“Nomi, cose, musiche e città” su SoloLibri
Intervista a Giovanni Granatelli, scrittore e poeta ora in libreria con “Nomi, cose, musiche e città”
Il nostro collaboratore Vincenzo Mazzaccaro ha intervistato lo scrittore e poeta Giovanni Granatelli, ora in libreria con “Nomi, cose, musiche e città” edito da Arkadia. Una conversazione che ha toccato in modo particolare i legami occulti tra poesia e contemporaneità.
Giovanni Granatelli, nato a Catania nel 1965, vive al Nord da sempre, ora a Milano dove si occupa di editoria.
Ha pubblicato sette libri di poesia che hanno vinto prestigiosi premi letterari, tra i quali ricordiamo “Dario Bellezza”, “Ossi di seppia”, “Tra Secchia e Panaro”, “Città di Panaro” e “Il Meleto di Guido Gozzano”.
Nella seguente intervista parleremo con l’autore delle sue ultime pubblicazioni, il volume di poesie Resoconto. Poesie 2002 – 2022 (Scalpendi editore) e Nomi, cose, musiche e città, edito da Arkadia editore nel 2023.
Come è nata l’idea di radunare insieme poesie appartenenti a più sillogi nella raccolta Resoconto. Poesie 2002 – 2022 pubblicata da Scalpendi?
Posso dire che è nata…invecchiando e dunque con il desiderio di stilare una sorta di bilancio, sia poetico che esistenziale, della mia scrittura e della mia vicenda personale nell’età adulta.
Comporre, in accordo con l’editore Scalpendi, questa antologia è stato per me anche l’occasione di rileggere e ritrovare i temi e gli elementi centrali del mio sentimento delle cose e ovviamente del mio stile, della mia “voce”. Ritengo che ogni libro abbia anche un carattere testamentario: questo in modo particolare.
Molte sono inedite. In un libro di poesie non usuale, di oltre 320 pagine, Resoconto. Poesie dal 2002 al 2022 pubblicato nel mese di aprile del 2023, da Scalpendi appunto. Ma non ha avuto paura di un rigetto da saturazione?
Va detto che il libro ha una disposizione editoriale particolare, le liriche sono stampate soltanto sulla pagina di destra, come a volerle sempre separate da una pausa bianca di silenzio, per cui in realtà la mole effettiva dei testi ammonta a 160 pagine.
Tutte le sezioni contengono una scelta dai libri precedentemente pubblicati, tranne l’ultima che è composta da liriche più recenti e ancora inedite in volume. No, non ho avuto il timore della saturazione, forse proprio per quel carattere di repertorio quasi testamentario cui accennavo prima.
La sua opera poetica è stata sul mio comodino per tanto tempo, come un breviario religioso e molti siti e blogger hanno, anche grazie a questo libro, iniziato a recensire poesia come non si era mai fatto prima nel mondo di Internet. Cosa ne pensa?
Innanzitutto sono lusingato e un po’ commosso che il mio libro abbia stazionato sul comodino di un’altra persona. E grato di questa accoglienza; la generosità del lettore va sempre ricordata e sottolineata. Spero sempre che ciò che scrivo possa toccare la vicenda esistenziale di chi legge, con ben poche scorie estetizzanti. Di poesia mi pare si parli tantissimo in rete e spesso con toni (esaltati, turgidi, oracolari) che a esser sincero mi respingono.
Perché in Italia si compra e si legge così poca poesia? Dopo la domanda precedente questa domanda sembra retorica ma non lo è, nelle intenzioni.
Credo che la poesia si sia sempre letta piuttosto poco. Nella scrittura in versi c’è un elemento perturbante, che inquieta molti lettori. La poesia affronta in modo diretto e bruciante la condizione umana. Nel presente, la compiaciuta oscurità di non pochi autori non aiuta certo un potenziale pubblico di non addetti ai lavori. In ogni caso l’esiguità del pubblico non l’ho mai ritenuta un problema, non toglie nulla al valore della poesia o dei poeti.
Da poco è uscito un suo libro, pubblicato da Arkadia editore, dal titolo Nomi, cose, musiche e città. Ci sono prose o scritti che parlano di fatti autobiografici e alcuni scritti erano già editi su alcune riviste. Non è una novità, perché già in passato aveva scritto di prose.
