del lettore medio.
Quali personaggi significativi Pinuccio Badalà incontra nel suo cammino alla ricerca del successo letterario? In che modo questi personaggi influenzano le sue scelte e la sua concezione della scrittura?
Vorrei anzitutto precisare che Badalà non insegue il successo, semmai la considerazione, che è un aspetto ben diverso. Lungo il suo più che ventennale “viaggio” incontra praticamente tutti gli attori del palcoscenico editoriale nazionale. Fra scrittori, editor, agenti, uffici stampa, blogger ti posso assicurare che non manca proprio nessuno. E poco importa se non si fanno i nomi (peraltro riconoscibilissimi a un’attenta lettura). Le pedine mutano di anno in anno e la rabbia di Pinuccio non è tanto un risentimento nei confronti del singolo, quanto una rivolta contro un sistema, oramai sedimentato, di cui gli stessi protagonisti sono vittime più o meno inconsapevoli. Ricorrono, poi, personaggi certamente più positivi e umani che rafforzano la consapevolezza della scrittura del protagonista, come la figura dell’enigmatico professore o quella del compianto Severino Cesari o ancora quell’altra del premio Nobel, ma complessivamente ci si muove fra le trame di un dramma, e nel dramma sono più i fatti e i personaggi spiacevoli che quelli piacevoli.
Non pensi che questo romanzo possa in qualche modo renderti inviso alla grande editoria italiana? Del resto, anche se con profonda ironia, ci vai giù pesante.
Dimmi tu, cosa ho da perdere? La mia storia editoriale è quella di Pinuccio Badalà. La scrittura non mi ha mai portato cento grammi di pane a tavola e, per fortuna, la spesa riesco ancora a farla con altro. Il successo, se è quella cosa che si traduce con una sovraesposizione mediatica, non mi interessa. Un giorno, una nota agenzia di Milano mi disse che avrei dovuto scrivere sotto pseudonimo perché il mio nome era già bruciato. Motivo: aver pubblicato già diversi romanzi con piccoli editori. Ci risi sopra. Ora tu pensi che dopo questo romanzo subirò un’ulteriore emarginazione? Beh, più buio delle tre non può fare! E poi ben venga se questo è il prezzo da pagare per mantenere integre la mia libertà creativa e una certa coerenza intellettuale con i miei diciassette lettori.
Ragioniamo per assurdo: un grande editore, dopo essersi accorto de Il buio delle tre ti convoca in casa editrice e ti propone un contratto purché tu ti faccia carico di scrivere un romanzo con delle precise caratteristiche, se non stilistiche, quantomeno tematiche. È una cosa parecchio frequente, sai? Tu accetteresti?
Ti facilito la soluzione citando un passo emblematico de Il buio delle tre: nel 2012 Pinuccio Badalà si reca a Milano dopo essere riuscito a farsi dare un appuntamento da uno dei più influenti agenti letterari del Paese. Lascia il suo dattiloscritto a fronte di molte e reciproche perplessità, sue e dell’agente, ma questi dopo appena tre giorni lo ricontatta. L’agente è convinta di piazzarlo presso un grandissimo editore, ma Pinuccio dovrà inserire in quel suo scritto un capitolo dove figurano dei bambini trucidati. È l’occasione della vita, come dici tu, e Pinuccio cosa fa? Lascio alla tua intelligenza intuire la risposta.
Insomma, sembra quasi che la tua testardaggine rifugga il compromesso. Però, come fai dire a un personaggio ne Il buio delle tre, «ogni metallo ha un punto di fusione». Il tuo qual è?
Senz’altro l’autenticità. Sono un ricercatore di verità, in quanto la realtà come fenomeno è facilmente falsificabile. Il compromesso è sostenibile se prodotto da due interlocutori con la stessa visione. Viceversa il metallo si indurisce più che sciogliersi.
Come mai Pinuccio Badalà non cade nella trappola dell’editoria a pagamento? In fondo, dopo tutte le delusioni ricevute, sarebbe un peccato veniale.
