“Erano gli anni” su La Casa delle storie
Erano gli anni di Daniele Congiu (Recensione in anteprima)
Le vicende di una dinastia familiare caduta in rovina raccontate da un bambino di dieci anni la cui esistenza si divide tra il buio dell’inverno e l’accecante luce estiva del mare di Cala Cipolla. In un continuo alternarsi di epoche e personaggi, passando dalle due rovinose guerre mondiali al periodo del fascismo, dai “favolosi” anni ’60 all’avvento del web, pagina dopo pagina emergono i lati più drammatici o ironici dei protagonisti di un’opera corale che porta il lettore nella Cagliari del primo Novecento e in quella che poi si svilupperà grazie al boom economico e alla modernità. Immerso nella società un po’ sgangherata di un quartiere emarginato e periferico, a tratti violento, a tratti sublime nella sua umanità, il piccolo protagonista che diventerà poi adulto combatte la sua personale e quotidiana battaglia nel continuo scontro-incontro con le generazioni che l’hanno preceduto, mettendo in luce il confronto tra padri e figli, il bullismo, la fame, la povertà, ma anche la capacità di reagire, il desiderio di superare le avversità e le ingiustizie, di creare alla fine un proprio universo in cui finalmente sentirsi liberi.
Introduzione
Nessuno può scegliere la famiglia in cui nascere eppure è già scritto perché si ha il compito di mutare quel destino che appare così avverso. L’intrigata epopea di uomini che tentano di salvarsi da quel mare della vita che rischia di travolgerli tutti. Che cosa fare quando non si sa nuotare perché qualcuno non l’ha insegnato? Ecco che si prova a galleggiare e aleggia una magnetica sospensione tra luci e ombre mentre passano ineluttabili i giorni e un velo di malinconia accompagna con la sua solennità i tiepidi passi.
Aneddoti personali
Quando ho letto la sinossi in tempi non sospetti, sono stato preso da un’intensa felicità perché dopo qualche tempo la casa editrice Arkadia sarebbe tornata alle saghe familiari che sono il mio genere preferito in assoluto. Quando me lo sono visto tra gli arrivi da parte dell’ufficio, stampa il mio amico Patrizio, la gioia è stata immensa. Questo sentimento ha toccato metaforicamente il cielo, quando leggendo i ringraziamenti, ho appreso che l’autore in questione è rappresentato dall’agenzia Meucci. A Silvia mi lega un’amicizia e un rapporto sincero e profondo. C’è una particolarità che la riguarda, ogni autore che mi ha proposto negli anni mi è piaciuto moltissimo e sono diventati nel corso del tempo dei cari amici anche loro. Le faccio spesso i complimenti per le scelte umane che compie, prima ancora che delle opere. L’ignaro autore portava quindi un carico non indifferente di attese. Il rapporto con questo libro è stato parecchio complesso. Per me non è stata una lettura semplice, ho riscontrato almeno inizialmente delle difficoltà con lo stile dello scrittore e non parlo dell’utilizzo del sardo perché i termini sono accuratamente spiegati ma dell’ironia che talvolta ho trovato eccessiva. Il problema è mio lo riconosco, non sono abituato a leggere libri ironici e sprezzanti. La scelta della voce narrante è coraggiosa, però in alcuni punti il tono e il linguaggio utilizzato sono troppo elevati. Una volta che ci si abitua allo stile, il romanzo scorre meravigliosamente. Lo centellino da circa due tre settimane principalmente per quello che ho già esposto ma anche per un’altra motivazione. Leggendo dei capitoli specifici si ha il sentore che non c’è finzione né verosimiglianza ma acuta e schietta verità accuratamente nascosta da un cambio di nomi. Mi sono andato a documentare chiedendo all’autore e anche compiendo ricerche, soprattutto nei capitoli storici che ho trovato davvero magistrali. Il mio personaggio preferito è Alessandro perché grazie alle sue continue macchinazioni tengono le redini della storia e nonostante alcune azioni siano deplorevoli in esse, c’è un ‘interessante profondità che un po’ scoprirete leggendo la recensione. Nonostante tutto sono stato contento di leggerlo, ringrazio la casa editrice per avermi inviato la copia e dato la possibilità di conoscere davvero una bella persona che spero di portarmi ancora a lungo nel mio cammino.