Poesie e prose, ora manca un romanzo.
Mi pare molto improbabile che io possa scrivere un romanzo, anche se nella vita non si sa mai. Innanzitutto mi manca completamente l’attitudine alla fiction, alla scrittura d’invenzione, è come se nel mio cervello mancasse questo “file”. Poi credo di non avere sufficiente “fiato” per la lunga distanza, che la poesia lirica e la prosa breve siano le misure a me congeniali, che mi appartengono.
Alcuni lettori si sono lamentati della poca ironia di questo suo ultimo lavoro, dove sembra che lei abbia ripreso un modo di scrivere che porta allo scherzo, alle parodie, mentre solitamente lei è piuttosto serio. Qual è la sua versione?
Io trovo che ci sia una dose molto contenuta di ironia nei miei testi. Se è vero che cercano una certa levità, un’intensità asciutta, quasi una trasparenza e tentano di coltivare un’arte dello stupore, da questo stupore spesso scaturiscono, contengono quasi sempre una nota dolente, che a tratti può farsi anche molto dolente se non piuttosto disperata.
Lei in questi giorni sta girando l’Italia per presentare il suo nuovo libro edito da Arkadia. Ha senso fare ancora presentazioni? Crede nel passaparola?
Ho sempre fatto in realtà poche presentazioni. Per pudore. Mi pare sia sempre dietro l’angolo il pericolo dell’autoreferenzialità. Per fortuna queste ultime sono state condotte da un amico che è un bravissimo giornalista culturale, Saul Stucchi, davvero capace di estrarre il senso di ciò che scrivo e si sono rivelate delle occasioni di incontro umanamente e culturalmente molto ricche, scevre da intellettualismi. Penso poi che un eventuale passaparola sia uno dei migliori premi per un libro.
Cosa direbbe a una ragazza, a un ragazzo che vogliono scrivere in generale e scrivere poesie e brevi prose in particolare?
Gli direi di leggere tantissimo e di dedicarsi ai grandi, di “fare la lotta” con i maestri, con i grandi scrittori e di dedicare piuttosto un’attenzione contenuta ai contemporanei. E di cercare in questa lotta di trovare la propria voce e la propria misura. E poi gli ricorderei che scrivere è innanzitutto “riscrivere”: rifare, correggere, tagliare, aspettare, sacrificare, riprovare…
La spaventa la morte? Ha un fede religiosa? Come le sembra questo millennio?
Dire che la morte mi spaventa è un eufemismo impreciso: ne ho in realtà letteralmente orrore, così come del tempo che passa. Qualche anno in compagnia di un analista temo non sia riuscito a scalfire, se non di qualche scheggia o granello, questo orrore. No, purtroppo, e sottolineo purtroppo, non ho una fede religiosa, che peraltro ho “rincorso” per tanto tempo. Provo una grande e intensa invidia verso coloro che ce l’hanno, che conservano la speranza di un disegno misterioso, di un senso ultimo, di un…. “risarcimento” e di una prosecuzione oltre il limite dell’esistenza umana. Credo comunque che se l’avessi la mia sarebbe la fede tragica e negativa di un Ivan Karamazov. Di questo millennio mi allarma il senso di minaccia (ambientale, sociale, politica e psicologica) che colpisce soprattutto i più giovani e penso ovviamente, in primo luogo, alle mie figlie.
Le guerre, la pandemia di Covid, paesi perlopiù africani dove nascono bambini che hanno già fame. Rimaniamo ancora noi privilegiati, a parte il Coronavirus, ma fino a quando?
In questa tragica disparità di condizioni di vita mi pare risieda una buona parte della componente di insensatezza insita nell’esistenza umana. Difficile fare previsioni.
Mi pare in ogni caso degno di riflessione che noi occidentali privilegiati siamo comunque vittime di un disagio profondo. Abbiamo quasi tutto, rispetto ad altri, ma siamo ammalati di un malessere che non ci concede tregua.
Vincenzo Mazzaccaro
Il link alla recensione su SoloLibri: https://bitly.ws/32jIm