Pinuccio è un puro, uno che crede nell’etica del lavoro e conosce perfettamente l’importanza di essere pubblicato da una casa editrice seria. L’idea della pubblicazione a pagamento non lo sfiora neppure perché ne mortificherebbe ipso facto le ambizioni. La sua visione dell’editoria, pur con le sue mille contraddizioni, si fonda sull’idea di filtro necessario fra l’opera e l’autore. Pinuccio critica semmai la funzione degli editor nella misura in cui questi vengono preposti a un giudizio senza gli strumenti necessari. E capita assai di frequente, te lo garantisco. L’editoria a pagamento andrebbe sradicata con tutte le forze e in tutte le sue forme perché produce mostri senza capacità critica. Di fronte all’ignoranza di chi dice “anch’io ho pubblicato un libro” (che si scopre essere a pagamento) cosa rispondere? Nulla, eppure quel tentativo sottrae non solo possibili lettori a un’opera meritevole, ma contribuisce a creare una devastante inflazione.
Tu sei un siciliano piuttosto orgoglioso e verace. Spesso nei romanzi dei tuoi contemporanei troviamo una Sicilia mistificata, vittima di stereotipie e luoghi comuni. Nella scrittura del tuo romanzo quanto sei stato attento a non cadere nelle stesse trappole?
La mia terra, espressione di un’isola, in realtà per me è confinata al lenzuolo etneo in cui vivo e da qui ho attinto e attingo tutto quello che riporto su carta scritta. I miei personaggi nascono dall’osservazione giornaliera di vizi, abitudini, declinazioni e modi di pensare che sono perfettamente aderenti al vero. Il gallismo delle pagine iniziali del romanzo, per fare un esempio, è la precisa corrispondenza di una mentalità che tutt’oggi, in forme non molto diverse da quarant’anni fa, insiste ancora sul territorio. Eppure, come dici tu, c’era il rischio di “camillerizzarsi” o fluttuare in quella bolla creata ad arte per far tutto tranne che raccontare la Sicilia.
Fra qualche mese Il buio delle tre finirà fatalmente nel limbo delle opere dimenticate. Di fronte a questo ineluttabile destino quale sentimento provi? Naturalmente la mia è una provocazione – sono viceversa convinto che il tuo romanzo farà molto discutere – ma prendiamola un attimo per buona.
È tutta una questione di tempo, più o meno variabile da autore a autore, e col tempo c’è solo da perdere. Mi fanno ridere quelli che si prendono sul serio, quelli che si autoproclamano principini e reginette della letteratura, che si danno un atteggiamento da divi per finire sulle pagine dei giornali come se avessero un qualche merito riferito alle sorti dell’intera umanità. Ho sempre pensato che lo scrittore non sia altro che un disadattato, uno che osserva dagli angoli più remoti l’incontrollabile fluire del mondo e come può lo racconta. Lo scrittore non è tipo da aperitivi, settimane bianche, discoteche, in generale tipo per frivole mondanità; lo scrittore è figlio dell’infelicità del mondo e non ha alcun merito se non quello di essere stato estratto a sorte da quel birichino che gioca a dadi. Pertanto il mio sentimento di fronte alla dimenticanza è pressoché colmo di lucida accettazione; le cose del mondo sono sempre andate così.
Il romanzo si conclude con un accesso di ottimismo, sebbene le vicende non promettano nulla di buono. Cosa spinge il protagonista del libro, Pinuccio Badalà, a non rassegnarsi mai?
La passione. Quando c’è la passione vera, quel profondo e incorruttibile trasporto verso qualcosa, nessuna vicissitudine può ribaltare l’indirizzo intrapreso. La passione determina il destino di un uomo e si esaurisce solo con l’evento conclusivo della vita terrena. Pinuccio, dopo tutte le peripezie vissute, avrebbe tutta la ragione del mondo a dire di arrendersi verso un’evidenza che non lascia scampo, eppure non desiste. Il suo corpo è invecchiato nel tempo, ma il sogno, quello che ha cominciato a fare nelle notti dei suoi vent’anni rimane sempre giovane.
Per finire: immaginiamo ipoteticamente che Il buio delle tre possa capitare tra le mani di un grande scrittore del passato. Da chi ti piacerebbe venisse letto e perché?
Io ho un debole per Nabokov e quindi la mia scelta sarebbe pressoché automatica. Amo ogni virgola di quel genio e mi voglio convincere che qualcosa del “buio” la apprezzerebbe pure lui. Tuttavia non ti nego che questa tua domanda mi piacerebbe pensarla in altro modo: essere letto da un grande scrittore del futuro, ecco, da uno che possibilmente deve ancora nascere. Del resto si vive troppo spesso di illusioni e allora perché negarsele?
Marino Magliani
Il link all’intervista su ALIBI Online: https://bitly.ws/3dteS