“La lacrima della giovane comunista” su LetterMagazine
La lacrima della giovane comunista
Trama semplice e lineare e tono di narrazione pacato ed euristico, che ricorda i migliori narratori, ma la magia di questa perla di Giorgio Bona risiede davvero nel saper evocare in ogni capitolo scenari e cartografie di altri universi narrativi. La lacrima della giovane comunista contiene molteplicità di autori e romanzi e un tal gioco di prestigio a Bona riesce, in fondo, col descriverci in modo pacato, senza voli pindarici, ma puntuale, assai evocativo la città-dio Mosca. Forse questo, sopra ogni altra cosa, ci fa notare La lacrima della giovane comunista: tutti quegli intrecci di spie, quelle oscure faccende politiche, quell’incrociarsi di destini in opere narrative di matrice russo-britannico-americano ci hanno raffigurato nient’altro se non il volto immenso e plurimo di una città come Mosca. La metropoli. Pantheon di Dei d’Olimpo Comunista. Così, quando il professore nella sua rischiosa impresa nel tentativo di far luce sulla controversa figura del poeta rivoluzionario Venedikt Erofeev finisce alla Lubjanka subito ci vengono in mente, quantomeno, le grandi narrazioni tolstojane (la parte conclusiva di Guerra e Pace) e Aleksandr Isaevič Solženicyn – Arcipelago Gulag. Quando il professore nel suo sherlockiano pellegrinare finisce al Parco Gorky subito ci sovvengono le ruspe a scoprir cadaveri sepolti sotto la neve nel romanzo Gorky Park di Martin Cruz Smith. Così come quando si finisce nelle saune tra acque bollenti e nebbiosi vapori non possiamo non ricordare, grazie allo stile pacato e puntuale di Giorgio Bona, ma in certo modo potente e implacabile, Danko di Arnold Schwarzenegger o Viggo Mortensen del cronenbergiano Promessa dell’assassino. Quando Bona e il suo professore ci conducono per mano facendoci percepire come scenografia vera, palpabile Peredelkino non possiamo non pensare al Yakov Savelyev de La Casa Russia di John le Carré. Certo, Bona ha forse in mente le mappe assai meno accessibili di David Peace e Marina Cvetaeva, nonché di Osip Mandel’štam e Venedikt Erofeev stesso. Mentre noi dobbiamo contentarci, ahimè, dei nostri radar a corto raggio. Sia come sia, anche le relazioni tra i personaggi, da Bona orchestrati con paurosa bravura, i loro incontri, i loro intrecci, di Viktor e del professore, del professore e di Olga, paiono compendio di distopie di matrice veterocomunista, tutte faccende assurde da regime sovietico, che prima Solženicyn in Padiglione Cancro, e poi, magari un poco derivativamente, la straordinaria intelligenza di Kundera ci hanno indicato. Ma poi, Bona in poche pagine riesce a illuminarci anche su noi stessi, noi europei, quando nel descrivere il paesaggio urbano moscovita odierno sembra quasi restituirci l’immagine di una qualsiasi delle nostre città, della nostra realtà nella quale da sempre socialismo e capitalismo camminano assieme su una fune tesa sull’irto terreno del compromesso. Recentemente, ho lette alcune note dell’autore varzino Andrea B. Nardi, egli vissuto in South Dakota, Stati Uniti, per vario tempo. Racconta di quando alcuni americani gli chiedevano “Are you a comunist?” (“Sei un comunista?”) Nardi non riuscendo a capacitarsi di una domanda così retrograda, così datata. Invece no. La questione comunista per gli americani non è e non sarà mai datata. Siamo noi europei a non essere realmente in grado di capire fino in fondo. E questo per via della situazione compromissoria tra capitalismo e Stato Sociale che almeno dal ’45 quotidianamente viviamo. Noi europei non capiremo mai quanto per un americano il comunismo sia Morte, sia Fine di Tutto. Gli americani non possono e non potranno mai concepire di abbandonare sul serio il loro stile di vita basato sull’abbondanza. Nella serie televisiva The Society di fresca realizzazione ciò appare inequivocabile. I ragazzi, simili agli inglesi de Il Signore delle Mosche, danno vita a un modello socialista basato sull’abbondanza; ma quando le risorse terminano ed è necessario organizzarsi più francescanamente, secondo modelli simili a quello di derivazione comunista, cosa accade? La serie televisiva cessa, troncandosi quasi di colpo, in un finale genialmente raffazzonato dal sapore kafkiano. Inconcepibile. Per un americano l’abbandono del lusso è la paura più grande. Il comunismo. Ma quanto in ciò vi è di paradossale, è che questo sentimento già ce l’abbia mostrato proprio un padre russo della letteratura, ossia Lev Nikolàevič Tolstòj, il quale, sì in Guerra e Pace, ma massimamente in Resurrezione imbastisce una sontuosa narrazione retta sulla dicotomia fondamentale tra fasto e miseria, facendoci scorgere con estrema vivezza quanto la sfarzosità, una volta assaggiata, sia all’uomo irrinunciabile, per esempio allorché il nobile Dmitrij Nechljudov riemergendo dalla sua catacombale anabasi nelle carceri dove è rinchiusa Katjuša Maslova ha un bisogno fisico, quasi insopprimibile, di ricchezza, di fastosità e splendore del mobilio, degli arredi, delle vesti e di stanze e luoghi. Tutte queste cose, e naturalmente altro assai, le ritroviamo in La lacrima della giovane comunista in un perlaceo compendio di sole 176 pagine, talento di sintesi tutto italiano: storia degna, quella di Giorgio Bona, della migliore letteratura russa, e che a essa si affianca, in essa entra di diritto.
Marco Candida
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