Recensione
Ognuno combatte la propria guerra muta soltanto il nemico da fronteggiare è scritto nelle stelle del destino. Quello stesso fato di cui Pico della Mirandola afferma l’uomo sia artefice. Se potessero i personaggi di questo romanzo, inizierebbero a ridere fragorosamente. Sogna ragazzo sogna la spiaggia dell’altrove in cui tutti gli orizzonti appaiono raggiungibili. Il flebile contatto tra il sogno e la realtà non protegge dall’urto ma adesso che la riva è ormai lontana lui ingarbugliato uomo di oggi osserva e pensa con carezzevole malinconia al bambino di ieri e prova a ridargli voce, sperando che sognare e ricordare attuino, l’inabissale rima del tempo. Ed è così che un ‘incessante danza temporale gestita su più piani, riporta vivida la storia degli avi che riprende corpo, tocca a lui plasmarla nella forma del cuore, riecheggia come un eco, il richiamo del sangue che gli scorre nelle vene e così racconta l’intricata epopea di quel salice ben piantato che qualcuno ha chiamato famiglia. Estirpare quella radice d’appartenenza non è possibile perché anche lui è una parte anatomica di quell’arcano ingranaggio. Un bambino alla soglia dell’adolescenza e sito in una prigione – fortezza che è la famiglia soprattutto se ti chiami Contu. Una sensazione asfissiante appartenente non solo a Davide ma anche agli altri membri. Come fosse una vera e proprio gabbia dorata dal suo osservatorio speciale Davide, racconta con lucidità e sfrontatezza la sua storia e quella della Sardegna. Si parla di uomini che come Florio in Auci combatte una morbosa inquietudine che Barbara ha definito opportunamente “ Malarazza”. Ḕ la terminologia corretta per definire tutti quegli imprenditori realmente esistiti o appartenenti alla finzione narrativa vissuti in particolare dalla fine dell’Ottocento e per tutto il cosiddetto secolo breve. Afflitti tutti da un unico morbus che qui è particolarmente accentuato e focalizzato in una vera e propria maledizione del rancore. Una rabbia inespressa ma covata che come un germe segna diverse generazioni. Agli albori del Novecento il patriarca Leonardo approfittando del ruolo centrale di Cagliari e della Sardegna decide di aprire una banca che diventa il fulcro della società e rappresenta il primo grande mattone del loro impero finanziario. Leonardo rimasto prematuramente vedovo impartisce ai due figli una rigida educazione intrisa di disciplina e compostezza. Il suo singolare modo di dimostrare affetto era incrementare la ricchezza della famiglia. Sia Alessandro sia Ettore fin da giovani sono caricati dal peso di troppe responsabilità e iniziano a sperperare il patrimonio a causa anche d’investimenti infruttuosi e totalmente sbagliati. Tra matrimoni combinati, galera e inaspettate fughe resta tutto sulle spalle di Alessandro che tenta di allontanarsi dalla cerchia paterna, ma ormai il seme è piantato e la malattia è in corso. Conscio di ciò decide di vivere relegato e prigioniero della sua stessa solitudine. Dal suo studio però attua avvincenti intrighi e macchinazioni che segneranno inevitabilmente le generazioni future, come un ammaliante burattinaio. A parte singole eccezioni il ramo maschile della dinastia Contu sono segnate da una profonda inettitudine almeno fino a quando non sono altri a spianare la strada, sono altresì segnati dal marchio brancatiano di dimostrare la loro virilità a tutti i costi. Il ramo femminile si concentra in particolare su Anna, Teodora ed Elena, l’autore ne rileva o il pragmatismo o l’opportunismo. La narrazione è volutamente asettica per sviluppare l’incapacità dei personaggi di curare la sfera emotiva. I rapporti sono sospesi e in pochi casi si può parlare di relazione affettiva. L’autore sceglie coraggiosamente di narrare tutto in prima persona, lo stile è giornalistico e incisivo in più caratterizzato da un ‘ironia preponderante e da una vibrante schiettezza. In questo resoconto di eventi un plauso merita tutti i capitoli storici del romanzo. L’autore descrive infatti come fosse un reportage in modo accurato le condizioni del popolo antecedente, durante e post guerre mondiali, mentre la desolazione regnava sovrana e ogni famiglia cercava invano di contrastare l’odore della morte. Lo scrittore si focalizza in particolare su Silvio e Giuseppe. Un padre e un figlio per cui la guerra è un cataclisma inimmaginabile. Il destino crede che non siano abbastanza temprati dalle avversità e così li mette di fronte a dei bivi drammatici. Un libro a metà tra memoir e romanzo storico. Il lettore leggendo queste pagine può ritrovare in qualche modo quel filone verista, infatti nonostante sia una saga familiare atipica, si può inserire come un moderno ciclo di vinti. Un romanzo che è una lotta estenuante tra dignità e ambizione mentre quegli stessi uomini rincorrono affannosamente la felicità affinché l’ultimo grammo non sia soltanto un miraggio.
Conclusioni
Una lettura godibile che consiglio a chi ama narrazioni affrontate con ironia oppure appassionati di storia sarda.
Francesco De Filippi
Il link alla recensione su La Casa delle storie: https://bitly.ws/3cmIa